Barbara Costa per Dagospia
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Quelle del #Metoo ce l’hanno fatta, tanto hanno frignato e rotto il cazzo che i nuovi padroni della Formula Uno gliel’hanno data vinta: niente più ombrelline al via, ma i piloti non finiranno arrostiti, l’ombra sarà loro garantita da non meglio specificati Vip, e dotati di pene, mi raccomando.
Noi appassionati di Formula Uno ce la pigliamo in quel posto, siamo tra il basito e l’incazzato, noi che queste divinità dell’asfalto le ammiravamo incantati: niente più fondoschiena “ricoperti” di minigonne o shorts scosciatissimi, e microtop a celare il possibile.
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Niente più telecamere maliziose a scorrere su gambe infinite, niente più bellezze accanto ai bolidi in partenza, in piedi, devote, talismani contro le avversità per uomini concentratissimi, con l’adrenalina che gli scorre a mille nelle vene. Niente più sirene che mandano baci a casa e ti salutano sorridenti, aliene da qualsiasi problema, lontane anni luce dalla frenesia dei meccanici che gli passano accanto senza cerimonie, tesi a far sì che ogni cosa funzioni, e tutto giri alla perfezione.
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Tutto questo è aborrito, bandito, zozzo, politicamente scorretto. In verità sono posti di lavoro rubati, perché quello delle ombrelline era un lavoro, non sfruttamento del corpo femminile come è arrivato a scrivere il Corriere della Sera: un lavoro pagato, non così lautamente come prima della crisi del 2008, ne convengo.
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Donne liberissime di accettare quel lavoro o meno, modelle di agenzie di moda in accordo con le case automobilistiche, e una stagione la Honda firmò un contratto con Playboy per avere il coniglietto godone sponsor sulla moto di Randy de Puniet, e una playmate come sua ombrellina.
Non dite a nessuno che Dorcel, casa cinematografica porno leader in Europa, è da anni sponsor di rally. Le ombrelline non erano solo modelle, ma anche studentesse con corpi da urlo che si pagavano l’università in questo modo, magari per arrivare un giorno ai ruoli di altissimo livello occupati proprio da donne nei team automobilistici. UmbrellagirlsUSA è la modeling agency regina del settore: la facciamo chiudere?
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Ci rimane la MotoGP, e le corse non gestite dalla Liberty Media, lì queste dee saranno ancora ammesse, lì il furore delle streghe non è ancora arrivato. Sono talmente ignoranti di Formula Uno che si sono dimenticate di mettere al rogo le pit-girl sul podio, e le ragazze-immagine all’interno dei box a impreziosire le iniziative degli sponsor, vanno ancora bene? E quelle che presenziano agli eventi nel paddock?
Un paio di anni fa, al GP di Montecarlo, vennero schierati i grid-boy: non incantarono nessuno, un flop totale. Mi sale il dubbio che queste neofemministe lo abbiano fatto per invidia dei corpi magnifici di quelle ragazze, loro certo simili minishorts non se li possono permettere, troppa trippa e cellulite ammassate per la giusta causa. In qualche modo dovevano vendicarsi.
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E allora toglieteci anche la festa dei piloti sul podio, non lo sapete che lo champagne simboleggia lo sperma? Proprio così, sperma cioè vita, rito orgiastico e liberatorio a simbolo dell’uomo che ha sfidato la morte e l’ha vinta. Uomini innaffiati di sperma, vittoriosi sulla morte, fino alla prossima gara, la nuova partenza, l’agognata bandiera a scacchi. Quel brivido che scorre lungo la schiena al via a semafori spenti, quella prima frenata, alla prima curva, quel sorpasso che davanti allo schermo ti fa chiudere gli occhi e li riapri ed è davanti e lo sa Dio come diavolo ha fatto, quei millesimi di secondo persi ai box che ti mandano a puttane la gara. Toglieteci pure questo, e «io non “capiscio” più la Formula Uno» dice Niki Lauda, e come dargli torto.
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