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    NON ALL’AMORE, NE’ A MESSINA DENARO NE’ AL CIELO - BLITZ NEL FEUDO DELLA PRIMULA ROSSA DI COSA NOSTRA: 13 FERMI. INDAGATO ANCHE IL SINDACO DI CALATAFIMI - LE INTERCETTAZIONI SVELANO UNA CORRUZIONE ELETTORALE: "50 EURO A VOTO". IN MANETTE ANCHE IL PRESIDENTE DELL’AZIENDA TRASPORTI. AVVISO DI GARANZIA PER UN AGENTE DELLA PENITENZIARIA: "HA RIVELATO NOTIZIE RISERVATE" E IL PADRINO DELLE STRAGI DOVE SI NASCONDE? PROBABILMENTE NON È PIÙ IN SICILIA…


     
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    Salvo Palazzolo per repubblica.it

     

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    Nelle viscere della provincia di Trapani, si continua a cercare il superlatitante Matteo Messina Denaro, il “figlioccio” del capo dei capi Totò Riina, il mafioso che conosce il segreto delle stragi. Ma lui resta un fantasma, ormai dal giugno 1993. Cadono invece nella rete delle indagini coordinate dalla procura di Palermo i nuovi boss che reggono il “sistema” Messina Denaro, tra affari e complicità.

     

    Questa notte, i poliziotti della Servizio centrale operativo e i colleghi delle squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito tredici fermi disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che smantellano il clan di Calatafimi-Segesta. E’ stato notificato anche un avviso di garanzia al sindaco di Calatafimi, Antonino Accardo, eletto l’anno scorso con 1900 preferenze, oggi è accusato di corruzione elettorale ("50 euro a voto" si sente nelle intercettazioni) e di tentata estorsione, con l’aggravante di mafia. Fra gli indagati c'è pure un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere palermitano di Pagliarelli: è accusato di rivelazione di notizie riservate.

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    In manette, è finito il nuovo capo della famiglia mafiosa che fa parte del mandamento di Alcamo, è Nicolò Pidone, 57 anni, ex operaio stagionale della Forestale che era stato già arrestato nel 2012, dopo avere scontato la condanna era tornato in servizio con un ruolo ancora più autorevole. Le indagini coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Pierangelo Padova e Francesca Dessì hanno portato in carcere i nuovi componenti del clan di Calatafimi, e pure un colletto bianco che viene ritenuto un insospettabile complice di Pidone.

     

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    Si tratta di Salvatore Barone, ex presidente dell’Atm, l’azienda che a Trapani gestisce il servizio pubblico urbano, più di recente era diventato il presidente di una cantina, ora è accusato di associazione mafiosa. Le intercettazioni della polizia hanno svelato incontri e contatti. "Abbiamo disarticolato un'organizzazione mafiosa potente e stabile sul territorio - dice il prefetto Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato - un'organizzazione che operava sotto ogni punto di vista, anche politico amministrativo ed economico imprenditoriale".

     

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    In tanti cercavano Pidone, per un consiglio o per la risoluzione di una controversia. E’ il “metodo” Messina Denaro, quello di una mafia tornata ad essere mediazione e affari. "Cosa nostra trapanese è l'humus di sostentamento del latitante, che sfrutta le intrinseche caratteristiche dell'organizzazione", spiega ancora il direttore centrale anticrimine.

     

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    Nel blitz è stato arrestato anche Stefano Leo, ritenuto vicinissimo a Vito Gondola, il boss di Mazara che negli anni scorsi gestiva il sistema di comunicazione del superlatitante. "Nella cantina gestita da Barone erano state assunte la figlia di un ergastolano e la moglie di Leo", spiega il capo della squadra mobile di Trapani, Emanuele Fattori.

     

     

    E il padrino delle stragi dove si nasconde? E’ diventato davvero un fantasma, microspie e telecamere non hanno più segnali di Messina Denaro ormai da anni. Probabilmente, il capomafia di Castelvetrano, che ha 58 anni, non è più in Sicilia. Chissà dov’è. Forse in Tunisia, forse in Gran Bretagna, forse in Venezuela. Forse. L’unica certezza è che ha rinunciato al governo diretto del territorio siciliano, per dedicarsi a grossi affari. La sua vera forza è nei segreti del passato, che continua a custodire. Segreti su relazioni e complicità.

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