Cristiana Lauro per Dagospia
Nel mondo del vino - come in tutti i mondi competitivi spesso popolati da menti poco elastiche - si oppongono diverse correnti a sostegno dei vari tipi di contenitori più adatti alla fermentazione e all’affinamento del vino. Esistono le botti in legno di varie dimensioni, le vasche di cemento, l’acciaio, le anfore di terracotta, insomma non c’è un solo modo per produrre vino. Le anfore, ad esempio, erano tradizionalmente usate nella produzione in Georgia, ma non solo.
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/vino-in-anfora-georgiano/
CRISTIANA LAURO RUTH MORANDINI
Tuttavia non esiste una vera regola perché dipende dai vini che la mano dell’uomo, attraverso la tecnica, vuole produrre.
Angelo Gaja è un monumento del vino italiano nel mondo e questo non lo dico io, ma lo racconta la storia del vino.
Attraverso l’assaggio di uno dei suoi vini più famosi e apprezzati, Barbaresco Sorì San Lorenzo 2016, possiamo ripercorrere la storia, ad esempio dell’uso della barrique nel Nebbiolo che Gaja introdusse per primo negli anni Ottanta.
Pensiero audace, in effetti, e qualcuno sostiene che Angelo fu, al tempo, l’ispiratore dei Barolo Boys. Una corrente di giovani figli di produttori che volevano guardare oltre la tradizione, non senza rispetto, ovviamente. Al fine di esaltare senza coprire le caratteristiche di quel vitigno - col quale si produce il Barbaresco, lo ricordo ad uso dei neofiti - Angelo usava vaporizzare le barrique con vapore di acqua caldo per eliminare una parte dei tannini del legno. Un precursore. Possiamo dire: il più vecchio fra i giovani e il più giovane fra i vecchi.
CRISTIANA LAURO RUTH MORANDINI
Probabilmente a suo padre, il compianto Giovanni, venne la permanente quando scoprì, ad esempio, che aveva reimpiantato una delle vigne più belle di Nebbiolo col Cabernet. Ma anche con Sauvignon e Chardonnay. Angelo voleva parlare al mondo intero e dimostrare che anche con quelle varietà si possono fare grandi vini nelle Langhe.
Un pioniere, visionario e geniale perché, di fatto, è l’uomo del vino italiano più conosciuto in tutto il mondo. Da quei filari di Cabernet iniziò a produrre un grande vino che si chiama Darmagi. I miei maestri mi hanno raccontato - e io lo riferisco a voi - che in piemontese darmagi vuol dire dommage in francese, ovvero vergogna. Pare che fu proprio questa l’espressione utilizzata da Giovanni Gaja alla vista di quel Cabernet.
CRISTIANA LAURO RUTH MORANDINI
Angelo Gaja ha sempre coniugato una tecnica moderna e innovativa con il rispetto del vitigno e dell’origine dei vini.
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