Fulvia Caprara per “La Stampa”
ALBERTO BARBERA
Gli anniversari, come ricorda il presidente della Biennale Roberto Cicutto, sono due, i 90 anni della Mostra e i 10 di attività della Biennale College Cinema. Ma i voti, almeno quelli sulla produzione italiana, sono bassi, e il direttore Alberto Barbera apre un fronte critico che forse provocherà reazioni: «L'anno scorso sono stato molto positivo, forse troppo ottimista.
Quest' anno il panorama è di luci e ombre, i film selezionati sono ottimi, ma dopo aver visto tantissimi film italiani, ho avuto l'impressione che gli investimenti abbiano puntato più sulla quantità che sulla qualità».
Come mai?
«La produzione è stata esorbitante, non commisurata alla dimensione del nostro mercato e alla capacità di assorbimento delle piattaforme, così è andata a danneggiare la qualità. Lo sforzo concentrato sulla volontà di intercettare finanziamenti ha provocato rinunce, meno tempo per lavorare sulle sceneggiature, riprese più brevi.
ALBERTO BARBERA cicutto
Purtroppo, a malincuore, devo dire che il risultato è una gran quantità di film spesso al di sotto di livelli qualitativi accettabili. Certo non mancano le punte di eccellenza, ma il pericolo è che si crei una bolla italiana destinata a scoppiare. Tantissimi soldi, tantissimi film, ma poi, quando si arriva al confronto con il pubblico, sono dolori».
E poi c'è la crisi delle sale. I festival potrebbero diventare i soli luoghi dove vedere film sul grande schermo?
«È il tema su cui oggi tutti si esercitano, facendo previsioni che, secondo me, sono impossibili. È in atto una trasformazione epocale, non sappiamo quale sarà il punto di caduta, sappiamo che lo scontro è tra il sistema distributivo esistito finora e i nuovi player rappresentati dagli streamers.
Spariranno le sale? Io sono convinto di no, è troppo presto per essere apocalittici e negativi. Certo, in Italia, a differenza che in altri Paesi, c'è un problema di disaffezione del pubblico alle sale, ma i motivi sono tanti. Il discorso è doloroso e lungo, in primo luogo riguarda la qualità del prodotto, perché quando i film sono interessanti gli spettatori vanno a vederli.
roberto cicutto alberto barbera
Ma non dobbiamo essere pessimisti, le sale resteranno, ma bisognerà cambiare tante cose, nella programmazione, nella costruzione degli eventi, nella ristrutturazione dei cinema. Ora siamo nella fase di assestamento, i due sistemi coesisteranno».
In che modo i festival si stanno adeguando allo sviluppo di social e streaming?
«Si va un po' a tentoni, siamo tutti in una fase sperimentale, cerchiamo di stare al passo e anche di anticipare, Venezia lo ha fatto e, lo dico con un certo orgoglio, il nostro pubblico è più che raddoppiato, quello giovanile è in crescita costante.
Bisogna offrire i film giusti, cerchiamo da tempo di fare scelte non elitarie, abbiamo aperto al cinema di genere e l'accoglienza del pubblico ha confermato che il nostro approccio era corretto».
L'apertura alle piattaforme ha potrebbe rivelarsi un boomerang?
alberto barbera
«Non credo che i festival soffriranno del fatto che la gran parte della fruizione cinematografica avverrà sempre di più attraverso le piattaforme. Che poi, come dimostrano le scelte di Amazon, Netflix, Apple, hanno bisogno della particolare promozione offerta da un festival internazionale».
Il cartellone non ci sono russi. Una presa di posizione?
isabelle huppert alberto barbera
«Quest' anno i film russi arrivati in selezione erano pochissimi. Nella maggior parte dei casi abbiamo ritenuto che non avessero le caratteristiche per essere scelti. In un unico caso è successo che non abbiamo preso un film perché era finanziato dal Ministero della Cultura russa e quindi non avremmo potuto accoglierlo».
Dalla Mostra agli Oscar. Ormai è quasi un'equazione scontata. Si riproporrà?
«Il rapporto con il cinema Usa si è consolidato nel tempo, c'è un'attenzione reciproca, quest' anno abbiamo sia le major che le piattaforme, e poi avremo ospiti al Lido per la prima volta i nuovi vertici dell'Academy, sarà un'occasione di incontro e di confronto».
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