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    BEATLES, ULTIMO ATTO! QUANDO JOHN LENNON DISSE: “VI SACRIFICHEREI TUTTI PER YOKO ONO” - ESCE "GET BACK", VOLUME CHE NASCE DALLA DOCUMENTAZIONE DELLE SESSION DI "LET IT BE" E RACCONTA IL PERIODO NEL GENNAIO DEL 1969 CHE PORTÒ POI ALLA FINE DELLA BAND - PAUL McCARTNEY CONVINTO CHE “SAREBBE DA SCIOCCHI ANDARE A ROTOLI”. GEORGE HARRISON CHE FA INCAZZARE LENNON CHE PENSA DI SOSTITUIRLO CON ERIC CLAPTON -– LA DOCUSERIE IN ARRIVO SU DISNEY+


     
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    Andrea Laffranchi per corriere.it

     

    beatles e yoko ono beatles e yoko ono

    Vedere i Beatles sgretolarsi. John Lennon comunicò la fine del gruppo nel settembre del 1969, durante una riunione con Paul, Ringo e il manager Allen Klein (George non era presente). Paul annunciò l’addio pubblicamente il 10 aprile 1970, un mese prima dell’uscita di «Abbey Road».

     

    Ma le cose all’interno della band non andavano bene da tempo. A ricostruire la fine del più grande impero della storia della musica contribuisce Get Back, un progetto ufficiale dei Beatles che nasce dalla documentazione delle session di «Let It Be»: 120 ore di registrazioni audio e 55 ore di riprese video che ci portano dietro le quinte. Un Grande Fratello Beatles che documenta le settimane di lavorazione in studio, le tensioni, il processo decisionale, la costruzione delle canzoni e la loro evoluzione, e anche i momenti leggeri. 

     

    Get Back è un ricco volume con le trascrizioni di quei dialoghi e le foto inedite di Ethan A. Russell e Linda McCartney (esce il 12 ottobre, Mondadori) e una docu-serie in tre puntate, a cura di Peter Jackson (su Disney+ 25-27 novembre).

     

    beatles beatles

    Nel gennaio del 1969 i Beatles si trovano nei Twickenham Film Studios di Londra. Sono passati pochi mesi dall’uscita del cosiddetto «White Album» e ci sono già altri progetti su cui lavorare: nuove canzoni e un concerto che dovrebbe segnare il ritorno alla musica dal vivo a tre anni dall’ultima esibizione. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr acconsentono alla presenza di una troupe diretta da Michael Lindsay-Hogg, il regista del video di «Hey Jude», per uno speciale tv che dovrebbe anticipare il concerto:

     

    10 giorni di session in cui provano nuove canzoni, oltre a quelle che finiranno su «Let It Be», all’epoca pensavano di chiamarlo «Get back», anche alcune di «Abbey Road». La tensione è evidente sin da subito. Non è ben chiaro come, dove e quando — e soprattutto se — questo spettacolo si farà. Si parla dell’anfiteatro di Sabrata in Libia, ma Ringo non vuole andare all’estero. Si pensa a uno show a sorpresa a Primrose Hill, ma George crede che col pubblico non si possa ottenere la stessa precisione che si ha in studio. Una crociera è un’altra soluzione, ma non coalizza i quattro.Il progetto va avanti, anche se non si capisce quale forma prenderà.

     

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    Quello che prende forma, anche se questo si vedrà meglio nella docu-serie, sono le canzoni: la prima versione di «Let It Be», la costruzione del testo di «Get Back», «Two Of Us», «Across the Universe»... È come ficcare il naso nella bottega dei Fab Four. I due registratori sempre accesi documentano anche momenti extra musicali: le confessioni dell’hangover della notte prima, le ordinazioni per il pranzo: John chiede riso integrale e omelette con i funghi, George preferisce salsa di formaggio e cavolfiori, Ringo purè di patate. Non è facile cogliere il tono delle frasi dalle trascrizioni e da una traduzione non sempre fluida.

     

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    Chissà se Paul scherza o è serio quando, stanco dei ritardi di John, dice che pensa di volersi sbarazzarsi del compagno. La tensione si percepisce. C’è un momento in cui sembrano tutti consci che l’esperienza del gruppo stia per arrivare al capolinea. «Non è più come prima», dice Harrison riferendosi agli ultimi due anni, dopo la morte del loro manager Brian Epstein». Macca aggiunge il carico: da allora «a turno, ci siamo stufati del gruppo».

     

    Il 7 gennaio nello studio risuona la parola «divorziare». È Harrison a pronunciarla: «Per me dovremmo divorziare». «Ci stiamo avvicinando» sente Paul convinto però che «sarebbe da sciocchi andare a rotoli». Nel frattempo Harrison — non esce benissimo da questa versione — ha abbandonato le session. Il 10 gennaio Lennon sbotta e pensa addirittura di sostituirlo: «Se non torna entro lunedì o martedì chiediamo a Eric Clapton di suonare».

     

    Per John non sarebbe un problema andare avanti con la nuova formazione. La settimana successiva si affronta il tema della presenza ingombrante di Yoko Ono. Per Paul le strade sono due: la prima è «opporsi alla relazione» e chiederle «di starsene buona alle riunioni del consiglio»; la seconda «è di rendersi conto che è qui e che lui non si separerà da lei solo perché glielo chiediamo noi». Prevarrà la diplomazia perché «se si arrivasse a dover scegliere tra Yoko e i Beatles, vincerebbe Yoko». Ed è lo stesso Lennon che, percepita la tensione, chiarisce: «Vi sacrificherei tutti per lei».

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    Terminate le session ai Twickenham, la band prende una pausa di una settimana per spostarsi negli uffici della Apple in Savile Row. George ha vinto: non si farà un concerto con un pubblico. In studio c’è anche il tastierista Billy Preston, presenza fondamentale in questa seconda parte: porterà idee fresche che faranno ripartire il flusso creativo. Addirittura John e George vorrebbero fare di lui «un quinto Beatle», ma è Paul a frenare:

     

    «È già abbastanza dura con quattro». George e John sono d’accordo anche sul fatto che degli album solisti darebbero uno sfogo alla creatività dei singoli e proteggerebbe gli equilibri interni. All’improvviso si inizia a parlare di un concerto sul tetto della sede della Apple.

     

    L’idea accelera improvvisamente e all’ora della pausa pranzo del 30 gennaio i quattro sono sul rooftop: 9 canzoni, la strada piena di curiosi, la polizia che non capisce cosa stia accadendo e arriva per le proteste dei vicini, un concerto che entra nella storia, John che saluta con il migliore epitaffio mai immaginato: «Vorrei ringraziarvi a nome del gruppo e di noi stessi, e spero che abbiamo superato l’audizione».

     

     

     

    BEATLES ULTIMO ATTO

    Marinella Venegoni per "la Stampa"

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    Sarebbe un po' come una specie di Grande Fratello Vip dei Beatles ma per iscritto, questo librone con i Fab Four asserragliati nel gennaio 1969 ai Twickenham Film Studios prima e nei nuovissimi Apple poi, a chiacchierare scherzare discutere e suonare, battuta per battuta, idea per idea, circondati di fotocamere e registratori a nastro che ne documentano ogni mossa, ogni smorfia, ogni idea, ogni parola, ogni canzone propria o altrui suonata per abbattere pensieri e momenti di vuoto e prepararsi così al definitivo concerto sul tetto.

     

    Al tempo erano quelli gli strumenti scelti per immortalare dal vivo quella che si sarebbe rivelata l'ultima session di lavoro comune di una band inconsapevolmente avviata verso l'immortalità. The Beatles: Get Back, che tutto questo contiene, è un volume curatissimo come lo status dei protagonisti richiede.

     

    Beatles in India Beatles in India

    Grafica importante, 240 pagine, costo 39 euro, centinaia di immagini inedite fra le quali quelle scattate da Linda Eastman, che nel giro di un paio di mesi sarebbe diventata l'amatissima signora McCartney. Ognuno dei quattro sente dentro di sé il senso di un'avventura che finisce, e pensa senza dirlo agli altri a che cosa farà «dopo».

     

    Come tante altre volte, sono riuniti per dare vita a un nuovo progetto che in quel momento s' intitola Get Back ma diventerà Let it Be. Per 21 giorni si offrono volontari testimoni di se stessi, della loro arte, del proprio modo di stare insieme. E per l'ultima volta: perché quel 30 gennaio, in Savile Row, il concerto sul tetto della Apple chiuderà la loro esaltante storia collettiva. The Beatles: Get Back è dunque un documento ufficiale, come fu la Beatles Anthology, sulla chiusura di una saga che durerà per sempre. Il volume esce il 12 ottobre in tutto il mondo e in dieci lingue, fra le quali l'italiano, con Mondadori.

     

    BEATLES 1964 BEATLES 1964

    C'è una preziosa introduzione di Hanif Kureishi, lo sceneggiatore di My Beautiful Laundrette, che racconta come forse mai nessuno prima lo spirito di quell'epoca, i ragazzi britannici che si svincolavano dalla cultura dei padri e ne impastavano una propria anche attraverso le figure dei Quattro di Liverpool.

     

    Qualcosa del genere succede, del resto, anche oggi. Scrive, tra l'altro, Kureishi, contro la ricorrente leggenda dell'atmosfera cupa di quei giorni: «In realtà è stato un momento estremamente produttivo per loro, durante il quale hanno creato alcuni dei loro pezzi migliori». Ma poiché i Beatles restano sempre il caviale della comunicazione, l'operazione che li riguarda va ben al di là del volume. Per quanto perfettamente autonomo e anzi affascinante con i suoi dialoghi che si leggono con curiosità, come a spiare dal buco della serratura, The Beatles: Get Back va inteso come corredo di un documentario con lo stesso titolo, in tre episodi, a cura del premio Oscar Peter Jackson, che andrà in onda in esclusiva su Disney+ il 25, 26 e 27 novembre prossimi.

     

    I BEATLES CON EPSTEIN I BEATLES CON EPSTEIN

    Qui sono state utilizzate le 55 ore di ripresa originaria di Michael Lindsay-Hogg del 1969, con una pellicola 16 mm ora restaurata. E non è finita. Volete mica che non ri-escano i dischi di quel momento? Universal Music mette fuori il 15 ottobre le nuove edizioni speciali di Let it Be, l'ultimo loro album uscito l'8 maggio del '70, in digitale, e cinque formati fisici in CD e vinile fra i quali una versione Super Deluxe con un ulteriore libro di 105 pagine e altri mix, con varie qualità di ascolto e registrazioni di prove e di jam in studio mai pubblicate. E c'è anche Get Back, album inedito del '69 rimixato da Gilles Martin usando la versione guida «prodotta su album» da Phil Spector, con perfino le registrazioni sul terrazzo della Apple. I Beatles in formato matrioska (nell'attesa che venga ritrovato qualche altro documento esplosivo).

     

    QUANDO PAUL DISSE AGLI ALTRI: "ORA DOBBIAMO CRESCERE"

    JOHN LENNON JOHN LENNON

    Martedì 7 gennaio 1969 Twickenham Film Studios Entrano John e Yoko. Paul guida una primissima versione di Get Back. Il testo è per lo più incompiuto, ma le strofe e il ritornello stanno chiaramente prendendo forma. Ringo batte le mani a tempo. Poco dopo, mentre la band siede in cerchio con gli strumenti... Paul: Se cancellassimo lo spettacolo adesso, lo butteremmo comunque via... ma abbiamo la tendenza a fare così: arriviamo a metà di una cosa...

     

    George: ... e la chiudiamo lì. Paul: È lì che sparisce tutto il denaro. Michael: Però male che vada ci resterebbe un documentario, penso. Che è un affare commerciale. Non c'è ragione, secondo me, di non fare anche uno spettacolo... Anche se nessuno di noi per ora è soddisfatto di quello che avete fatto qui dentro. Paul: Io sì.

     

    JOHN LENNON E PAUL MCCARTNEY JOHN LENNON E PAUL MCCARTNEY

    Michael: Be', io non... non sono d'accordo con te. Paul: Non importa. Dài... non importa, lo sai. Va bene. Il fatto è che non è ancora al massimo delle sue possibilità, ma siamo qui, ci riusciremo. Canteremo. Voglio dire, davvero, ciò che intendi è che non hai pensato ancora alla grande idea. La grande idea è di lasciare fare a noi; solo non fare lo spettacolo.

     

    George: Va benissimo. John: Se non ci viene in mente nessuna trovata, be', male che vada... male che vada avremo un documentario di noi che facciamo un album, no? Se non arriviamo a uno spettacolo. Paul: Hmm. John: Facciamo solo un album.

     

    George: Da quando il signor Epstein è mancato... John: Chi è mancato? George: ...non è più come prima.

     

    Paul: No, perché nessuno vuole prendere... non volete dire mai niente. Sarà noioso. Sarà noioso, in un certo senso. Siamo molto negativi da quando il signor Epstein è mancato. Cioè, è per questo che tutti, a turno, ci siamo stufati del gruppo, no?, perché non c'è più niente di positivo lì dentro. Sapete, è un po' una rottura. Ma l'unico modo perché non sia una rottura è che noi quattro pensiamo: «Dobbiamo trasformarlo in qualcosa di positivo?».

     

    George: Be'...

    BEATLES BEATLES

     

    Paul: O dobbiamo mandare tutto a puttane? Perché ci sono solo due possibilità. John: Io ho un incentivo. Ho deciso, tutte le cose che facciamo... Il punto è la comunicazione. Paul: Già. John: Ed essere in TV è comunicazione, perché abbiamo l'occasione di sorridere alla gente, come All you Need Is Love. Perciò questo è il mio incentivo a farlo. Michael: Entrambe, sia All You Need Is Love sia Hey Jude, comunicavano. Paul: Certo che comunicavano. Certo. John: Sì, pensavo solo, capite... Se ci serve pensare a un incentivo, l'incentivo è comunicare.

     

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    Michael: Sono d'accordo. Paul: Non c'è nessuno adesso a dire: «Fate così». Mentre un tempo c'era sempre. E in un certo senso pensiamo: «Oh, cazzo, sapete una cosa? Continuate a farci alzare alle otto?». Ma siamo noi che dobbiamo alzarci alle otto, adesso. Però questo vuol dire semplicemente crescere. Tuo padre se ne va a un certo punto della vita. Devi cavartela da solo. Voglio dire, è questo che ci siamo trovati tutti ad affrontare: papà ormai non c'è più, e noi siamo da soli al campeggio. E, sapete, secondo me o andiamo a casa, o lo facciamo.

     

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    (trascrizioni dalle registrazioni originali su Nagra) © Apple Films Limited Pubblichiamo un estratto da The Beatles: Get Back. Michael Lindsay-Hogg sta riprendendo la band che parla di . Brian Epstein, storico manager, morto nel '67 e discute del concerto in programma sul tetto degli studi Apple.

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