Estratto dell’articolo di Cristiana Lauro per “Il Sole 24 Ore”
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Di vini naturali se n’è parlato fin troppo, cominciando dal termine improprio che li definisce – fuorviante per certi versi – fino ad arrivare alle rovine che negli anni passati hanno generato opposte fazioni oltranziste, quasi scissioniste a dire il vero. Da un lato il movimento “vinnaturista” e dall’altro quello dei produttori cosiddetti convenzionali. Con tanta confusione in mezzo.
È tempo di affrontare l’argomento in maniera più pacata e di conseguenza di porre fine alle “ostilità” che, a mio avviso, sarebbe anche la cosa migliore da fare. Occorre seppellire l’ascia di guerra, finirla di mettere a confronto “curva nord” e “curva sud” (in un senso e nell’altro), analizzare invece ciò che è stato quel movimento, cosa ha portato e gli effetti positivi che ha generato, seppur con derive che ora è meglio analizzare a distanza. Un conto è stata l’avanguardia – quindi rivendicare questa rottura – però adesso, paradossalmente, i primi avanguardisti si stanno distaccano quasi con disagio dalla definizione di “vino naturale”.
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A questo punto la domanda è: la funzione di avanguardia del presunto “vino naturale” ha finito la sua “spinta propulsiva” (cit)?. La risposta, detto con molta franchezza, è sì! L’avanguardia ha prodotto cambiamenti; invero alcuni molto positivi, come la sempre maggiore attenzione alla “sostenibilità” da parte di tutti, oltre a un diffuso rispetto e amore per la terra. […]
Probabilmente è tempo che si torni a parlare nel merito di ciò che viene prodotto e meno dell’aspetto ideologico che per troppo tempo ha contrassegnato il tema. Non si può vivere di sola avanguardia poiché alla fine l’avanguardia stessa diventa parte del sistema e finisce per istituzionalizzarsi. […]
Per farla breve: la sostanza è che il vino deve essere buono, deve farsi ricordare; il modo attraverso il quale lo si produce (nel rispetto delle regole e delle certificazioni) è di per sé incidentale e non può essere certamente quello a determinare la qualità.
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Mi sovviene un esempio un po’ datato e riferito alle Langhe dei tempi di “Barolo Boys”. Si creò una forte spaccatura tra i cosiddetti “modernisti” e i “tradizionalisti”. Orbene, a distanza di quasi 40 anni da quel movimento, nessuno più fa distinzione tra le modalità di produzione: per il consumatore, non di rado indifferente alla tecnica produttiva, vince la qualità del vino.
È sicuramente tempo, dunque, di un confronto tra i due mondi e di cercare di viaggiare insieme per il futuro del bere bene italiano al quale personalmente (e lo dico e ridico a costo di ripetermi), tengo in modo particolare.
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