Ro. Da. per http://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/
Sul momento non aveva dato peso alla cosa. Qualcuno che conosceva gli aveva scritto su Facebook in modo cattivo «...guarda che tuo figlio non ti somiglia». Una frase che pian piano è diventata un tarlo fino al punto di spingere un 30enne pesarese, operaio, alla decisione di sottoporre il bambino di pochi anni all’esame del Dna, contro il parere della madre. L’esito è arrivato in pochi giorni: non era il padre del bambino.
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Chiarimento immediato con la compagna, che a quel punto ha ammesso di aver avuto un rapporto sporadico anche con un altro uomo al momento del concepimento. È seguita la causa di disconoscimento della paternità davanti al tribunale di Pesaro e l’uscita di casa del presunto padre del bambino di pochi anni il quale, dalla sera alla mattina, non ha più visto l’uomo che chiamava papà. Che comunque esiste ed era proprio la persona che aveva scritto su Facebook quella prima frase: «...il bambino non ti somiglia».
E infatti poteva scriverla perché aveva indiscutibilmente una certa conoscenza del fatto. Dice l’avvocatessa Valeria Bertuccioli che ha seguito la vicenda: «Tutto questo è emblematico dei disastri che possono essere provocati da Facebook o dai social in generale. Che sono una grande risorsa comunicativa se non usati come clava».
Ora il vero padre naturale del bambino dovrà fare il riconoscimento di paternità e una volta ottenuto chiedere al tribunale di mettere al bimbo anche il suo cognome. Ma quest’ultimo passaggio sarà possibile se la madre darà il suo consenso avallando la richiesta del doppio cognome per il bambino.
PADRI SEPARATI FIGLI NEGATI