Giulia Cazzaniga per "la Verità"
Ha derogato alla sua riservatezza raccontando in tv la lotta contro il tumore.
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«L' ho fatto per ribadire che la prevenzione è importante, e soprattutto per gratitudine per gli angeli che anche con un sorriso mi hanno curato, qui a Bologna», spiega sedendosi in poltrona per chiacchierare con la Verità. Ha appena fatto l' ultima Tac di controllo.
Mentre spera di «non essere sconfessato da qualche valore sbagliato» e che la battaglia sia stata utile, è alle prese con la programmazione di un' estate intensa: scrittura, presentazioni, premi, uno spettacolo teatrale che racconta la storia d' Italia attraverso quella della bicicletta.
«Dovrei darmi una regolata: mia nonna Sofia diceva che in una bottiglia da 1 litro non ce ne sta 1 e mezzo, io sto provando a mettercene 2», dice ridendo e poi facendosi subito serio: «Lavorare è una medicina, provo a mettermi alle spalle tante cose di questo periodo. Se poi trovo il tempo per vivere, o per fare un bagno in mare, meglio».
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Già al lavoro quindi sul prossimo libro?
«Non uno soltanto. C' è da consegnare il quinto Bar Toletti che esce a luglio, e poi da fare i seguiti di La cena degli dei e dei volumi della Squadra dei sogni».
Questi ultimi sono destinati ai ragazzi, dai 9 anni ai 99. Che ne pensano i suoi due nipoti?
«Filippo, 11 anni, è in pieno target. Con Alice, 8, mi hanno convinto a iniziare quando ho capito che con i bambini si deve parlare da uomo a uomo, o a donna».
Com' è Bartoletti nonno?
«Da papà, per le mie due figlie, sono stato un po' distratto dalla frenesia del lavoro, ma mi dò un voto "accettabile". I nipoti sono arrivati quando i sentimenti acquistavano una certa fragilità ed è meraviglioso confrontarsi con loro».
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La cena degli dei (Gallucci editore) è tra i finalisti del premio Selezione Bancarella. Spera in un altro trofeo da aggiungere ai tanti della carriera?
«Sono onesto: sono andato già oltre il successo che avrei sperato, ma ogni volta c' è un pizzico di civetteria. Per una cosa del genere poi non ho mai concorso, è stato inaspettato e io sono un agonista per natura. Se penso che un giorno feci il voto di non scrivere libri».
In quest' ultimo mette alcuni personaggi a cena in un Paradiso dove si beve Lambrusco e si canta con Lucio Dalla. Se lo immagina davvero così?
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«C' è chi mi ha scritto: se è così, mi impegno fin da subito per andarci. Il libro credo sia un gesto di speranza: pensare che un giorno si possano ritrovare gli amici è per me un buon motivo per averne, anche se sono tendenzialmente scettico su un aldilà».
Di recente ha raccontato di come si sia affidato alla Madonna, della devozione per quella del Fuoco, a Forlì.
«Ho un rapporto particolare con la fede. Ho tanti motivi per dubitare, ma faccio miei piccoli percorsi mentali e ci sono suggestioni che mi appassionano. Così è accaduto in momenti dolorosi. Vorrei andare a Medjugorje, quello sì. Negli ultimi mesi, sarà stata anche l' anagrafe, mi sono confrontato da laico con un' intimità che avevo trascurato, rimosso».
Riavvolgo il nastro. Bartoletti nasce nel '49 a Forlì.
«Da famiglia provinciale e artigiana, che sono poi i due aggettivi più belli a cui credo si possa ambire. Dalla provincia viene il desiderio di migliorarsi continuo, dagli artigiani il fare le cose con le mani - sulla tastiera nel mio caso - con il cervello e con il cuore».
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A 20 anni parte per Milano.
«Con mia mamma che inseguendomi fino in stazione mi ripeteva: "Cosa c' è a Milano che non c' è a Forlì". Ancora rido, ricordandolo».
C' era molto.
«C' erano le ambizioni con le quali non avrei potuto confrontarmi altrimenti. C' era qualche anno di sofferenza e di cinghia stretta, e poi l' incontro con i giusti maestri».
E il talento che trova sbocco?
«Preferisco parlare di entusiasmo e buona volontà. Tutto ha un prezzo, però, nulla mi è stato regalato».
Cosa sente di aver perso?
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«So di essere in una posizione invidiabile, io stesso mi invidierei. Certo però essere un personaggio in vista espone maggiormente alle cattiverie e alle gelosie. Non accade, se voli basso. Non mi lamento, ma ho avuto alcune delusioni e dolori anche dalla mia vita professionale».
Laurea in giurisprudenza, poi giornalista sportivo.
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«La laurea fu per far felice mio padre, anche se era già morto. Volevo onorare le 500 lire che mi dava per prendere il treno da Forlì all' università a Bologna. Ma la mia vocazione era diversa. Dalla mia piccola città veniva Ercole Baldini, il campione di ciclismo. Era l' Italia che mi faceva sentire orgoglioso. Anche se allora mai avrei pensato di raccontare io quelle emozioni, di seguire da vicino dieci Olimpiadi, dieci campionati del mondo, i festival di Sanremo».
Lo sport italiano regala oggi le stesse emozioni di ieri?
«Sarà che sono vecchio, ma mi commuovo ancora quando un atleta sale sul podio e intona l' inno nazionale».
La musica è un' altra sua grande passione. Sembrano mondi distanti.
«Li accomunano proprio le emozioni. Accipicchia, quante ne ho provate ascoltando certe canzoni. Anche di segno opposto, a seconda del momento. Una colonna sonora nella vita è imprescindibile. Mi chiedono spesso come faccio a promuovere i Maneskin e ad amare Il Volo».
Sarà che non assomigliano per niente ai suoi amici Vecchioni, Guccini, Ranieri
«Forse vivo guizzi di giovanilismo insospettabile (ride). Ma a quei ragazzi nessuno ha regalato niente e hanno rappresentato l' Italia con dignità. È sterile avere diffidenza per ciò che non corrisponde ai nostri gusti. Anche per Modugno, o per Celentano a Sanremo, ci fu chi alzò il sopracciglio. O per Vasco Rossi. La storia insegna che conviene essere prudenti nei giudizi. Vedi i Mondiali del 1982, dopo i quali eravamo tutti a fare il bagno nelle fontane».
tullia brunetto con bartoletti e salvucci
Iniziano gli Europei.
«Stimo molto Roberto Mancini, è l' uomo giusto al posto giusto. Ha riscattato l' amore per la Nazionale che si era perduto, ha investito sui giovani e nel gioco. Poi si vedrà come andrà, ma lo difendo da critiche e insulti, gratuiti. Gli Europei sono un inizio di normalità, ne abbiamo bisogno. Ben vengano le partite, ben vengano gli spettatori negli stadi. Inutile scandalizzarsi perché si cerca di andare avanti».
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Forse nel frattempo abbiamo sostituito il tifo calcistico per il tifo per i virologi?
«Il mio quinto Bar Toletti s' intitolerà proprio Così ho vaccinato Facebook. Di alcuni virologi ed esperti vari abbiamo avuto la netta sensazione stessero più in tv che al lavoro. L' esibizione televisiva di tante cose incoerenti, davanti a una popolazione smarrita, non mi ha fatto amare particolarmente la categoria. Sì, ci siamo divisi tra guelfi e ghibellini ma questo non ci ha fatto bene. I social non hanno aiutato, e poi gli italiani sono giurati di Sanremo, geologi o ingegneri esperti a seconda del momento. La tv, in ogni caso, non ha dato il meglio di sé».
marino bartoletti
Qual è la tv che invece ama?
«Quella che dà buoni esempi. Che con senso di responsabilità intelligente misura ogni parola. Ma si è perso tutto ciò. Al giornalismo sportivo è accaduto quando tutti noi ci siamo sentiti personaggi e abbiamo perso di vista la missione di divulgare ed educare, scadendo in eccessi per cui lo spettatore era portato a pensare: se lo dice lui in tv, posso farlo anche io. L' amico Aldo Biscardi ha fatto scuola, ma era tutto preterintenzionale. Guardi oggi i talk show: almeno lì si litigava solo per un pallone».
In politica ha fatto una breve incursione, a Forlì, come consigliere comunale. Mai avuta la tentazione di continuare?
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«Fu un gesto d' amore per la mia città, che presi con impegno e dedicando tempo e risorse. In molti mi chiesero se volessi proseguire a livello nazionale, ma per me finì lì».
Chi glielo chiese?
«Non posso dire "cani e porci", suonerebbe male, scriviamo "parti politiche contrastanti". Non capivano che mai avrei rinunciato a indipendenza e libertà».
Tanti anni in Rai, da conduttore e da direttore. La politica quanto era presente?
«La Rai è un' azienda dalla quale ho ricevuto tanto, alla quale penso di aver dato tanto, ma dove ho anche toccato con mano livelli di ingratitudine che mai avrei pensato potessero esistere. La Rai è immortale: riesce a resistere ai danni che essa stessa si infligge. Ferme restando le eccellenze e le professionalità straordinarie che ci lavorano, intendiamoci. Ma c' è un sottobosco scoraggiante».
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È vero che la volevano assumere a Sky?
«Come no, sono stato candidato alla direzione. Le cose poi sono andate in un certo modo e preferisco non indagare oltre. Credo Sky faccia il migliore racconto dello sport in Italia, con competenza e professionalità».
Guarderà lì gli Europei?
«Non so, non credo. Sono abitudinario e come gli italiani medi ho la predilezione per il primo tasto del telecomando».
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Da settembre invece il campionato se l' è aggiudicato Dazn.
«Non sono sicuro mi abbonerò. C' è chi fa regole che partono come buone ma poi sono mal interpretate. E così non ci si ricorda dell' interesse dell' utente finale, ma solo di quello di pochi».
Creò il format di Quelli che il calcio. Lo guarda ancora?
«Qualche volta. È una trasmissione che ormai ha perso il significato di allora, perché il pomeriggio domenicale è stato spolpato. Mi sono piaciuti Luca e Paolo, e Nicola Savino: l' unico che mi ha dimostrato affetto e gratitudine. Nessuno mi ha più invitato.
Ma comunque non credo che ci andrei».
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Deluso?
«Mah, semplicemente non eravamo più fatti gli uni per l' altro. Ho tanti amici e me li tengo cari. Oggi se mi invitano in tv vado dove so che mi troverò bene. Ultimamente, per esempio, mi ha mai visto parlare di sport?».
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