Emanuele Trevi per il “Corriere della Sera”
Non sono così ingenuo e tecnologicamente sprovveduto al punto di non sapere che quella che esercito sul mio smartphone è una sovranità del tutto limitata. È un oggetto che ho comprato in negozio, con emissione di un regolare scontrino, ma è diverso da un cavatappi o da un maglione.
Emanuele Trevi
Certo, lo smartphone appartiene pur sempre alla categoria degli oggetti: posso decidere se infilarmelo nella tasca destra o in quella sinistra, posso dotarlo di gusci protettivi in plastica che ne allunghino la vita (ne ho uno con la faccia sorridente di Ciro Immobile), al limite posso affogarlo in un lavandino, ma certo non posso controllare cosa succede al suo interno.
ALGORITMO CELLULARE
E a differenza di Alessandro Baricco, che si è messo a studiare seriamente queste complesse questioni e ci ha scritto sopra un libro molto interessante intitolato The Game, a me di questo gioco non importa assolutamente nulla, e il mio desiderio più intimo sarebbe che andasse tutto in malora, questo mondo di connessioni digitali o come diavolo volete definirlo, perché non mi piace, mi stanno antipatici i suoi inventori, e soprattutto ho l'età per testimoniare che si viveva benissimo prima, si sapeva quello che c'era da sapere, e la vita scorreva tranquilla nella sua irrimediabile imperfezione.
ALGORITMO SMARTPHONE
Però lo smartphone ce l'ho, perché detesto almeno quanto la Silicon Valley il narcisismo dei ribelli primitivisti, che è una perdita di tempo anche maggiore. E dunque, consapevole del fatto che è colpa mia, ho assistito a tutte le inquietanti intrusioni che gli algoritmi producono nelle nostre vite. Ma ho scritto questa parola, «algoritmi», senza avere la minima idea di cosa si tratti, per me un algoritmo potrebbe essere un pesce, un satellite, un pallottoliere alimentato a energia nucleare.
Semmai, mi sono abituato a considerare queste intrusioni abbastanza innocue. Credo che basti, per limitare i danni, non fare mai nulla: non «aggiorno» quando mi viene richiesto, non rispondo alle comunicazioni, se la memoria è piena non faccio più foto, e se proprio qualcosa si inceppa vado al negozio.
intelligenza artificiale
Con tutta questa buona disposizione d'animo, voglio raccontare un fatto che mi ha un po' scosso i nervi e fatto riflettere. Da qualche mese, ogni volta che prendo in mano il mio smartphone mi appare la pubblicità della migliore agenzia di onoranze funebri nelle vicinanze.
Questo l'ho imparato fin dall'inizio: «loro» sanno sempre dove vai. Pare che questa magia di localizzarti discenda da una formula di Albert Einstein, ma non chiedete a me. Ad ogni modo, in questi tempi di pandemia ci si sposta poco, ma qualche viaggio ho dovuto farlo, e prima o poi, eccolo arrivare, l'agognato annuncio: con attraenti menù di bare, tariffe di incinerazione, sconti a volte così irresistibili da farti venire voglia di crepare seduta stante.
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Tra le varie entità che popolano il mio smartphone come una volta gli dèi popolavano la cima dell' Olimpo, è Google Chrome che si accerta che io conosca, dovunque vada, il modo migliore per organizzare un funerale. Cos'è Google Chrome? Boh, ho cercato informazioni, dice qualcosa su «servizi personalizzati», ma questo non mi sembra molto personale, come si sa tutti siamo mortali.
Al ginnasio una docente all'antica per punizione fece studiare a memoria a tutta la mia classe «I sepolcri» di Ugo Foscolo, e nella mia mente ho dato a Google Chrome la fisionomia della professoressa Cavallari. «All'ombra dei cipressi e dentro l'urne confortate dal pianto/è forse il sonno della morte men duro?», eccetera eccetera.
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Sì, lo ammetto, rimpiango anche quel tipo di istruzione in cui, invece di predicare agli studenti cose boriose e generiche come «abbiate fame», si infliggevano gli endecasillabi del Foscolo da mandare a memoria. Nel frattempo un amico mi ha rivelato l'arcano: è sempre una consolazione sapere il perché delle cose.
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Qualche tempo fa, per un lutto familiare, in effetti ho cercato il numero di un'agenzia di pompe funebri: un po' più cara, devo ammettere, di quelle che mi vengono quotidianamente proposte, ma era gente accorta e gentile, quindi non mi rammarico di nulla.
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Ebbene, mi ha spiegato l'amico, in qualche maniera sono entrato nel giro delle onoranze funebri: l'algoritmo (o Google Chrome? o lo spettro della professoressa Cavallari?) presuppone che io coltivi un particolare interesse per la materia. Così come un buongustaio che prenota spesso tavoli al ristorante con il suo smartphone avrà piacere, se viaggia in Puglia, che gli venga segnalato il miglior posto dove mangiare le orecchiette alle cime di rapa, il previdente Google Chrome fa in modo che io possa coltivare il mio interesse per le pompe funebri senza mai rimanere a corto di notizie.
Tutto bene: ogni tanto prendendo in mano lo smartphone faccio un gesto un po' volgare, questo devo ammetterlo, ma la cosa mi fa ridere e quasi mi mette di buon umore. Però io tendo a buttare tutto a ridere, e non posso non chiedermi: fa piacere a una persona che ha vissuto una perdita che il suo smartphone lo condanni (per quanto?) a un aggiornamento continuo sulle migliori tariffe dei funerali?
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Non è qualcosa di privo dei più elementari tratti di gentilezza, umanità e rispetto che dovrebbero regolare i rapporti tra gli esseri umani, fisici o virtuali che siano? Ma soprattutto: come si insegna l'educazione a un algoritmo? O c'è qualcuno che governa l'algoritmo al quale la si può insegnare?
L'amico che mi ha rivelato il mistero mi ha suggerito di «disinstallare» non so cosa. Ma a parte il fatto che io non so disinstallare un bel nulla, così come non lo so installare, e ho paura di rovinare in qualche modo un aggeggio delicato e costoso, non sono sicuro che sia la mossa giusta.
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Quarant'anni dopo aver imparato a memoria per punizione «I sepolcri» di Ugo Foscolo, quale nuovo castigo potrebbe attendermi se mi rifiuto di conoscere i prezzi speciali, validi fino a marzo, di un funerale «tutto compreso» (anche la resurrezione?), calcolati i vantaggi del cashback?
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