Maurizio Caverzan per la Verità
bartoletti
Un settantenne alla conquista di Facebook. Non male come sorpresa, tanto più se il protagonista è un giornalista della carta stampata e della tv. Marino Bartoletti è una grande firma di calcio, ciclismo e motori, per due volte direttore del Guerin sportivo, fondatore della redazione sportiva Mediaset e direttore della testata sportiva Rai, inventore di Quelli che il calcio. Il suo successo sul principe dei social è tutt’altro che virtuale, come si è visto alla presentazione di Bar Toletti 3. Così ho sedotto Facebook (edizioni Minerva, prefazione di Vittorio Macioce) all’interno della rassegna Parole d’autore curata dall’associazione Cuore di carta di Albignasego (Padova).
«Una serata guardando negli occhi le persone a cui mi rivolgo vale più di tante ospitate televisive», confida.
FAZIO BARTOLETTI QUELLI CHE
Un settantenne che spopola su Facebook.
«Un ossimoro, direbbero quelli che parlano bene. Avrei potuto adagiarmi sugli allori. Invece, un paio d’anni fa ho trovato l’incoscienza giusta per avventurarmi su questo medium scivoloso».
Incoscienza o coraggio?
«Entrambi, forse. Ho superato le titubanze puntando sulle cose che so fare: raccontare storie e dialogare con i lettori, come ai tempi della posta del Guerin sportivo. Grazie a questo dialogo ho capito che le bestie di Facebook non sono così cattive, soprattutto se le sai educare. Anche i giovani hanno voglia di storie positive».
Per esempio?
«Racconto gli incontri di tanti anni di giornalismo. A pranzo con Enzo Ferrari. A gustare una torta con Enzo Bearzot. Nella camera di ospedale di Niki Lauda dopo l’incidente, quando si pensava che “la nera signora”, come direbbe Roberto Vecchioni, se lo sarebbe preso. Invece il prete che gli diede l’estrema unzione disse: “Non vuole morire”».
marino bartoletti
Il tuo segreto?
«Parlo di cose che ho vissuto. Chiunque può confutare delle opinioni, ma non le esperienze personali. Bene o male ho fatto dieci Olimpiadi e dieci Mondiali di calcio. Qualcuno di maleducato arriva anche sulla mia pagina. Rispondo prima con ironia, poi con fermezza. Pian piano gli haters si allontanano. Spesso sono altri followers a esortare i più insolenti a un comportamento rispettoso».
Che seguito hai?
«Il profilo può avere al massimo 5.000 like che si esauriscono in poche ore. Sulla pagina pubblica il post con il consenso più ampio ha raggiunto 2 milioni di visualizzazioni».
Qual è stato?
marino bartoletti vittorio feltri melania rizzoli
«Quello su Fabrizio Frizzi. S’intitolava: “E ora chi gli chiederà scusa?”. Il giorno del suo funerale scrivevo che era morto un gentiluomo e che qualcuno si era comportato male con lui, facendolo soffrire».
Chi o cosa ti ha convinto a sbarcare su Facebook?
«Qualcuno che mi ha suggerito affettuosamente di allinearmi alla contemporaneità. Ho lavorato nella carta stampata, alla radio, in tv, ho scritto per il teatro, non era giusto temere questo media. Anzi, potevo diventarne amico. Raccogliendo i primi post mi sono inventato Bar Toletti, niente di folgorante, Così ho sfidato Facebook. Vista la risposta, ho fatto Così ho digerito…, ora Così ho sedotto…».
DARIO FO FRANCA RAME
I social servono a compensare il poco spazio nel giornalismo tradizionale?
«Il giornalismo tradizionale lavora per il giorno dopo. Se segui l’attualità, nei social sei in tempo reale e finisci per dare un buco al giornale. Ospite delle rassegne stampa ho commentato spesso quotidiani già superati dalle notizie della notte. Siamo andati a letto che Donald Trump era stato eletto, ma nei giornali del giorno dopo non c’era scritto».
Il tempo reale vuol dire dialogo permanente con i lettori.
«Un dialogo strettissimo, una reattività inquietante. Una volta avevo scritto un punto e per errore è finito online. Subito mi hanno risposto dieci lettori con like e domande: “Cos’è, un messaggio criptato?”».
pippo baudo giampiero mughini marino bartoletti
Rapporto gratificante?
«È una reattività che stimola e può provocare una forma di dipendenza. Magari stai per addormentarti e ti viene una risposta, poi i followers replicano… È un meccanismo compulsivo, ma mi dà più soddisfazione questo dialogo che partecipare a certi programmi tv».
In questo terzo libro racconti il tuo Sessantotto in giacca e cravatta.
bartoletti
«Noi che eravamo dentro non ci siamo accorti della portata di ciò che stava accadendo. All’epoca l’esame di Stato si sosteneva in giacca e cravatta. Mi preparavo al futuro, al lavoro che volevo fare, senza tirare molotov. Mi sono rimboccato le maniche nella quotidianità e forse questo è più rivoluzionario di tanti proclami».
Da laureato in giurisprudenza come sei finito a fare il giornalista?
«A vent’anni presi il treno per andare alla redazione del Guerin sportivo a Milano. Dove vidi Gianni Brera che picchiettava sui tasti della Lettera 22 davanti a un fattorino che aspettava di sfilare la cartella dalla macchina per portarla in tipografia. Non c’era una correzione. Lo vedevo come il Papa che celebra messa nella cappella privata solo per me. Rimasi folgorato e lo sarei rimasto ancor di più lavorando vicino a lui».
Definisci Gianni Brera.
«Uno scrittore che ha portato la cultura nel giornalismo sportivo a livelli impensabili. Sono orgoglioso di aver diretto il Guerin sportivo dopo di lui».
Prima di Aldo Biscardi, invece, hai condotto Il Processo del lunedì.
bartoletti
«La sua prosa era diversa dalla mia, ma la riconoscenza vola più alta dei congiuntivi. Consapevolmente o no, ha portato il bar sport in tv. O, detto in modo nobile, lo spettacolo della commedia dell’arte, con i suoi Arlecchino, Pulcinella e Balanzone, cioè Gian Maria Gazzaniga, Antonio Corbo, Ezio De Cesari. Quando vedo la volgarità di certi talk show dico: ridateci Biscardi».
Qualche anno dopo arrivò la conduzione della Domenica sportiva.
«Nel 1985, anno dello scudetto del Verona. I veronesi mi amano ancora perché lo festeggiammo in studio con Osvaldo Bagnoli».
Un altro che citi spesso è Sergio Zavoli.
«Forse il più grande giornalista italiano».
Più di Montanelli?
«Sì, perché più abile nella multimedialità. Montanelli non è andato molto oltre la carta stampa, mentre Zavoli ci ha lasciato dei documentari di storia italiana che andrebbero studiati all’università».
L’erede di Biscardi è stato Maurizio Mosca?
marino bartoletti
«Non direi, anche se entrambi erano esperti nella commedia dell’arte. Indimenticabile l’Appello del martedì con Helenio Herrera e l’avvocato Peppino Prisco. Mosca era un bambino di 60 anni, di un’onestà disarmante».
Hai frequentato Beppe Viola?
«L’ho frequentato e amato e lo piango ancora adesso. Se Quelli che il calcio si chiama così è proprio per l’omaggio che gli abbiamo voluto fare inventando quella trasmissione che l’avrebbe divertito moltissimo».
Come nacque Quelli che il calcio?
«Nacque dalla suggestione di un bambino che guardava la radio. Guardarla era quasi più bello che ascoltarla, perché scatenava l’immaginazione: cosa c’era lì dentro? Una volta cresciuto pensai a una versione televisiva di Tutto il calcio minuto per minuto. Portai il progetto ad Angelo Guglielmi, grande direttore di Rai3».
E?
«Io e Carlo Sassi garantivamo la parte tecnica, ma non si trovava il conduttore. Proponevamo Fabio Fazio, che Guglielmi non voleva, Paolo Bonolis o Giorgio Comaschi che aveva condotto Galagoal dopo Alba Parietti».
Bartoletti e Vanoni
Perché Guglielmi non voleva Fazio?
«Era convinto che non bucasse... Andammo da Gianni Morandi, da Gaspare e Zuzzurro... Poi a qualcuno venne in mente Dario Fo. Ci recammo in delegazione a Spoleto dove recitava il suo Mistero Buffo. Illustrai il progetto, ma alla fine Franca Rame sentenziò: “Il mio Dario una stronzata così non la farà mai”. Aveva ragione, perché due anni dopo egli avrebbe vinto il Nobel per la letteratura. Ma quando venne ospite si divertì moltissimo».
Con Quelli che il calcio decollò la carriera di Fazio.
«Lui ha fatto la fortuna della trasmissione e la trasmissione la sua. Davamo un’immagine del calcio migliore di ciò che era realmente: sullo stesso divano sedevano gli esponenti del rigorismo tecnico e i tifosi più pittoreschi».
marino bartoletti
Chi ti piace dei nuovi cronisti sportivi?
Marino Bartoletti
«Noi intervistavamo i giocatori nudi in spogliatoio, tanti colleghi oggi vivono di Wikipedia e si limitano a mettere il microfono sotto la bocca dell’allenatore durante le conferenze stampa. Il miglior cronista di oggi è Francesco Repice che riesce ad abbinare ritmo, competenza e capacità di appassionare chi ascolta. Non è un caso che lavori alla radio».
Che idea ti sei fatto delle scelte di Fazio dopo Quelli che il calcio?
«Sono molto affezionato a Fabio, essendo suo testimone di nozze. Credo sia un grande talento. Anche quando vorrei chiamarlo per dirgli se è sicuro di quello che fa, alla fine prevale l’amicizia».
Nel calcio è l’estate delle rivoluzioni. Cosa pensi di Maurizio Sarri allenatore della Juventus?
Ricciarelli e Bartoletti
«È il più grande cambiamento della storia bianconera. La Juventus aveva già deviato qualche volta dal suo pragmatismo, ma non era mai ricorsa al suo peggior nemico, portatore di un verbo distonico rispetto alla cultura della real casa».
E della Roma che ammaina le bandiere Francesco Totti e Daniele De Rossi?
marino bartoletti mara venier
«Core de Roma è intraducibile in inglese. Pallotta pensa più allo stadio che agli scudetti. Detto questo, anche la società ha le sue ragioni. Francesco ha promesso che non avrebbe mai fatto nulla contro la Roma, ma l’addio con conferenza stampa di certo non ha rasserenato gli animi».
Dell’Inter che chiama Antonio Conte, suo nemico storico?
«Nell’Inter si fondono spirito aziendale dei nuovi proprietari e identità italiana. È una società che non si abbandona alla lagna, ma si rimbocca le maniche e prende un allenatore per vincere, come fece nell’87 ingaggiando Giovanni Trapattoni dalla Juventus».
Marino Bartoletti
Il più grande calciatore italiano.
«Direi Roberto Baggio».
Il più grande in assoluto?
«Maradona. Se il metro di misura è chi ha fatto vincere squadre che altrimenti non avrebbero mai vinto, Napoli e Argentina sono due prove sufficienti».
Il più grande allenatore.
«Helenio Herrera. Un risultatista che ha cambiato la storia del calcio non solo italiano. Si dice ancora oggi “l’Inter di Herrera”».
La Verità, 7 luglio 2019
Luca Di Bartolomei con Marino Bartoletti Bartoletti e Vanoni Marino Bartoletti racconta Di Bartolomei marino bartoletti Marino Bartoletti e Michele Mirabella Bartoletti Cisnetto Feltri Bartoletti Cisnetto Feltri bartoletti Bartoletti e Frizzi Marino BArtoletti Bartoletti Bonolis Colnago Ricciarelli e Bartoletti Bartoletti e Ricciarelli Veltroni Di Bartolomei Bartoletti Caracciolo e Florenzi Marino Bartoletti Marino Bartoletti Gabriella Farinon e Rosanna Vaudetti Marino Bartoletti e Giancarlo Magalli Marino Bartoletti fotografa Marino Bartoletti cortina MARINO BARTOLETTI VITTORIO SGARBI MARINO BARTOLETTI Bartoletti e Vanoni Molendini Bartoletti Baudo Salvatori Magalli