Alberto Abburrà per la Stampa
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Nevica sempre meno. E già questa non è una buona notizia. Ma c'è di più: ora insieme alla poca neve scende dal cielo una grande quantità di plastica. Per avere un'idea del fenomeno basta dare un'occhiata ai risultati dello studio condotto in occasione dell'ultimo Tor des Geants, l'ultra tra il più duro e famoso del mondo che fino al 2019 si è svolto nel mese di settembre in Valle d'Aosta.
I numeri mettono i brividi anche d'estate: la stima dei ricercatori è che ogni anno, solo sull'arco alpino valdostano, cadano 200 milioni di generiche particelle di cui 80 milioni sono frammenti di microplastiche. Il che vuol dire 25 chilogrammi di materiale riversato a pioggia su una delle zone più incontaminate d'Italia e d'Europa.
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«Abbiamo fatto i prelievi in un periodo in cui la neve residua era poca, il nostro timore è questa cifra sia addirittura sottostimata - spiega Roberto Cavallo che insieme alla cooperativa Erica ha ideato e curato la ricerca -. Dobbiamo pensare di vivere in uno smog di plastica. Ci circonda, si degrada e adesso sappiamo anche che si muove». Che la plastica abbia ormai infestato campagne, fiumi, laghi e mari purtroppo non è una novità.
Tracce di plastica erano già state trovate anche sulle Alpi nei pressi dello Stelvio, in Svizzera, e più recentemente perfino nelle remotissime isole Svalbard e in Antartide. Ma questa analisi (realizzata dallo European research institute in collaborazione con l'Università di Milano) aiuta a circoscrivere il fenomeno e soprattutto prova a dare una risposta alla grande domanda: come ci arrivano questi frammenti sulla vetta delle nostre montagne?
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Avendo analizzando campioni di neve accumulata durante una sola stagione invernale, quella 2018/2019, e non accumuli più datati nel tempo, come i ghiacciai, la risposta appare chiara: questi pezzetti di microplastica (che hanno fino a 5 millimetri di diametro) non sono solo il risultato della frammentazione di rifiuti dispersi in zona, ma arrivano dal cielo attraverso le precipitazioni.
Lo studio, finanziato dalla Regione Valle d'Aosta, si sofferma anche sulla tipologia di materiale ritrovato. Dagli otto litri di materiale prelevato in quattro siti diversi sono emerse 40 particelle e la metà di queste è risultata plastica. Ci sono diversi tipi di polimero. Il più presente è il polietilene (39%) che probabilmente deriva da sacchi e sacchetti in film.
Poi vengono Pet (17%), Hdpe (17%), poliestere (11%), Ldpe (6%), polipropilene (5%) e poliuretano (5%). Più difficile stabilire l'origine e il viaggio di questi pezzetti inquinanti anche se la loro origine non è un mistero.
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Parliamo di fibre rilasciate dai capi di abbigliamento sintetico, imballaggi, confezioni, residui di cosmetici, dentifrici o creme solari. «Il problema delle microplastiche è ben più vasto di quanto possiamo immaginare e non può che destare preoccupazione», conclude Cavallo. In particolare i timori sono legati ai rischi che queste particelle disperse nell'ambiente potrebbero avere sulla salute dell'uomo. È certo che ormai fanno parte della catena alimentare.
Un'indagine della State University di New York sostiene che frammenti plastici siano presenti nel 90% delle acque commercializzate in bottiglia. L'Università di Edimburgo si è spinta oltre stimando che in un pasto ogni persona ingerisca almeno cento di queste particelle. Con quali conseguenze ancora non si sa, ma è difficile immaginare un impatto zero. Uno degli studi su questo tema condotto dall'Arizona State University e pubblicato pochi giorni fa ha confermato tracce di plastica negli organi di alcuni pazienti deceduti. Un'altra notizia che non lascia intendere nulla di buono.
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