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BARBERO E CHAMPAGNE - BASTANO I SOCIAL, I PODCAST E LA FASCINAZIONE PER IL MEDIOEVO A SPIEGARE “IL FENOMENO” ALESSANDRO BARBERO, LA ROCKSTAR MEDIEVISTA “SCOPERTA” DA ALDO BUSI? FORSE NO: C’ENTRA L’ARCHETIPO DEL PROFESSORE DI STORIA COMUNISTA. E ALLORA ECCO LE DIRETTE CON DI BATTISTA E L’INVETTIVA SUL “CAPITALISMO DILAGANTE” - IL FOGLIO: "BARBERO PARTE DAL MEDIOEVO E ARRIVA AGLI STUDENTI DI PISA CARICATI DALLA POLIZIA E CI INFILA ANCHE UN PO’ DI ASSANGE PERCHÉ…" - VIDEO

 

Andrea Minuz per “il Foglio” - Estratti

 

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Guarda che Barbero è bravo, un talento precoce, uno studioso di Medioevo come pochi”, mi dicono alcuni colleghi allarmati, saputo che stavo per fare questo pezzo. E allora diciamolo subito: Barbero è bravo.

 

Bravo come storico del Medioevo, bravo come divulgatore. Barbero diverte, intrattiene, incanta platee diversissime su e giù per la penisola: da Floris al Petruzzelli, da Sarzana al San Carlo, dal Salone di Torino al Leoncavallo. Barbero è un format (“In viaggio con Barbero”), Barbero è un podcast (“Chiedilo a Barbero”), Barbero è un canale Youtube (“La storia siamo noi”).

 

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Barbero è una web-star (...)

 

Altra ipotesi: la fascinazione per il Medioevo, che acchiappa sempre. Perché podcast e tutorial li fanno tutti, ma il Medioevo solletica fantasie sfrenate, accende l’immaginazione, vira sempre un po’ sul fantasy, e da Carlo Magno a Tolkien e Atreju c’è, volendo, tutta un’immaginifica continuità. Miscelato nel modo giusto, il Medioevo si vende sempre bene, come aveva capito meglio di tutti Umberto Eco.

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C’è un talento, per carità. Il primo ad accorgersene fu Aldo Busi. Letto il manoscritto che altri avevano respinto o ignorato (tra cui Gesualdo Bufalino), Busi pubblicò il primo romanzo di Barbero con Mondadori, “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo” (il titolo era di Busi).

 

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Però nessuno degli altri suoi romanzi (nove sin qui) ebbe poi il successo di “Mr. Pyle”.

Il “barberismo” non è un fatto di libri, ma di video. E’ presenza scenica, performance, equilibrismi, giocolerie da palcoscenico.

 

Guardo e riguardo le conferenze su Youtube. (...)  c’è poco da fare, dev’essere comunista. Perché il talento affabulatorio, il pathos, il coinvolgimento, il Medioevo va bene tutto. Ma in Barbero c’è il format italiano più vecchio e rassicurante di sempre, come una prima serata su Rai 1 con Carlo Conti: il professore di storia comunista. Un archetipo. Una maschera. Un personaggio fisso della nostra eterna commedia.

 

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BARBERO DI BATTISTA

 

Nel frattempo Barbero fa le dirette Anpi per separare il comunismo buono da quello cattivo, spiega che Stalin andando al potere si è “dimenticato di cosa vuol dire essere comunista” (che è la versione Barbero del refrain da bar “ma quello non era vero comunismo!”).

 

Barbero con Angelo D’orsi, Barbero a braccio sul “capitalismo dilagante” e a braccetto con Montanari sulle Foibe; Barbero che celebra il 25 aprile con Marco Rizzo, festa dell’antifascismo e dell’“anticapitalismo”, e Barbero fianco a fianco con Dibba che lo guarda sbattendo le ciglia mentre dice “nessuno storico ricorderà le vittime palestinesi perché non sono morti occidentali”, quando tanto per cominciare, a una settimana dal 7 ottobre, erano semmai spariti morti e ostaggi israeliani, ma questi son dettagli, lasciamo perdere.

 

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Parte dal Medioevo e arriva agli studenti di Pisa caricati dalla polizia e ci infila anche un po’ di Assange perché le democrazie zittiscono il dissenso. Siamo peggio dell’Iran. “In una società complessa come la nostra”, dice, “sarebbe triste il giorno in cui gli studenti non protestassero più”.

 

Chi non può dirsi d’accordo con una frase del genere? E sarebbe noioso, pedante, fuori luogo aggiungere che la cosa più critica e protestataria che può fare oggi uno studente è forse sfoderare, tra mille bandiere palestinesi che sventolano in Ateneo, un timido striscione che invochi la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas. Ma del resto, chi da giovane voleva ritrovarsi parte di una minoranza infima e isolata?

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