Fulvia Caprara per La Stampa
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Amarlo teneramente, come dice il titolo di uno dei brani più famosi di Elvis Presley, non sarà difficile. Per diventare il protagonista del film che Buz Luhrmann ha dedicato all'icona rock, Austin Butler, nato nel '91 a Anaheim, in California, ha imposto al suo cuore un modo diverso di battere, in sintonia con il leggendario «Elvis the pelvis», con i suoi dolori profondi e le sue luminose vittorie artistiche.
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Adesso che è arrivata l'ora della verità, adesso che, dopo i clamori del Festival di Cannes, il film incontra il pubblico delle sale (in Italia da oggi, con Warner, in Usa il 24 ), Butler si ritrova solo con l'interrogativo cruciale delle prove che cambiano la vita: piacerò oppure no? Un po' come stare sul trampolino dove ormai hai preso la rincorsa e non ti puoi più fermare: «Dal momento in cui ho avuto il ruolo - dice con la voce roca e le sillabe trascinate in pieno stile Elvis -, ho sentito il peso del compito. Ogni giorno, da allora, ho pensato che la cosa più importante fosse onorarlo, rendere giustizia a lui e alla sua famiglia. Non è stato semplice, continuavo a sentirmi come un bambino che si mette il vestito del padre e fatica a camminare con scarpe molto più grandi del suo piede».
Qual è stata la maggiore difficoltà ?
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«La gente ha sempre visto Elvis come una specie di divinità, è come se, intorno alla sua immagine, ci fosse un'enorme impalcatura, la cosa più complicata era superarla. Volevo a tutti i costi umanizzarlo, tirare fuori la sua vera natura. L'altro aspetto spinoso riguardava i suoi cambiamenti, volevo essere molto specifico e meticoloso nel ritrarre la sua evoluzione. Ho guardato e riguardato una mole immensa di documentari, studiando ogni minuto delle sue performance, finché ho sentito che Elvis era diventato come un pezzo di me stesso. Tutto, in lui, veniva dalla sua interiorità, dalla fase di vita che stava attraversando».
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Lei è nato nel '91, che cosa rappresenta Presley per la sua generazione?
«Molto prima che ricevessi l'offerta di questo ruolo Elvis faceva parte della mia vita. Mia madre è nata negli Anni 50, a casa mia ho sempre sentito suonare quel tipo di musica, lei amava quelle canzoni e quei film. Non sapevo niente della vita di Elvis, ma, grazie al legame con mia madre, ho cercato di capirlo e ho scoperto quanto fosse sensibile, spirituale, profondo e anche divertente. Mi sono innamorato di certi lati del suo carattere, ho provato empatia nei suoi confronti».
Quali sono i lati di Elvis che ama di più e quali meno?
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«Amo la sua generosità con tutti, amici, familiari, sconosciuti, e poi il suo incredibile senso dell'umorismo. Aveva una mente profonda, sempre alla ricerca del significato delle cose, e questa caratteristica, in una persona diventata estremamente famosa in modo breve e inatteso, ha creato contraccolpi. Convivere con l'urlo della folla, con l'ammirazione sconfinata, è stato complicato, Elvis si è sentito solo e anche la sua famiglia ne ha risentito».
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Le sono pesate le lunghe ore di make-up e preparazione?
«Ho lavorato con una coach, Polly Bennett, che mi ha aiutato moltissimo. Non mi ha solo insegnato il modo con cui Elvis si muoveva, ma mi ha anche fatto comprendere le ragioni per cui una persona decide di muovers così. Poi, certo, anche il look è stato fondamentale, nella performance finale di Elvis, quando era ingrassato e si esibiva costretto nel suo costume, ho avuto l'impressione di capire come si sentisse, con una grande tristezza addosso, quasi privo della possibilità di respirare, eppure ancora con una voce potente, capace di vincere tutto».
Tom Hanks e Austin Butler nel film Elvis
Ha recitato accanto a Tom Hanks, come si è trovato e che cosa ha imparato da lui?
«Sul set Tom era gentilissimo, disponibile e divertente con tutti. Lavora duro ed è sempre puntuale. Nelle pause aveva sempre qualcosa da leggere, spesso libri di storia, che con il film non avevano niente a che vedere. Mi ha spiegato che fa bene riempirsi di interessi diversi, è un insegnamento che porterò sempre con me».
Qual è il segno più profondo che ha lasciato in lei la figura di Elvis?
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«Ho ridefinito il mio rapporto con la paura, non l'avevo mai avvertita così forte. Mi svegliavo alle 3 e alle 4 del mattino con il cuore che mi batteva a mille e il giorno dopo dovevo lavorare, ho dovuto imparare a convivere con tutto questo, alla fine del giorno certe sensazioni ti restano addosso, compresa una grande energia. Sul palcoscenico Elvis era magnetico, poi, nella vita, era molto timido, mi ci sono ritrovato, ho capito perché, da questa scissione, venisse la sua forza»
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