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    BOB DYLAN VISTO DA VICINO – IL MITICO FOTOGRAFO JERRY SCHATZBERG, AUTORE DELLA COPERTINA DI “BLONDE ON BLONDE” (1966): “BOB VOLEVA LA FOTO DI CLAUDIA CARDINALE DENTRO L’ALBUM, MA LEI NON LO CONOSCEVA E SIAMO STATI COSTRETTI A TOGLIERLA” – “A DYLAN NON PIACEVA LA STUPIDITÀ. UN GIORNALISTA UNA VOLTA GLI CHIESE: "TI CIUCCI GLI OCCHIALI QUANDO METTI LA STANGHETTA IN BOCCA?". LUI SI GUARDÒ INTORNO E SBOTTÒ: "NO, SEI TU CHE ME LI CIUCCI!"


     
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    Valeria Rusconi per “il Venerdì di Repubblica”

     

    JERRY SCHATZBERG JERRY SCHATZBERG

    Jerry Schatzberg si trova nel suo studio di Manhattan, a New York: «Ma la vista non è straordinaria, anche se intravedo Central Park». In ogni caso, puntualizza il fotografo e regista, 92 anni a giugno, «sono sempre concentrato sulle foto. Anche ora, le sto osservando».

     

    Racconta di essere circondato dai ritratti scelti, oppure scartati, per il libro Dylan/Schatzberg, uscito negli Stati Uniti per Acc Art Books e, in Italia, per Skira. Documenta la sua collaborazione con Bob Dylan iniziata nel 1965 e durata solo un paio d' anni, ma quelli a cavallo dei due album fondamentali Highway 61 Revisited e Blonde on Blonde.

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    Di quest' ultimo Schatzberg si ritrovò, in un giorno d' inverno del 1966, a realizzare il ritratto in copertina e l' artwork interno. Dopo alcuni tentativi in studio chiese a Dylan di andare nel quartiere dei mattatoi. Nessuno aveva abiti adeguati. Tremavano. Tra i tanti, uscì uno scatto mosso. Sbagliato, secondo i canoni della fotografia. E, proprio per questo, perfetto per quell' irrisolto mistero chiamato Robert Allen Zimmerman. Chi era Bob? «Uno a cui non piaceva la stupidità».

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    Mr Schatzberg, come è diventato un fotografo professionista?

    «Ero entrato nel business di famiglia, pellicce e... lo odiavo. Passavo la pausa pranzo in un negozio di macchine fotografiche. Un giorno vidi un' inserzione sul New York Times: divenni così l' assistente di un artista eccezionale, Bill Helburn, dal quale imparai come fare un servizio di moda».

     

    Lei ha immortalato, tra gli altri, Rolling Stones, Beatles, Frank Zappa. Ci sono stati mai momenti di tensione con le star?

    i beatles fotografati da jerry schatzberg i beatles fotografati da jerry schatzberg

    «Sì, con i Beatles, dei quali non me ne fregava nulla. Esquire voleva una copertina natalizia. Correvano, urlavano, erano folli. Quando tornai a New York l' art director mi fa: "Be', com' è andata?". E io: "Sai, credo di non averla". Non mi chiese neppure di vedere il risultato, così l' ho archiviato. Due anni dopo ho ritirato fuori il servizio ed era buono. Probabilmente il prossimo Natale tornerò a Esquire: forse è venuto il momento di fare una nuova, vecchia copertina!».

     

    autoritratto di jerry schatzberg autoritratto di jerry schatzberg

    Nell' ambiente si diceva che anche Faye Dunaway, che è stata sua compagna, fosse difficile.

    «Talora era complicato starle accanto. A volte era meravigliosa. Un giorno, sul set, era diventata insopportabile perché c' erano delle commissioni che voleva fare nel fine settimana ma noi eravamo bloccati lì. Sono stato costretto a sospendere le riprese. Pensavo che gli Studios mi avrebbero licenziato».

     

    A Bob Dylan ci arrivò tardi.

    claudia cardinale nell'artwork di blonde on blonde ph jerr schatzberg claudia cardinale nell'artwork di blonde on blonde ph jerr schatzberg

    «Quando lavoravo mettevo sempre della musica e uno era lui. Due amici continuavano a parlarmene: Nico dei Velvet Underground e il giornalista musicale Al Aronowitz. Un giorno Al stava parlando con un dj. Erano stati con Dylan il giorno prima e, origliando, urlai: "La prossima volta ditegli che vorrei fotografarlo!". Il giorno dopo mi chiamò la moglie, Sara».

     

    faye dunaway in copertina per newsweek ph jerry schatzberg faye dunaway in copertina per newsweek ph jerry schatzberg

    Quando lo ha conosciuto era in studio per registrare Highway 61 Revisited. Cosa vi siete detti?

    «Gli piaceva che la gente ascoltasse ciò che stava creando, così se arrivava un amico metteva su il nastro appena inciso per avere un parere. Fece lo stesso con me, anche se ero ancora un estraneo. Mi guardò e fece: "Hey, tu, devi sentire questo". Una volta spuntò Phil Ochs: partì la musica ma a lui non piacque. Dylan era furioso».

     

    nico nel 1961 ph jerry schatzberg nico nel 1961 ph jerry schatzberg

     

     

    All' inizio del libro c' è una lettera che lei gli ha scritto in cui usa la parola "amico": eppure Dylan sembra uno che si concede poco.

    «Io ero co-proprietario della discoteca Ondine (dove si riuniva la Factory di Andy Warhol e i Doors tennero il primo concerto newyorkese, ndr). Veniva lì e poi ci spostavamo in altri locali. Siamo stati grandi amici per un po', almeno finché fu possibile, perché poi partì in tour e io ero impegnato col mio lavoro. Non lo vedo da secoli, adesso».

    bob dylan ph jerry schatzberg bob dylan ph jerry schatzberg

     

    Com' era l' atmosfera durante uno shooting?

    «Una volta che convinci Dylan che non hai intenzione di renderlo ridicolo si fida di te: allora inizia a interagire».

     

    Come descriverebbe lo scambio tra fotografo e soggetto quando le cose vanno bene?

    «Io uso la prima seduta per conoscere chi ho davanti. Le uniche volte in cui non ho visto Dylan rilassato è stato con la stampa, perché spesso gli facevano domande sciocche. Un giornalista una volta gli chiese: "Ti ciucci gli occhiali quando metti la stanghetta in bocca?". Lui si guardò intorno e sbottò: "No, sei tu che me li succhi!". Non gli piaceva la stupidità e non assecondava giochi idioti».

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    Era curioso di chi gli stava attorno, di persone come lei?

    «Oh, certo. Lo si può vedere in Blonde on Blonde: tutte le foto all' interno dell' album erano sparse per il mio studio e lui le ha scelte personalmente. Non ha inserito il mio nome tra i crediti, però ha incluso un mio autoritratto. Penso sia stato il suo modo di ringraziarmi, anche se non me lo disse mai».

     

    Spero l' abbia almeno pagata «No, no». Nulla?

    «Ero contento di avere avuto l' opportunità di scattargli delle foto: mi bastava essere stato con lui».

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    Dylan sapeva chi fosse Claudia Cardinale quando scelse per l' lp il ritratto che lei le aveva fatto?

    «Non ne sono sicuro, anche se aveva già girato diversi film meravigliosi. Credo abbia visto la foto e, candidamente, ci abbia trovato qualcosa di bello. La prese e disse: "Sì, voglio questa dentro l' album"».

     

    Il management della Cardinale, però, vi intimò di rimuoverla.

    «Sono certo che non sapessero ciò che stavano facendo. Ho incontrato Claudia diverse volte ma non parlava molto bene l' inglese. Ho cercato di spiegarle l' accaduto: non sapeva neppure di essere in Blonde on Blonde! Così, nella stampa successiva, siamo stati costretti a toglierla».

     

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    Com' è nata esattamente la copertina di Blonde on Blonde, il disco considerato l' assoluto capolavoro di Dylan?

    «Da un incidente: le mie mani tremavano per il freddo, Dylan rabbrividiva perché aveva solo una giacchetta e così la foto è uscita mossa. Avevamo cominciato a scattare in studio ma sentivo di non avere abbastanza. Così mi è venuta in mente una parte di New York dove i miei mi portavano quando dovevano prendere le pellicce per il loro lavoro».

     

    Il Meatpacking District.

    «Il quartiere dei mattatoi. Era l' inizio di febbraio: lo ricordo come uno dei giorni più gelidi dell' anno. Nessuno di noi aveva abiti pesanti. Non tutti gli scatti uscirono sfocati ma Dylan, senza esitazione, prese quello. Al tempo qualcuno pensò rappresentasse lo sballo durante un trip di Lsd. Nulla di tutto ciò: stavamo solo morendo di freddo!».

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    È toccante il modo in cui gli "taglia" il viso in due usando luce e ombra. Quel modo di fotografare è diventato iconico.

    «Sono cresciuto nel Bronx. I miei amici erano italiani, irlandesi, russi, ebrei. Le loro culture mi hanno spinto a osare. Ho fotografato Dylan facendogli coprire il volto con una mano. Voglio dire: uno arriva a Dylan, perché mai dovrebbe oscurargli la faccia? L' ho fatto perché avevo afferrato chi fosse: non importava quindi che si vedesse».

     

    Le ha mai parlato della contestazione al Newport Folk Festival, nel 1965, quando usò la chitarra elettrica invece dell' acustica? Era turbato?

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    «Oh, no, aveva un atteggiamento molto combattivo. L' ho fotografato poco dopo, al concerto di Forest Hills. Anche lì lo fischiarono. Ci ritrovammo tutti nel backstage. Era incazzato. Urlò: "Non me ne frega niente. Che vadano affanculo. Questo è quello che faccio ed è quello che farò!"».

     

    L' ultima volta che ha lavorato con lui è stato prima del famoso incidente in moto, nel 1966.

    «Mi stavo preparando per il film di debutto come regista (Mannequin. Frammenti di una donna, con Faye Dunaway, poi uscito nel 1970, ndr) e lui si ritirò per curarsi. Era evidente che avrebbe voluto fare del cinema.

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    Ci rivedemmo al matrimonio di un amico, nel 1973. Continuava a farmi domande del tipo: "Come fai a capire come posizionare la cinepresa?". Gli raccontai anche di aver girato degli spot. E lui: "Be', pensi debba fare delle pubblicità?". E io: "No, Bobby, penso proprio che non dovresti!"».

     

    Il Nobel per la Letteratura l' ha sorpresa?

    «Non mi ha sorpreso il premio. Come non mi ha sorpreso che non gli andasse di presentarsi per ritirarlo».

     

    Qual è la foto che gli ha fatto che pensa lo rappresenti meglio?

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    «Quella che ho di fronte in questo momento: non guarda esattamente l' obiettivo. Sembra immerso in un pensiero profondo. Nella mano sinistra ha una sigaretta e gli occhiali da sole, nella destra l' armonica. Arriva davvero alla sua anima».

     

    È bello sapere che lei è circondato dalla bellezza.

    «Sono stato fortunato».

     

    Forse ha avuto fortuna anche perché ha talento.

    «Be', ma quella aiuta, sa (ride, ndr)? Chiunque ha bisogno che la fortuna accompagni il proprio talento!».

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