‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI…
‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”
DAGONOTA
Le 998 pagine del diario di Leonetta Pieraccini, edite in questi giorni da Sellerio, sono una preziosissima e sorprendente memoria, priva di moralismo e di sentimentalismo, per ficcare il naso nella vita e nel costume di quell’Italia letteraria e artistica, dal 1935 al ’45, finita sotto il tallone del regime fascista.
A parte la passione per la pittura, la più celebre “opera” di Leonetta Pieraccini fu il matrimonio, celebrato nel 1911, con il celebre critico letterario Emilio Cecchi, che ha dato vita a una dinastia ricca di immaginazione, a cui era assolutamente proibito fare a meno dell’uso dell’intelligenza.
corso d italia 11 - agendine 1930-1945 leonetta cecchi pieraccini - copertina
Dalla figlia Giovanna detta Suso, grande sceneggiatrice del cinema italiano del secondo Novecento (da Blasetti a Visconti), fino al nipote, eccellente studioso di letteratura inglese, Masolino. E la curatrice di questo terzo volume di “taccuini”, iin cui “ogni giorno annotava tutto quello a cui assisteva in presa diretta, dentro e fuori le porte di casa, in viaggio o nella sua residenza”, è la bisnipote Isabella d’Amico.
Le mille pagine sono zeppissime di gran parte dei protagonisti della scena culturale, non solo italiana, del primo Novecento: da Leo Longanesi a Mario Soldati, da Cardarelli a Ungaretti, da Longhi a Bartoli, eccetera, tra cui spiccano la vita e le opere e i guai del “semi-ebreo” Alberto Moravia con leggi razziale della dittatura fascista.
Estratto dal libro ‘’Corso d’Italia 11 – Agendine 1930-1945’’ – di Leonetta Cecchi Pieraccini – Sellerio Editore Palermo
Venerdì 29 luglio 1938
Incontrato Malaparte. Moravia pare sia stato dimesso dalla «Gazzetta del Popolo» per ragioni di razza. Egli avrebbe scritto a Mussolini facendo presente il suo caso. M'è venuto fatto una volta di chiamare Malaparte col suo nome di Suckert.
«Oh, non scherziamo», dice lui. «Non sono momenti! Io mi chiamo Malaparte». (Ma nel 1941 poté gloriarsi in pubblico del suo primiero nome stampandolo preceduto perfino da tanto di von).
Nel contado italiano nessuna infiltrazione ebraica. Roma è stata di tutti i tempi città contaminatissima di ebraismo. Firenze ha avuto lunga consuetudine di matrimoni con stranieri. Soggiorni di inglesi, dominio austriaco ecc. La razza risente di caratteri sassoni. La Sicilia non ha ebrei perché è assolutamente araba.
23 ottobre 1938
Moravia ha i movimenti scomposti e le risate sguaiate del ragazzaccio. Appena si fa serio si accentua l'età del suo volto. Un volto adulto e triste quasi sofferente, dove gli occhi febbrili bruciano inquieti. Simpatia di Moravia per Hitler. Egli dice che degli uomini politici del momento è quello che più gli piace perché gli pare non sia mosso da ambizione personale per quello che fa.
benito mussolini galeazzo ciano
25 dicembre 1938
Moravia diceva, con la sua violenta energia, del disagio morale sorto in lui, come in altri che ne son colpiti in conseguenza dei provvedimenti antiebraici. Egli è salvo perché essendo di razza mista, è considerato ariano. Non è danneggiato nella sua arte perché può pubblicare: ma invece non gli riesce di scrivere.
«La Gazzetta del Popolo» attende due articoli al mese, da lui, ed egli non ha voglia di farli. «Per orgoglio forse, per mancanza di persuasione: perché non si crede più alla letteratura, perché non c'è ambiente, perché hanno tutto sporcato... Del resto dai venti ai trent'anni io ho lavorato con un entusiasmo e un'intensità che pochi hanno avuto. Ho pubblicato quattro libri, quasi tutti tradotti in molte lingue. Chi sono l'ho già detto; posso anche chiudere...».
Ma quando è venuta Olga Signorelli e ha detto che sa leggere la mano, egli ha subito chiesto: «Lavorerò ancora? Avrò successo? Avrò lunga vita? Avrò salute?». «Lunga vita si», dice Olga dopo aver guardato la mano, «e sana e successo e ripresa di lavoro. Vita felice. Intorno al polso i tre anelli della fortuna che non sono tanto frequenti. Mano generosa».
Mentre questa conversazione piuttosto brillante si svolgeva in salotto, nello studio di Em. un altro semiebreo gemeva sui suoi casi. Umberto Saba, figlio di padre ariano e di madre ebrea. Ma egli per solidarietà con la madre abbandonò fin da giovinetto la casa paterna e ha sempre convissuto con la madre e si è iscritto all'associazione ebraica e ha sposato un'ebrea e ha una figlia ebrea.
suso Cecchi e fedele D’Amico con masolino e silvia
Ora si trova rinnegato come poeta italiano mentre egli era ambizioso di essere forse il primo. È avvilito e scorato fino a rasentare il pensiero del suicidio. A Parigi un medico gi prescrisse una dose di Veronal per calmarlo e gli disse indovinando il suo pensiero: «Non potrete avere un'altra dose che fra una settimana. Per avvelenarvi dovrete mettere insieme quattro di queste dosi. Forse in quattro settimane avrete ripreso coraggio». E in quattro settimane ritrovò il coraggio di tornare in Italia. Ma non per vivere in pace.
Venerdì 30 giugno 1944
Visita di Moravia con la moglie. Hanno vissuto per otto mesi in campagna presso Fondi, alloggiando in una specie di stalla annessa a una casa di contadini. Costretti per avere luce a tenere aperta la porta. Elsa stava seduta sopra l'unica sedia, Moravia disteso sopra il letto, o viceversa.
Passavano giornate intere a guardare piovere, perché piovve per mesi. Unico libro da leggere la Bibbia. «Ma dopo quindici giorni la Bibbia non si può più leggere». I contadini della contrada assenti, indifferenti. Analfabeti tutti quanti. Non s'interessavano della guerra, non importava loro di nulla. Quando la guerra si è avvicinata gli episodi sono stati spaventosi.
L'evacuazione del Minturno, per la quale fu concessa mezz'ora di tempo è una delle memorie più tragiche che i Moravia abbiano di tante sciagure a cui hanno assistito. Capri, luogo di riposo degli aviatori è divenuto una colossale e totale casa di tolleranza. Non una casa che non sia un bordello. Ragazze che incassano diecimila lire al giorno.
CARO DUCE TI SCRIVO
Marina Valensise per “il Messaggero” del17 settembre 2018
Nell' estate del 1938, Alberto Moravia aveva trent' anni. Bruno, magro, elegante era un giovane libertino in balìa di amori compulsivi e complicati, dopo lunghi anni di malattia, e uno scrittore famoso, per la precoce celebrità ottenuta con Gli Indifferenti, il primo romanzo, pubblicato a ventidue anni dalla Alpes, la casa editrice diretta dal fratello del duce, Arnaldo Mussolini.
Scriveva saggi, articoli, novelle, racconti di viaggi per le riviste ufficiali e conosceva il mondo. Era un inquieto, insofferente alla vita borghese. Era stato in Francia, in Germania nei giorni dell'incendio del Reichstag, aveva vissuto a Londra, dove il critico d' arte Bernard Berenson, l'aveva introdotto all' aristocrazia letteraria del tempo.
Cosmopolita, era uno dei pochi a conoscere gli Stati Uniti. Nell' inverno 1935-36 aveva passato quattro mesi a New York, alla Casa d' Italia, diretta da Giuseppe Prezzolini alla Colombia University, per una serie di conferenze sul romanzo italiano. Da lì, per sfuggire al freddo, se n' era andato in Messico, mentre con la guerra d' Etiopia per l'Italia iniziavano le sanzioni della Società delle Nazioni.
Nel 1937, grazie a un finanziamento del Ministero della propaganda, era partito per la Cina, con tappa a Aden, Calcutta, Shangai, Cancun, Pechino, e persino nel deserto della Mongolia, per articoli destinati alla Gazzetta del Popolo, diretta da Ermanno Amicucci, che l'anno dopo sarebbe stato, con Soffici e Papini, fra i firmatari del Manifesto per la difesa della razza
Eppure, a trent' anni, Moravia non era ancora indipendente. Viveva in casa dei genitori, in via Donizetti, al quartiere Pinciano. Il padre, Carlo Pincherle, era un ebreo veneziano taciturno e schivo, fratello della madre dei fratelli Rosselli, noti antifascisti esuli a Parigi. Architetto di professione e pittore per hobby, fu sempre un sostenitore del figlio scrittore, che finanziò per pubblicare il primo romanzo, e mantenne per anni con un mensile di 500 lire.
La madre, Teresa De Marsanich, cattolica di modesta estrazione e grandi ambizioni, era la figlia di un impiegato di origine slava cresciuto nel culto del Risorgimento, e la sorella del deputato e sottosegretario fascista Augusto De Marsanich. Per Alberto sognava la carriera diplomatica, ma dotata di molto buon senso, quando le leggi razziali la minacciarono direttamente, non si scompose e fece cambiare nome ai figli, che presero quello della nonna materna, Piccinini.
Moravia da anni era nel mirino della censura. Nel 1935, dopo un articolo uscito a Parigi su Giustizia e Libertà, la rivista dei Rosselli che cercavano di accreditarlo alla causa, il suo secondo romanzo, ''Le ambizioni sbagliate'', era stato bandito.
Amicucci sospese la sua collaborazione e Moravia, il 26 marzo 1935, chiese aiuto direttamente a Mussolini, dicendosi «assai stupito della cosa», «non avendo nulla» da rimproverarsi «sia dal punto di vista morale che da quello politico».
edda mussolini e il marito galeazzo ciano
Costretto a prosternarsi al regime totalitario, giustificò la mancata iscrizione al Partito fascista per la «grave infermità che mi fece stare a letto cinque anni astraendomi nonché dalla vita sociale e politica dalla vita addirittura».
E cercò di cancellare ogni sospetto con una professione di fede: «Ammiro l'opera del Regime in tutti i vari campi in cui si è esplicata e in particolare in quella che come artista a me più interessa, cioè in quello delle lettere e della cultura. Debbo inoltre soggiungere che la personalità intellettuale e morale della Eccellenza Vostra, mi ha sempre singolarmente colpito come esemplare e straordinaria per la molteplicità delle attitudini e la forza della ispirazione».
I fratelli Carlo e Nello Rosselli
La supplica non ebbe non seguito. Ai primi di giugno, su pressioni dell'editore Mondadori, Moravia difese il suo romanzo scrivendo all' astro nascente della politica culturale fascista e genero del Duce, Galeazzo Ciano, habitué con Edda del salotto Pecci Blunt frequentato anche da lui: «Sono convinto di aver fatto opera che non sia estranea né esorbiti dal clima e dai quadri della Rivoluzione Fascista».
La lettera non ebbe risposta, ma il romanzo ricevette il nulla osta di Mussolini, anche se Ciano impose ai giornali il divieto di parlarne.
alberto moravia con i genitori carlo pincherle e Teresa Iginia De Marsanich
Due mesi dopo, il 18 agosto 1935, istigato da Curzio Malaparte, Moravia scrisse di nuovo a Ciano, proponendosi di passare qualche mese in Eritrea «allo scopo di comporre un libro sulla guerra degli Italiani in Africa».
Ma la sua richiesta non fu assecondata. Fu così che pochi mesi dopo, Moravia decise di ripartire per gli Stati Uniti. Rientrato a Roma, il 15 luglio 1936, dopo un'altra supplica a Mussolini, riottenne il permesso di riprendere la collaborazione con la Gazzetta del Popolo. Dunque Moravia non era nuovo a intimidazioni e censure. Ma l'assassinio dei cugini Rosselli nel giugno 1937 cambierà tutto.
Per questo, nel pieno della campagna razziale, sentendosi di nuovo minacciato quando un suo racconto verrà bollato da un anonimo censure sulla Gazzetta del Popolo «Evviva il giudaismo e gli scrittori ebrei che come il nostro Moravia vi prendono in giro», il 28 luglio 1938 si rivolgerà di nuovo a Mussolini per sottrarsi alla persecuzione:
I fratelli Carlo e Nello Rosselli
«Io ebreo non sono se si tiene conto della religione. Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in famiglia educazione cattolica. È vero che mio padre è israelita; ma mia madre è di sangue puro e di religione cattolica, si chiama infatti Teresa De Marsanich ed è la sorella del Vostro sottosegretario alla comunicazione. Per queste ragioni, Duce, io vi chiedo di non essere considerato ebreo e di essere trattato almeno dal punto di vista professionale come non ebreo».
alberto moravia elsa morante 1
L' umiliazione è completa e il dietrofront assicurato. Moravia può continuare a pubblicare sulla Gazzetta del Popolo. Il 13 settembre, dieci giorni dopo le prime misure antiebraiche, seguite dal Regio Decreto del 17 novembre, si riunisce la Commissione che doveva stabilire i criteri per la bonifica libraria. Il caso Moravia è all'ordine del giorno, ma non se ne farà niente.
Moravia è Capri, dove ha raggiunto Elsa Morante, conosciuta l'anno prima e subito caduta nella sua morsa. «La sola cosa che desidero è star tranquillo e scrivere un libro», confida all' amico Giorgio Vigolo da Villa Ceselle, a Anacapri. Ha ripreso in mano le poesie di Keats e prova disgusto e rimorso. «Ho paura che a forza di antil-irismo, finiremo per andare a letto al buio». Il peggio deve ancora cominciare.
Parte finale di una Lettera di Alberto Moravia a Benito Mussolini del 26 marzo 1935 - Roberto Festorazzi, “Caro Duce di scrivo”. Il lato servile degli antifascisti durante il Ventennio, Edizioni Ares, Milano 2012.
Eccellenza […].
Gli indifferenti di Alberto Moravia - prima edizione 1929
Tengo dunque a dichiarare che ammiro l’opera del Regime in tutti i vari campi in cui si è esplicata e in particolare in quella che come artista a me più interessa, cioè in quella delle lettere e della cultura. Debbo inoltre soggiungere che la personalità intellettuale e morale dell’Eccellenza Vostra, mi ha sempre singolarmente colpito come esemplare e straordinaria per le molteplicità delle attitudini e la forza della ispirazione e soprattutto per il fatto di avere nel giro di pochi anni saputo trasformare e improntare di Sé la vita del popolo italiano.
Queste cose che io vi scrivo non sono dovute a nessuna specie di personale interesse o di ambizione politica, ma al sincero desiderio di chiarire dinanzi alla V.E. e al Regime la mia particolare situazione, che è quella di un artista italiano il quale cerca di fare opera non indegna della grande tradizione e dell’immancabile avvenire del suo Paese.
alberto moravia elsa morante 2
leonetta cecchi pieraccini 4
leonetta cecchi pieraccini 2
COPPIE LETTERARIE - ALBERTO MORAVIA E ELSA MORANTE
leonetta cecchi pieraccini 5
franco franchi moravia totò e pasolini
alberto moravia casa museo 6
‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI…
DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO,…
CAFONAL! FORZA ITALIA ''IN LIBERTÀ'' - DALLA CALABRIA, PASSANDO PER ARCORE, ARRIVA LO SFRATTO…
DAGOREPORT: AMADEUS TORNA IN RAI - IL RITORNO A VIALE MAZZINI POTREBBE MATERIALIZZARSI GRAZIE ALLO…
DAGOREPORT – VI RICORDATE QUANDO GIORGIA MELONI DEFINIVA LA SORELLA ARIANNA UNA “PRIVATA CITTADINA…
DAGOREPORT - NON SI STA MAI TRANQUILLI: AL RISIKO FINANZIARIO (MPS-MEDIOBANCA) FINITO TRA LE CARTE…