Foto di Ferdinando Mezzelani per Dagospia
TOTTI ROMA PARMA 2001
Francesco Persili per Dagospia
Totti e Baldini. A unirli e a dividerli, per sempre, un giorno. Magnifico, maledetto, 17 giugno. Nel 2001 in campo il Capitano guida la Roma verso il terzo scudetto della storia, in tribuna a godersi la scena il consulente di mercato di Franco Sensi, l’uomo che ha costruito un asse di ferro con Capello e portato a Trigoria Samuel, Emerson, Batistuta, fondamentali per la conquista del titolo.
Flash forward. 18 anni dopo.
Salone d’Onore del Coni. Totti lascia la Roma. L’uomo a cui viene imputato l’addio è Franco Baldini, diventato nel frattempo il "Rasputin" di Pallotta. "Uno dei due doveva uscire e mi sono fatto da parte io", scandisce il Capitano". Che cosa è successo in questi anni all’ex braccio destro di Sensi? E’ cambiato lui o sono rimasti uguali gli altri? Come è possibile che il Don Chisciotte di Reggello sia diventato un consigliori ingrigito dal fumo di Londra, un dirigente fantasma che si ritrova al centro di trame venefiche e sospetti di congiure?
TOTTI BALDINI
C’era una volta a Trigoria. Franco Baldini scudiero di Franco Sensi nell’assalto a Moggi, Galliani e Carraro, il Ciceruacchio con la c aspirata della “Repubblica Romana” in lotta con “la monarchia sabauda” e il potere del Nord, quello che (s)parlava di “arbitri, doping, politica federale, giustizia sportiva e diritti tv, come di tessere dello stesso mosaico, dove chi detiene il potere lo mette in atto per rimanere più forte”. Utopie e bubbole.
baldini pallotta
Basta un caffè in Campidoglio tra Rosella Sensi e Giraudo, chez Veltroni, per mettere in fuorigioco Baldini che prende congedo in una conferenza allo Sheraton perché non può condividere l’appeasement di Rosella Sensi con i presunti “poteri forti”. Il duro e puro che piace alla gente che piace. Capello argento, voce flautata, manda in deliquio i radical chic de’ noantri quando si siede sul divano rosso di “Parla con me” davanti alla sua amica Serena Dandini e spara un paio di siluri contro il Milan e Juventus “che amministrano tutto nel calcio” e contro la GEA di Alessandro Moggi.
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Ai tempi di Calciopoli recita la parte del cavaliere senza macchia ma viene colto in castagna da Luciano Moggi che dà notizia dagli studi di un’intercettazione che risale al 4 aprile 2005. In essa il dirigente romanista chiede all’ex vicepresidente Figc Innocenzo Mazzini di intercedere con il dg bianconero perché il suo amico Renzo Castagnini sia assunto dall’Arezzo Calcio e come ricompensa gli propone: “Forse se ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello… fare il ribaltone e buttare tutti di sotto dalla poltrona, io ti salverò. Forse”. Tornando su quelle parole, tempo dopo, dirà: “Quello era cazzeggio... Il ribaltone lo speravo”.
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Ribaltone? Buttare tutti di sotto dalla poltrona?
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La maschera dell’intellettuale che cita Nabokov, ama Shakespeare, va ai concerti di Fiorella Mannoia, frequenta Pizzi Cannella e conversa da “Pommidoro” con Francesco De Gregori va in frantumi e rivela le piccole ambizioni strapaesane e le smanie dell’epurato che brama vendette.
Don Chisciotte peregrina tra tribunali e processi, reticenze e confusioni di date, scrive su “Linea Bianca”, trimestrale di scienza e cultura calcistica, una dotta analisi su come si riconosce un giocatore (“Se c’è qualcuno capace di volare, che si tenti di indirizzarne il volo, ma per carità: che non si cerchino ali da tagliare”), vende caffè in Sudafrica e colleziona esperienze in Inghilterra e in Spagna, al Real Madrid.
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Qui nota che Raul non ha un ufficio nel centro d’allenamento dei Blancos. Appena torna alla Roma con gli americani da direttore generale lo fa notare subito a Totti. Segue un’accusa di pigrizia che il Capitano fatica a mandar giù. Il ribaltone che non è riuscito a fare nel calcio italiano prova a metterlo in pratica a Trigoria. Parola d’ordine è “de-romanizzare“. Affida la squadra a Luis Enrique, alla prima vera esperienza in un campionato, rimanda sine die l’appuntamento con la vittoria (“Lo scudetto? La Roma è abituata ad aspettare tanto. L’orizzonte della società è a lungo termine, non certo a breve”, ciao core), sposa la logica del “mai schiavi del risultato” che nello sport d’alta prestazione, e a Roma in particolare, può diventare la via maestra per trovare alibi e comode giustificazioni.
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La sua battaglia si conclude tra i fischi dell’Olimpico, si dimette da direttore generale ma resta consulente di Pallotta e continua la guerra a Totti fino al delitto perfetto. “Sono stato io a farti ritirare - ha raccontato il Capitano nella sua autobiografia - Ho voluto Spalletti perché la pensava come me. Anni fa volevo venderti, ma ogni allenatore chiedeva la tua presenza. Spalletti non me l’ha chiesta, anzi. Del resto sappiamo tutti che in queste ultime stagioni la tua presenza è stata un peso per la Roma…" ("E i milioni guadagnati con le mie magliette? E il cachet delle amichevoli, che cambiava a seconda se io ci fossi o no?”, fa notare Totti). "Vedrai che la prossima stagione la Roma, liberata da una presenza così ingombrante aprirà un nuovo capitolo della sua storia". Poi il no alla vice presidenza chiesta da Francesco. Motivo: "Non ne hai bisogno. Noi siamo dei noiosi passacarte, tu sei Totti". "In due anni non ho sentito nessuno, nè Pallotta, nè Baldini - graffia Totti nella conferenza d'addio - non mi hanno mai coinvolto, mi tenevano fuori da tutto. L'ultima parola era sempre a Londra, inutile provare a cambiare le cose. Io da stupido non ci passo..."
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In questi anni Baldini ha continuato a sussurrare nell’orecchio del patron giallorosso il nome di allenatori, giocatori, dirigenti, restando a tutti gli effetti il "dominus" della Roma. L’ex ds Walter Sabatini non sopportando le continue invasioni al momenti dei saluti ha parlato di un club che ha diversi "centri di potere" tra cui quello di Londra, dove ora vive Franco Baldini.
Si immaginava Don Chisciotte, è diventato un noioso passacarte, un grigio Rasputin che cerca ali da tagliare e bandiere romane e romaniste da ammainare. “Come si cambia…”, canterebbe la sua amica Fiorella Mannoia.
Cosa è rimasto di quella Roma che vinse lo scudetto 18 anni fa? Non Totti, solo lui. Il dirigente fantasma che spodesta il Capitano e si prende la ribalta. “La luce che taglia il suo viso/ oltre al buio che c'è e al silenzio che lentamente si fa…” Eccolo qui il Grande Narciso che ha lasciato – parafrasando De Gregori – solo per un momento la sua vita di là. Visto che l’uomo ama il teatro, i colpi di scena e i finali ad effetto, forse in questo torrido e maledetto 17 giugno l’unico ribaltone in cui può sperare è quello di riuscire a separare finalmente e definitivamente il suo destino da quello della Roma.
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luciano moggi
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