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    BLACK POWER - TA-NEHISI COATES E’ IL NUOVO AFRO-INTELLETTUALE DI RIFERIMENTO - FIGLIO DI UNA PANTERA NERA, “TIME” (CHE LO HA LICENZIATO DIECI ANNI FA) LO HA INSERITO TRA LE 100 PERSONALITÀ CHE ISPIRANO IL MONDO: “IN AMERICA C'E' LA TRADIZIONE DI DISTRUGGERE IL CORPO NERO: È EREDITARIA”


     
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    Stefano Pistolini per “il Venerdì - la Repubblica”

     

    ta nehisi coates ta nehisi coates

    Parigi. Entra il nuovo genio. L’intellettuale nero del XXI secolo con la voce così chiara da ridefinire lo stato delle cose nell’eterna questione della razza, che ormai ci coinvolge tutti. Lui raccoglie il testimone d’una tradizione e prova a indicarci i coni d’ombra. Cosa deve cambiare. Come dobbiamo guardare dentro noi stessi. Se si legge ciò che scrive, non si resta indifferenti. Il suo nome è Ta-Nehisi Coates.

     

    Sarà che le strade del Marais parigino diventano accoglienti per gli spiriti più riservati. Addirittura confortevoli per un giovane americano di colore che, nel giro di un anno, è passato dall’essere un blogger di culto (e solo due anni prima un disoccupato insicuro) al vedersi eleggere Scrittore Essenziale nella lista delle 100 personalità che ispirano il contemporaneo, compilata dal settimanale Time.

     

    ta nehisi coates e suo figlio ta nehisi coates e suo figlio

    Eppure l’investitura lo trova tutt’altro che entusiasta: «Figuriamoci… Sia chiaro: sono impressionato dalla nomination. Tanto più che la motivazione l’hanno affidata a un uomo come Bryan Stevenson, che si batte in favore delle minoranze e ha scritto un libro importante come Just Mercy. Ma la notizia mi ha lasciato perplesso: io lavoravo per Time e un giorno m’hanno licenziato. Scoprirmi dieci anni dopo come uno dei “100 di Time “ è perlomeno strano». Le cose cambiano, gli suggeriamo. Annuisce, scettico. Il tono della conversazione è stabilito.

     

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    Di Ta-Nehisi Coates da un anno in America si parla come del nuovo intellettuale nero di riferimento. Colui che riaccende la fiaccola portata da James Baldwin, Richard Wright e perfino – perché no? Non la si considera più un’esagerazione – da Malcolm X. È un fatto che le cose che scrive Coates abbiano la stessa forza dirompente di quelle dei nobili predecessori.

     

    Certo: bisogna stabilire se la personalità, dietro questa scrittura potente e questo pensiero esplosivo, possieda lo stesso carisma dei supremi intellettuali neri del ‘900. Questo è il motivo che, in coincidenza con la pubblicazione italiana di Tra me e il mondo (Codice), ci ha spinto a Parigi. Dove Coates trascorre un anno sabbatico finanziato dalla MacArthur Foundation, con la seguente motivazione: «Con una scrittura misurata e mai inutilmente polemica, affronta temi audaci e complessi come l’identità e i guasti della razza, mostrando come le implicazioni del passato siano vive al presente». Un’altra consacrazione.

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    L’appuntamento è in un café trendy, atipico rispetto ai giulivi bistrot che lo circondano. Jazz in diffusione, diversi Mac agganciati al wifi gratuito. Ta-Nehisi entra, ed è imponente, con la faccia da ragazzo e l’espressione dubbiosa del timido. Solo mezz’ora più tardi avrà messo in chiaro che essere «contro» e chiedere «di più» è il suo vero carburante intellettuale.

     

    «Starò a Parigi fino a luglio» esordisce, «adoro la città, ha il mio ritmo, più lento che negli States, dov’è il lavoro a definire la tua identità». Non sarà una coincidenza se in questi mesi, anziché a un nuovo saggio sullo stato di salute dell’America, s’è dedicato alle sceneggiature per un fumetto di superoi (vedi a pagina 21). Nel ‘61, James Baldwin, l’autore di La prossima volta il fuoco, diceva di Parigi: «Credo che quest’esilio m’abbia salvato la vita», parlando sia della sua anima che della sua incolumità fisica. In passato diversi scrittori afroamericani hanno fatto la scelta di traslocare qui, alla ricerca d’ispirazione e anche d’empatia: «Lo so, ma non posso dire che per me sia stato il motivo principale. Sa chi ha deciso? Mia moglie, che ama Parigi. Per quanto, all’origine del viaggio, resti ovviamente il fatto che uomini come quelli, che sono la mia ispirazione, abbiano aperto la strada».

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    Parigi per Coates è l’oasi dove rifiatare, dopo l’improvvisa ondata di celebrità che in America l’ha investito con l’uscita del suo pamphlet, scritto in forma di lettera al figlio, per raccontargli la propria storia, trasmettergli l’esperienza e prepararlo alle insidie che lo attendono là fuori. Perché il colore della sua pelle è il nero e «in America vige la tradizione di distruggere il corpo nero: è ereditaria».

     

    afroamericani festeggiano la vittoria di obama afroamericani festeggiano la vittoria di obama

    Il corpo, scrive Coates, l’incolumità fisica dell’uomo di colore – in particolare quella del suo adorato unico figlio – vive sotto attacco permanente. Una minaccia di brutalità per mano di un anonimo razzista, o di un transfuga dalle regole sociali, o di un rappresentante delle istituzioni, un agente di polizia, ad esempio, che decida d’attaccare quel corpo e distruggerlo.

     

    L’unica cosa che può fare un padre, per proteggere il corpo di suo figlio da questo irrazionale pericolo, è renderlo consapevole di quali sono le origini, le responsabilità, quale la storia di questo terrore. Come questo terrore risalga all’inizio della nazione e al suo prodotto aberrante chiamato schiavitù. L’essenziale è che chi nasce nero in America impari a temere per il suo corpo fin dal mattino, appena apre gli occhi.

     

    La prima a mobilitarsi per Ta-Nehisi è stata Toni Morrison. Poi, dagli ambienti intellettuali, in particolare da quelli liberal – e dai salotti radical chic – s’è alzato il coro di sbalordito apprezzamento nei confronti di un autore che sovvertiva la regola dell’ottimismo americano e rifiutava il buonismo del politicamente corretto.

    cerimonia di laurea del 1970 cerimonia di laurea del 1970

     

    C’è del marcio in America, scrive Coates, radicato così in profondità che pensare di estirparlo è un’illusione. Between the World and Me ha vinto il National Book Award e il Pen Award. A quel punto si sono inalberati diversi intellettuali di peso, a cominciare da David Brooks, editorialista del NY Times che ha accusato Coates di «distorcere la storia». «Libero di pensarlo» sussurra Ta-Nehisi, «quel che conta è che non possono disinnescarmi. Ho scritto il mio libro e la gente lo può leggere. E ne scriverò altri». Ha altro da dire. E sa farlo con la più suggestiva delle prose.

     

    FERGUSON - PROTESTE CONTRO L UCCISIONE DI AFROAMERICANI DA PARTE DELLA POLIZIA FERGUSON - PROTESTE CONTRO L UCCISIONE DI AFROAMERICANI DA PARTE DELLA POLIZIA

    Del resto, tutto comincia dai libri: «Mio padre ci riempiva la casa. Lui ha militato nelle Pantere Nere e ha fatto in modo che mi formassi da subito una coscienza politica. Non c’era internet e avevamo solo un vecchio televisore con tre canali. Non c’era altro da fare, se non leggere. E, a forza di leggere, cominciare a pensare di scrivere. Fin da piccolo, l’ho considerata la mia missione».

     

    Crescere come figlio di una Pantera Nera deve proiettare una grande ombra su un ragazzino, alla periferia segregata d’una città difficile come Baltimora. «Ho capito presto che mio padre stava contribuendo alla battaglia di noi afroamericani e che sarebbe stato giusto che presto anch’io dessi il mio apporto. Il suo messaggio per me era: appena puoi, va là fuori e fa’ qualcosa». Paul Coates, bibliotecario ed editore alternativo, era l’eroe di famiglia. Ta-Nehisi gli ha dedicato il suo primo libro, pubblicato nel 2008 tra la generale indifferenza: The Beautiful Struggle: A Father, Two Sons and an Unlikely Road to Manhood.

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    Poi è arrivata una carriera universitaria mediocre e l’abbandono degli studi, perché – dice – in aula si sentiva un estraneo. Eppure quell’ateneo era il luogo dei sogni, il posto che amava più d’ogni altro, quello che aveva ribattezzato la «Mecca»: la Howard University di Washington.

     

    «La magia sta nel fatto che quel posto è il prodotto di un’immane tragedia. La schiavitù è cominciata attorno al 1690. Centosettanta anni dopo, alla fine della Guerra civile, la nazione s’è trovata col problema di fornire un’educazione a milioni di neri. Sono nate strutture dedicate, con una particolare attenzione alla valorizzazione della cultura che ci appartiene. La Howard è la più importante».

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    Modesto risarcimento per la macchia della schiavitù, la Howard University, la «Harvard nera», oggi ha 11 mila iscritti ed è in buona parte finanziata dal governo, con 235 milioni di dollari l’anno. «È il simbolo della libertà dei neri, che hanno cominciato ad arrivarci da ogni angolo del mondo perché è il luogo dove studi la tua cultura. È stata un’esperienza decisiva nella mia formazione come scrittore: impari il valore della condivisione, che per noi afroamericani non è una cosa scontata. Pensa a quanti scrittori neri scrivono rivolgendosi a un pubblico bianco. Anche quando ho lasciato gli studi, per anni ho continuato a gravitare attorno all’università. Cominciavo a pensare a me stesso come a uno scrittore, ma non sapevo staccarmi da quel posto».

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    Accade allora il fatto che segna in modo indelebile la vocazione di Ta-Nehisi: il suo migliore amico viene ucciso dalla polizia. «Si chiamava Prince, era un ragazzo meraviglioso ed è stato assasinato mentre andava a trovare la fidanzata, a due passi da casa. Quell’episodio mi ha sconvolto. Ha prodotto un’ossessione. Dieci anni dopo, ancora mi chiedo: perché? Era un ragazzo che aveva avuto ciò che gli serviva dalla sua famiglia e che stava dando all’America ciò che gli chiedeva. Eppure gli hanno sparato». Coates conduce perfino delle indagini personali: «C’erano interrogativi senza risposta: è stato ammazzato e nessuno è stato punito per questo crimine. In quella morte, che ruolo aveva la politica del mio Paese?».

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    Poco dopo Ta-Nehisi si sposa e trasloca a Brooklyn. L’apprendistato da giornalista è faticoso e mal pagato e lui passa un sacco di tempo a casa con Samori, appena nato. «Continuavo a scrivere, ma pensavo di non farcela. La priorità erano i soldi. Se mi toccava fare il tassista, non potevo tirarmi indietro». Poi il cielo si rasserena.

     

    I suoi articoli sulle fanzine vengono notati e gli propongono un contratto al riverito Atlantic Monthly. Il salto di qualità arriva con la pubblicazione di un lungo articolo sulla razza, The Case for Reparations, che diventa oggetto di un dibattito nazionale sulla persistenza strutturale del razzismo nell’America d’oggi. Il popolarissimo sito web comico Funny Or Die, fondato da Will Ferrell, pubblica un finto messaggio della giovane Malia Obama: «Vorrei che Ta-Nehisi fosse mio papà». Il suo nome circola. Infine il libro.

    POLIZIOTTO AFROAMERICANO AIUTA IL MANIFESTANTE DEL KU KLUX KLAN POLIZIOTTO AFROAMERICANO AIUTA IL MANIFESTANTE DEL KU KLUX KLAN

     

    La tesi di partenza di Tra me e il mondo ribalta i termini del discorso: secondo Coates è il concetto di «razza» a essere un prodotto del sentimento del razzismo. «Vi faccio un esempio che vi riguarda: quando gli italiani arrivarono in America, vennero trattati come una “razza” e su questa base collocati in una certa posizione nella scala sociale. Si è cominciato a distinguere: “razza italiana”, “razza irlandese”, “razza francese”.

     

    È stata subito una questione politica: se parli di “razza italiana”, parli di accesso al potere, di inclusione ed esclusione. È il filo rosso dell’immigrazione: chi veniva integrato ed entrava a far parte della società e chi no. È una storia che va avanti. E col concetto di razza arrivano gli stereotipi». Oggi gli studiosi americani collocano il sorgere del razzismo contemporaneo negli Usa all’inizio del XX secolo, con la grande immigrazione e il bisogno di stabilire gerarchie. «Io la vedo diversamente. Tutto è iniziato con l’arrivo dei neri in America, trascinati in catene per vivere da schiavi.

    incendio nella chiesa afroamericana di mt zion di greeleyville 7 incendio nella chiesa afroamericana di mt zion di greeleyville 7

     

    La loro presenza ha provocato nei bianchi la sensazione d’una lampante differenza: la distinzione era lì, evidente agli occhi di tutti. Potevi dire: io non sono come lui. Sono diverso. Sono bianco. Con tutto ciò che ne discendeva. All’inizio del razzismo, parlerei dell’avvento di una “identità negativa’”. Definirsi, sulla base di ciò che non sei. Non siamo neri. Siamo diversi. È un ragionamento rozzo, che va oltre le nazionalità e riguarda solo la tinta della carnagione: più era scura, meglio sottolineava la differenza».

     

    C’è un dolore diffuso nel modo di mostrarsi di Ta-Nehisi, anche in un’intervista. Bisogna capire quanto di questo dolore sia effettivo e quanto sia un prodotto intellettuale, e dunque un atteggiamento, seppure ponderato, frutto di un’elaborazione che possiamo chiamare politica. Ma, soprattutto, c’è una forza. Spontanea, infusa. Parte del personaggio.

     

    studio sulla sifilide sugli afroamericani di tuskegee studio sulla sifilide sugli afroamericani di tuskegee

    Che lo rende importante, in un dibattito che mai come adesso è centrale, non solo in America, ma nel mondo – ad esempio, nell’Europa dei nuovi muri. Il razzismo, i suoi prodotti, la genesi. Coates è già una voce «essenziale», come sostiene Time. Le sue parole hanno la solennità che ebbero quelle di Malcolm X in altri anni. Segnali di una rivoluzione mai avvenuta contro ciò che Coates classifica come un panorama interiore condiviso. Panorama che prevede il razzismo. In cerca di una catarsi che rigeneri l’equilibrio, ovvero l’uguaglianza. È questa la scintilla negli occhi di Ta-Nehisi. Il sogno di un intellettuale. Che per un attimo è sembrato realtà, quando Barack Obama ha vinto la presidenza. Salvo rivelarsi una delusione, almeno al suo sguardo.

     

    Gang afroamericana a New York Gang afroamericana a New York

    «Obama ha fatto molto per il Paese. Ma credo che anche i neri abbiano fatto molto, abbiano dato tanto. Dopo la tragedia della schiavitù, hanno lavorato, pagato le tasse, fatto il loro dovere. Io rispetto ciò che è riuscito a fare Obama. Ma prima sento la responsabilità di rappresentare la mia gente e di ricordare la nostra storia».

     

    Coates ha spesso criticato Obama da sinistra, accusandolo di eccedere nella ripartizione delle responsabilità e nel «moralizzare» la comunità afroamericana. All’ottimismo obamiano, Ta-Nehisi contrappone un pessimismo venato di fatalismo. Scrive: «L’America bianca protegge il proprio potere e controlla i corpi di noi neri». Se per Obama i neri che vengono uccisi senza giustificazione dalla polizia e le stragi di massa come quella recente di Charleston rappresentano una questione politica, per Coates sono il prodotto del razzismo.

    barack obama 2008:2014 barack obama 2008:2014

     

    «Perché sono duro con Obama? Perché è il mio lavoro! Concordo: il suo compito è stato difficile. E credo se la sia cavata bene. Ma io sono uno scrittore: il mio lavoro è spingere le idee al limite, espandere l’immaginazione di chi legge. Non mi interessano i valori medi: il mio compito è ricordare alla gente cosa sarebbe possibile. Non posso scrivere come fossi un candidato politico. Devo scrivere con una visione etica.

     

    obama balla nel 2008 obama balla nel 2008

    So che Obama non poteva raggiungere risultati migliori. Ma devo ricordare alle persone che dobbiamo chiedere di più, pretendere il massimo. L’America è una democrazia, il che significa che i limiti di ciò che un presidente può fare sono decisi dal popolo. Perciò non è questione di Obama: è il popolo che deve pretendere di più da se stesso». Per esempio, garantendo l’incolumità fisica ai neri.

     

    L’età di Obama è al tramonto senza essere coincisa con la fine del razzismo. Lo rimpiangeremo? «Ne sono sicuro. Ho votato per Sanders, ma credo che, come buona parte dei liberal, abbia una comprensione limitata della questione della razza e di cosa sia il razzismo in America».

     

    OBAMA OBAMA

    Le opinioni sono sul tavolo. Fine della chiacchierata. Ultima cosa: come diamine si pronuncia quel nome che le hanno dato i genitori? «Mio padre ha fatto le cose in grande: per me non gli bastava uno di quei nomi africani di moda tra i neri. Ha preso quello di un’intera regione: la Nubia, il Sud dell’antico Egitto. L’ha un po’ storpiato, ma comunque si pronuncia Tanasi». Ah: non Ta-Neisi. Bene a sapersi. Prossimamente capiterà di pronunciarlo spesso.

     

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