Alessandro Barbera per la Stampa
MELONI MIGRANTI
Per mostrarsi credibile agli occhi dell’Europa e dei mercati Giorgia Meloni ha a disposizione quarantanove giorni. Di qui al 31 dicembre deve rispettare due delicatissime scadenze, sulla legge di bilancio e il piano nazionale delle riforme. Mai come quest’anno il secondo obiettivo vale più del primo. La premier ha affidato tutti i poteri a Raffaele Fitto, ministro degli Affari comunitari e ormai da mesi ambasciatore di Fratelli d’Italia nei palazzi europei.
Per capire l’enorme potere che gli ha delegato occorre scorrere la Gazzetta ufficiale di due giorni fa. «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei ministeri», articolo 7 comma 2. «Il servizio centrale per il Pnrr opera a supporto delle funzioni e delle attività attribuite all’Autorità politica delegata». Fitto ha di fronte a sé un lavoro gigantesco. Fra fondi del Recovery - 200 miliardi in sei anni - e per il Sud dovrà governare una macchina che vale 350 miliardi di risorse europee.
GIORGIA MELONI EMMANUEL MACRON MEME
Di qui a fine anno il governo deve rispettare 55 impegni del Recovery. E’ uno dei semestri più complicati dell’intero piano. Draghi ha lasciato sul tavolo della Meloni la metà del lavoro. Gli ostacoli da superare sono essenzialmente tre: la riforma del processo penale, su cui pendono le resistenze di magistrati e avvocati, quella dei servizi pubblici locali (qui le resistenze sono di governatori e sindaci), il riordino dei cosiddetti oneri di sistema, i balzelli che paghiamo in bolletta per sussidiare la produzione di rinnovabili.
La riorganizzazione voluta dalla Meloni rischia però di rallentare il lavoro. La struttura burocratica del piano è complicatissima, e investe tutta la macchina pubblica. Gli uffici più importanti sono il «servizio centrale del Pnrr» presso il ministero del Tesoro (lo gestisce Carmine di Nuzzo), la «segreteria tecnica della cabina di regia» a Palazzo Chigi, guidata da Chiara Goretti, «l’unità per la regolazione» diretta da Nicola Lupo, a cui si aggiunge un gruppo di lavoro in ciascun ministero di spesa.
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La legge voluta da Draghi ha escluso i vertici di tutti questi uffici dalla regola dello spoil system, la quale permette ai governi entranti di cambiare i vertici di gran parte delle burocrazie. Il primo argomento di scontro nel governo durante la cabina di regia della scorsa settimana è stato su questo. Alessandro Morelli, sottosegretario di Palazzo Chigi e fedelissimo di Matteo Salvini (è stato direttore di Radio Padania) ha chiesto di rimuovere tutti, compresi i responsabili delle unità di ciascun ministero. Meloni, d’accordo con Fitto, l’ha subito stoppato: «Valutiamo prima lo stato dell’arte e l’efficienza del lavoro, poi decideremo il da farsi».
La ragione di tanta prudenza è anzitutto nel timore di inceppare una macchina in corsa. Oltre alle riforme da attuare, per evitare di perdere i finanziamenti del piano l’Italia deve dimostrare di essere in grado di spendere i soldi a disposizione, e invece siamo in grave ritardo. Tre numeri su tutti: secondo le stime fatte da Palazzo Chigi nei primi mesi del piano, ad oggi avremmo dovuto spendere 42 miliardi di euro, poi scesi a 33. Il conteggio più aggiornato parla di 21 miliardi, la metà di un anno e mezzo fa.
RAFFAELE FITTO GIORGIA MELONI
Fatti salvi i problemi atavici della macchina pubblica, Meloni e Fitto attribuiscono gran parte della responsabilità al sottosegretario fin qui delegato al Piano, ovvero Roberto Garofoli, reo di aver convocato la cabina di regia dei ministri solo due volte. Per questo Meloni ha già deciso che convocherà i ministri molto più spesso, costringendoli ad un aggiornamento continuo del lavoro. A partire da domani, per fare il punto della situazione Fitto vedrà ciascun ministro di spesa. Nelle prossime sette settimane il governo non si gioca solo i venti miliardi di fondi a disposizione nel semestre, ma uno degli elementi decisivi del giudizio degli investitori internazionali sull’emittente italiano. Dal Recovery dipende la crescita del Paese e indirettamente la tenuta del debito pubblico dagli incerti della recessione.
ROBERTO GAROFOLI E MARIO DRAGHI giorgia meloni giorgia meloni