Stefano Bucci per il “Corriere della Sera - Roma”
DERVISCIO CON ROSA DI FRANCO BATTIATO
La biografia di Franco Battiato «da pittore» potrebbe tranquillamente fare da testo per una delle sue canzoni più celebri, una di quelle dove la memoria, l’ironia e la voglia di spiritualità si fondono alla perfezione, una di quelle che compaiono nei suoi album, Patriots o La voce del Padrone, Mondi Lontanissimi o L’ombrello e la macchina da cucire:
«A scuola prendevo sempre “uno” in disegno — racconta a “la Lettura” alla vigilia della mostra che la Milanesiana dedica ai suoi ritratti —. A un mio compagno di classe, bravissimo in disegno, sapendo che suonavo la chitarra, proposi uno scambio: io gli avrei insegnato gli accordi di una canzone di Neil Sedaka che mi aveva chiesto, lui avrebbe fatto il compito al posto mio. Certo non era credibile che di colpo mi illuminassi… Lo sporcai volutamente. Il professore, giustamente, mi dette tre e mezzo ».
Grandi saggi (cominciando da Gilgamesh) e poi dervisci che più o meno «ruotano sulle spine dorsali» e altri (più giovani) con una rosa in mano, amici soprattutto, qualche celebrità di Hollywood (come Willem Dafoe e la moglie Giada Colagrande) e persino un condor, una teiera e un parassita, più precisamente un esemplare di Rhipicephalus sanguineus , la comunissima «zecca dei cani», dipinta come una sorta di guerriero manga: sono loro i protagonisti dei 19 ritratti, dagli anni Novanta a oggi, esposti nella Sala dei 146 dello Iulm di Milano.
FLEUR JAEGGY DI FRANCO BATTIATO
Tutti realizzati ad olio, tranne un paio con pigmenti puri («una tecnica affascinante ma difficilissima»). Nel suo carnet di pittore, il settantenne cantautore siciliano — ma anche compositore e regista — nato a Jonia, in provincia di Catania, il 23 marzo 1945 può contare un’ottantina tra tele e tavole dorate (sua tra l’altro la rosa dell’album Fleurs , diventata il simbolo della Milanesiana ). Oltre a una serie di personali a Roma e Catania, Stoccolma, Miami, Firenze, Göteborg e Istanbul.
Un autodidatta con un coraggio talmente spudorato da non aver voluto modelli — confessa —, ma anche uno perfettamente consapevole dei propri limiti: quando ho iniziato, sapevo bene di non essere in grado di dipingere, ma sapevo anche bene che noi esseri umani possiamo essere capaci di superare qualunque cosa.
Ma chi è Battiato pittore? « Poco importa, insomma, se siano ritratti più o meno “belli”, non mi interessa, quello che conta è che quegli uomini e quelle donne che ho raffigurato “siano proprio loro”».
E aggiunge: «Quando penso a tutti questi quadri che ho dipinto fino a oggi, mi sorprendo. Quando ho cominciato mi sentivo davvero un incapace. In qualche modo ho vinto una scommessa, ho dimostrato che anche solo un po’ di talento può bastare». Più volte cita a proposito del proprio percorso artistico Socrate, Platone, Aristotele, Avicenna, Averroè, Al-Ghazali, Farid al-Din ’Attar, i filosofi greci e la fisiognomica.
DERVISCI IN PREGHIERA DI FRANCO BATTIATO DALLA RIVISTA ARTE
Ma quello che lo guida è «l’ideale, anacronistico e ridicolo, che da sempre insegue: il miglioramento». Per questo la sua idea di «incapacità» non appare negativa, anzi: «Pensavo che la mia totale incapacità nel disegno dipendesse dalla mancanza di una naturale predisposizione, come lo stonato che non riesce a emettere la stessa nota che ha in testa.
battiato al piper nel 1972
Con il tempo ho scoperto invece che quello che mi mancava era la possibilità di cogliere la persona nella sua esatta forma. Perché ho iniziato a dipingere? Per sfida. E per terapia riabilitativa: per cercare di togliermi quella superficialità che è il peggior difetto di certa consacrata pittura moderna».
Bisogna, insomma, guardare sempre oltre la superficie dorata oppure ocra dei ritratti di Battiato, per coglierne il senso. Esattamente come aveva fatto l’amico Gesualdo Bufalino che qualche anno fa aveva scritto: «La pittura di Battiato, qualora pretendessimo di canalizzarla in un comodo alveo di neoprimitivismo, dimenticando la ricchezza operativa e intellettuale che la sorregge, rischierebbe di apparirci l’hobby d’un artista episodico e dimezzato; mentre, viceversa, osservandola con tutti e due gli occhi, della natura e della cultura, ne vedremo i colori sposarsi affettuosamente alle note, alle parole, alle meditazioni dell’autore e in quest’alleanza, per non dire connivenza, spiegarci la cifra inconfondibile di un’anima».
FRANCO BATTIATO
Tanto per citare un altro dei suoi lavori musicali, quello che conta è, spiega Battiato, «l’occhio interiore» (titolo di un album di cover del 2009) perché «se ti concentri profondamente su quello che stai facendo, le cose cambiano, l’occhio ti apre un’altra dimensione».
Ci sarà però qualche artista che Battiato ama più di altri? «Molti dell’Ottocento. Renoir per esempio lasciò Parigi per andare a convincere Wagner a farsi ritrarre e gli riuscì». E van Gogh: «Andavo alle mostre e mi dicevo che aveva i miei stessi difetti di prospettiva, era disarmonico e forse proprio per questo mi piace».
Mentre Battiato non ama una buona parte dell’arte contemporanea, perché in qualche modo «lo butta giù» esattamente come accadeva con la musica contemporanea, i cori russi e il finto rock nel suo Centro di gravità permanente .
TIGRE DI FRANCO BATTIATO BATTIATO DERVISHES
FRANCO BATTIATO AL PARLAMENTO EUROPEO MEDIORIENTE DI FRANCO BATTIATO