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    AVETE PRESENTE L’INCHIESTA SU RENZI E LUCIO PRESTA, ACCUSATI DI FINANZIAMENTO ILLECITO, CHIUSA CON L’ARCHIVIAZIONE? I DUE SONO STATI “SALVATI” DALLA RIFORMA CARTABIA - LA NUOVA FORMULAZIONE DELL’ARTICOLO 425 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, CHE HA INTRODOTTO IL PARAMETRO DELLA “RAGIONEVOLE PREVISIONE DI CONDANNA”, HA SPINTO I PM A FERMARSI, NON POTENDO PREVEDERE IL SUCCESSO IN DIBATTIMENTO. PER IL GIP L’IPOTESI ACCUSATORIA SI BASAVA SU “INDIZI INEQUIVOCABILMENTE SUSSISTENTI” MA “NON È STATO ACQUISITO ALCUN DECISIVO ELEMENTO IDONEO A SOSTENERE CHE LE OPERAZIONI COMMERCIALI POSTE IN ESSERE SIANO NON GENUINE E NON SOLO IMPRUDENTI E/O MALDESTRE” - DALL’OPERAZIONE MATTEONZO HA INCASSATO 800 MILA EURO E LUCIO PRESTA CI HA RIMESSO QUASI 2 MILIONI…


     
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    Giacomo Amadori per “la Verità”

     

    LUCIO PRESTA E MATTEO RENZI LUCIO PRESTA E MATTEO RENZI

    Chi trova i Renzi perde un tesoro. È questa la morale che si può trarre da due vicende giudiziarie finite bene per la famiglia di Rignano sull’Arno: il processo per false fatture nei confronti dei genitori del fu Rottamatore, terminato con un’assoluzione in Appello e il procedimento per finanziamento illecito contro il senatore chiuso con un’archiviazione. In entrambi i casi abbiamo due facoltosi signori, l’imprenditore Luigi Dagostino e l’impresario tv Lucio Presta, che hanno puntato centinaia di migliaia di euro su Matteo, il suo babbo e la sua mamma e in cambio si sono ritrovati con un pugno di mosche.

     

    matteo renzi lucio presta matteo renzi lucio presta

    Presta ha addirittura tentato, buttando a mare quasi due milioni di euro, di sfruttare il volto e le idee di Renzi per guadagnare con il piccolo schermo. E per lui e la sua casa di produzione, la Arcobaleno tre, è stato un bagno di sangue, finanziariamente parlando. Ma, per sua fortuna, con successi come Sanremo ha ampiamente ripianato il flop. Lui e Renzi erano accusati di emissione e utilizzo di fatture per prestazioni inesistenti e di finanziamento illecito.

     

    Il 13 marzo la gip Simona Calegari ha firmato il decreto di archiviazione per entrambi, oltre che per il figlio di Presta, Nicolò. Una decisione che è la conseguenza legittima della riforma Cartabia. Il giudice infatti, rileva come, «alla luce della nuova formulazione dell’articolo 425 del codice di procedura penale che ha introdotto il parametro della “ragionevole previsione di condanna”», la documentazione raccolta dagli investigatori non consenta una tale «prognosi» di successo in dibattimento.

     

    Per la toga «non si può escludere che Presta abbia ritenuto ex ante conveniente l’investimento, né si può escludere (se non per un’intuizione irrilevante ai fini della prova) che le sinossi proposte da Matteo Renzi possano un domani essere meglio sfruttate». Il gip ammette anche che l’ipotesi accusatoria si basava su «indizi inequivocabilmente sussistenti», ma aggiunge che purtroppo «non è stato acquisito alcun decisivo elemento idoneo a sostenere che le operazioni commerciali poste in essere siano non genuine e non solo, invece, imprudenti e/o maldestre».

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    I pm romani Alessandro Di Taranto e Gennaro Varone nelle 20 pagine di richiesta di archiviazione, firmata il 15 febbraio (un’istanza accolta dal gip quasi a tempo di record, in appena 26 giorni), ricostruiscono la sfortunata scommessa tentata dal duo Presta-Renzi per occupare i network televisivi. Il documentario Firenze secondo me, a giudizio della coppia, avrebbe dovuto scatenare un’asta per accaparrarsi i racconti del senatore sulla sua città natale.

     

    E così, tra il 31 luglio e il 24 settembre 2018, il leader di Italia viva ha presentato otto fatture legate a quattro diversi contratti che gli hanno permesso di incassare un totale di 400.000 euro per otto puntate: 25.000 euro l’una come autore e 25.000 come conduttore.

    MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE

    A questi denari bisogna aggiungere altri emolumenti per progetti, come vedremo, mai realizzati. Attività per cui Renzi avrebbe dovuto portare a casa 1 milione di euro in tutto, poi ridotti a 800.000.

     

    Di fronte a questa lauta prospettiva il politico toscano, il 27 luglio 2018, ha aperto partita Iva. Da parte sua la Arcobaleno tre ha registrato solo perdite: il documentario, oltre all’onorario di Renzi, ha bruciato altri 920.00 euro per le spese di produzione. La società ha iscritto a bilancio la produzione alla voce costo di esercizio e non a quella del patrimonio, «come se si fosse trattato di un secco elemento negativo e non di un investimento». Il che ha fatto sospettare agli investigatori che i contratti dissimulassero «una donazione», «uno spot di propaganda nell’esclusivo interesse del predetto parlamentare».

     

    MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE

    Un sospetto rafforzato dal fatto che gli emolumenti ricevuti nel 2018, 480.000 euro, sono stati utilizzati da Renzi per restituire un prestito ricevuto il 16 giugno dello stesso anno per l’acquisto di una villa. Due vicende che gli inquirenti legano strettamente tra loro. Per esempio evidenziano come, appena due giorni dopo l’arrivo del bonifico per la casa, in un contratto rinvenuto in bozza e datato 18 giugno 2018, Renzi si impegnasse a prestare la propria attività per la Arcobaleno tre. In più dalle carte sequestrate risulta che gli «accordi tra Lucio Presta e Matteo Renzi furono assunti a partire dal maggio 2018» e cio farebbe supporre che «sin dalla data del prestito, l’onorevole Renzi sapesse di poter contare su un introito di importo corrispondente».

    MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA DURANTE LE RIPRESE DELLA DOCUFICTION SU FIRENZE

     

    Non basta: per i pm la disamina dei documenti sequestrati «rivela progressivi aggiustamenti, retrodatazioni […] errori di trascrizione degli importi sui contratti (in un caso nello stesso giorno si è passati da 500.000 euro a 200.000, ndr)» e «tutto ciò sembrava indicare che i vari contratti stipulati avessero inseguito la necessità di corrispondere compensi sino ad un certo importo». In questo caso quello del prestito. Ma la «natura simulata/fittizia» degli accordi non è stata dimostrata con certezza.

     

    Con un successivo contratto da 100.000 euro Renzi dava mandato esclusivo alla Arcobaleno tre per rappresentarlo a livello mondiale e per promuovere la sua attività professionale, ma solo «nell’ambito del settore dello spettacolo».

    MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA MATTEO RENZI E LUCIO PRESTA

     

    Anche qui gli inquirenti annotano alcune anomalie. Nell’accordo con l’Arcobaleno tre risulta essere quest’ultima a retribuire il rappresentato, contrariamente alla prassi, come se l’impiegato pagasse il datore di lavoro. E qui gli investigatori citano i casi di Amadeus, Antonella Clerici e Marco Liorni dove gli artisti riconoscono il 12 per cento del cachet all’agente in caso di ingaggio e non il contrario. Inoltre non risulta alcuna liberatoria concessa dalla Arcobaleno tre per la partecipazione di Renzi a trasmissioni televisive, a parte la presenza al Maurizio Costanzo show del 5 novembre 2019.

     

    C’è infine un ultimo contratto che riguarda la cessione dei diritti per «eventuali opere future dell’ingegno» del senatore, per cui quest’ultimo, presentando ulteriori otto fatture, avrebbe incassato altri 300.000 euro. Duecentomila euro sarebbero stati pagati per il progetto di due format televisivi, mai realizzati, 5 minuti (una specie di Accadde oggi) e le interviste che Renzi avrebbe dovuto realizzare e per cui era stato bloccato un teatro.

    MATTEO RENZI LUCIO PRESTA MATTEO RENZI LUCIO PRESTA

     

    Durante le indagini gli investigatori hanno trovato i messaggi di posta elettronica scambiati da Presta con i dirigenti di Mediaset, Amazon prime e Netflix per la vendita del documentario. Nella richiesta di archiviazione si legge: «È stata acquisita una e-mail datata 10 ottobre 2018, nella quale Lucio Presta lamenta ad Alessandro Salem, direttore generale dei contenuti per Rti, il venir meno dell’impegno, dal Salem dichiaratamente assunto nel mese di luglio, per l’acquisto della produzione Firenze secondo me».

    Nella missiva «sarebbe stato richiesto un aumento di 300.000 euro, dell’importo, inizialmente, dichiaratamente concordato in un milione di euro, affinché Presta non risentisse di “una perdita secca”».

     

    lucio presta lucio presta

    L’agente, davanti agli inquirenti, ha giurato di non avere perso «neppure un euro dalla produzione di Firenze secondo me» e di avere raggiunto un accordo con Salem e altri due funzionari di Rti per l’acquisto del documentario, «accordo sugellato da una “stretta di mano”, come sarebbe d’uso nel suo settore di attivitò». Curioso il motivo addotto dall’imprenditore calabrese per la mancata messa in onda: «Salem avrebbe voluto trasmettere la produzione in prima serata, mentre Presta insisteva per la seconda» e per questo «il documentario non sarebbe stato mandato in onda».

     

    Ma Firenze secondo me sarebbe stato, comunque, «pagato, cosi come da accordi». Per dimostrare la veridicità di quanto affermato Presta ha depositato una mail di Andrea Giudici, vicedirettore Risorse artistiche del gruppo Mediaset, in cui si fa «riferimento all’acquisto del “documentario realizzato con il contributo del senatore Matteo Renzi”, per l’importo di euro 300.000». I pm puntualizzano che non risulta che il Mediaset «abbia, effettivamente, erogato un milione di euro per quella produzione». Anzi per gli inquirenti «il documento esibito da Presta dà atto, piuttosto, di una promessa di acquisto per 300.000 euro, poi non portata a termine», come confermato da Giudici, «per quanto a sua conoscenza».

    lucio presta col figlio lucio presta col figlio

     

    Nella sua richiesta la Procura sottolinea che la Arcobaleno tre aveva già previsto un investimento milionario a giugno, mentre la trattativa con Mediaset è partita solo a luglio.

    Laura Carafoli, senior vice presidente di Discovery ha, invece, spiegato di «avere offerto per la trasmissione televisiva dei quattro episodi, il compenso di 1.000 euro, mai pagati, per non avere la Arcobaleno tre neppure emesso la relativa fattura».

     

    Ma c’è chi qualche soldo lo ha versato ed è la Mondadori, sempre di proprietà della famiglia Berlusconi. Secondo Presta «l’esclusiva dell’opera (Firenze secondo me, ndr) gli avrebbe procurato un contratto con Piemme Mondadori per la pubblicazione» di un omonimo tomo, in uscita nel 2024.

     

    lucio presta assieme al figlio lucio presta assieme al figlio

    Ma, se i magistrati hanno riscontrato che un anticipo è stato pagato a Renzi (25.000 euro), la Arcobaleno tre non avrebbe avuto un ruolo in questo primo accordo.

    Nell’ottobre 2021, quando le indagini in corso erano già note, la Mondadori ha siglato un ulteriore contratto con Renzi e uno con la Arcobaleno tre, detentrice dei diritti sul format televisivo, da 16.625 euro.

     

    In più la Mondadori avrebbe pagato un acconto da 40.000 euro (ma Presta sostiene di avere ricevuto solo 10.000 euro) anche per un libro intitolato «Almanacco» che dovrebbe riprendere il format 5 minuti e la cui pubblicazione sarebbe prevista per il 2023. Su tali progetti editoriali i magistrati scrivono: «Se essi siano, o meno, fumo negli occhi non puo dirsi, se non sulla base di mero sospetto».

     

    lucio presta lucio presta

    A sua difesa Presta ha esibito i contratti per la partecipazione gratuita di Renzi a due programmi prodotti dalla Arcobaleno tre: Rivelo e Incontri al tramonto. Di fronte a questo quadro i magistrati sostengono che non ci sia prova di una tentata sovrafatturazione (necessaria per contestare i reati fiscali), né la «suggestione» delle erogazioni liberali può essere considerata «un fatto accertato» visto che la produzione Firenze secondo me ha «un substrato reale». Per le toghe non si può neppure escludere che le idee proposte da Matteo Renzi «possano, un domani, essere meglio sfruttate». E dunque, per l’accusa, «l’argomento difensivo di una previsione imprenditoriale infelice […] non appare superabile». Da qui l’archiviazione.

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