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    ECATOMBE BRASILEIRA - BOLSONARO CONTINUA A NEGARE IL VIRUS: IL BRASILE NON SA PIÙ DOVE SEPPELLIRE I MORTI - QUASI 42 MILA MORTI, IL PAESE È AL SECONDO POSTO DOPO GLI STATI UNITI PER NUMERO DI VITTIME (SUPERATO IL REGNO UNITO) - A SAN PAOLO RIESUMATE DECINE DI TOMBE PIÙ VECCHIE DI TRE ANNI PER FAR POSTO ALLE VITTIME DEL COVID – LA FAVELA DI RIO ALLO STREMO, LE COMUNITÀ RELIGIOSE STANNO CON IL PRESIDENTE: "DIO CI PROTEGGERÀ "


     
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    Emiliano Guanella per la Stampa

     

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    Il Brasile non sa più dove seppellire i suoi morti. È un' ecatombe: quasi 42 mila persone, il Paese è al secondo posto dopo gli Stati Uniti per numero di vittime, superato il Regno Unito. E il Comune di San Paolo, la città più colpita dal Covid, ha iniziato a riesumare i cadaveri più vecchi di tre anni.

     

    Se i parenti non li hanno mai reclamati, le tombe vengono rimosse, le ossa finiscono in un' urna, depositati temporaneamente su un container. Il cimitero deve far posto ai nuovi morti, quelli di coronavirus che continuano ad arrivare senza sosta a Vila Nova Cachoeirinha, Sao Luiz, Campo Grande e Dom Bosco. Per ora, l' operazione è in corso nel camposanto di Vila Formosa, dove sono già stati estratti i resti da decine di tombe.

     

    È il Brasile piegato dal virus, un Paese che non fa nemmeno più i conti con la pietà e ha due volti. Marcio Antonio do Nascimento stava passeggiando sul lungomare di Copacabana quando ha visto una scena che lo ha fatto rabbrividire; un sostenitore di Jair Bolsonaro intento a buttare giù le croci infilate nella sabbia dalla Ong «Rio da Paz» per ricordare i morti della pandemia in Brasile. Marcio è corso subito a rimettere le croci al loro posto e con gli occhi pieni di lacrime ha gridato forte il nome di suo figlio Hugo, morto a metà aprile per il virus.

     

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    «Aveva 25 anni, si è sentito male all' improvviso e dopo due settimane se ne è andato, lasciandoci un vuoto enorme». Hugo, che lavorava in una ditta di informatica e nei fine settimana faceva il dj, è spirato al Ronaldo Gazzola di Acarì, periferia Nord di Rio, ospedale dove si è consumata questa settimana un' altra delle scene più forti della tragedia che sta martoriando il più grande Paese del Sudamerica. I famigliari di una donna di 56 anni deceduta lì sono entrati infuriati con l' animo di linciare i medici che, a loro avviso, non avevano fatto il sufficiente per salvarla.

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    Dieci minuti di follia, porte e computer rotti, gli infermieri chiusi nei bagni per paura di essere malmenati. Un attacco avvenuto il giorno dopo l' ennesima boutade del presidente Bolsonaro che aveva invitato i suoi sostenitori ad andare di persone negli ospedali per vedere se i letti di terapia intensiva erano veramente occupati da pazienti che ne avevano bisogno. «Se avete un ospedale vicino a casa trovate una maniera di entrare per filmare tutto e pubblicare sui social media. Dobbiamo verificare di persona se i letti sono occupati o no».

     

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    Di tutto si può dire ma non che Bolsonaro non sia coerente sulle sue posizioni: per l' ultimo dei grandi leader negazionisti del Pianeta il virus è un problema grave ma di gran lunga inferiore alle conseguenze economiche della pandemia. «Tutti moriremo prima o poi, l' importante è non bloccare il Paese per non finire nella povertà estrema come i Paesi dell' Africa subsahariana».

     

    Nella sua crociata Bolsonaro non è affatto solo. Il «popolo del capitano» è eterogeneo e va dai fanatici di estrema destra ai fedeli delle chiese evangeliche pentecostali fino ai milioni di brasiliani poveri o poverissimi che hanno perso il lavoro e oggi dipendono in gran parte dai 600 reais (100 euro) di aiuto straordinario che il governo federale sta assegnando ogni mese a chi non ha un impiego formale.

     

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    Un popolo fatto di bianchi e di neri, di ricchi e indigenti e che si schiera contro l' isolamento sociale. Marcelo Stachin ha 34 anni, vive a Sinop, città nello Stato del Mato Grosso; terra un tempo Amazzonia profonda, dove molti figli e nipoti di emigrati veneti hanno conquistato ettari di campi di soia o allevamenti sottraendoli alla grande foresta. Capo cantiere, Marcelo da due mesi ha mollato tutto per vivere nei due accampamenti allestiti a Brasilia per appoggiare il presidente.

     

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    «Quartiere Generale Rurale», con agricoltori e allevatori e «Patriota» frequentato da ex militari. Ogni domenica salutano Bolsonaro davanti al palazzo di Planalto e sono molto attivi sui social media. Per la sua attività nei gruppi più radicali del bolsonarismo, Marcelo è finito nell' inchiesta avviata dalla Corte Suprema sulla campagna di fake news pro governo; ora sta aspettando di essere interrogato dalla polizia federale. «Non so nemmeno di cosa mi accusano esattamente, io esprimo il mio sostegno a questo governo e critico l' ingerenza degli altri poteri. La magistratura e il legislativo vogliono bloccare il Presidente».

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    Discendente di emigrati ucraini, Marcelo mostra la bandiera usata nelle rivolte di Kiev del 2014; Dio, Patria e Famiglia. Non nega l' esistenza del Covid ma appoggia la teoria del complotto. «Il virus è cinese e guarda caso sta colpendo i due grandi Paesi capitalisti e conservatori, Stati Uniti e Brasile. Di Covid si muore, lo so, ma l' Oms ha detto che il contagio tra asintomatici non è comune. Con l' isolamento sociale si fa il gioco dei nemici, danneggiamo l' economia».

     

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    Proprio ieri il governatore di Brasilia ha mandato la polizia a smantellare i presidi, ma loro tirano avanti. «Sta venendo molta gente da tutto il Paese ad appoggiarci. Il popolo brasiliano è forte, non ci fermeremo». In prima fila tra i sostenitori di Bolsonaro ci sono anche i leader delle più importanti chiese evangeliche neopentecostali, come la Igreja Universal e Asembleia de Deus. La settimana scorsa si sono incontrati per pregare assieme al presidente.

     

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    «Il virus è Satana - ha detto il famosissimo Silas Malafaia - per combatterlo non ci si deve chiudere in casa, ma avere fiducia in Dio». Le chiese evangeliche tradizionali, come la Battista o l' Anglicana, sono a favore della quarantena, quelle più moderne e commerciali sostengono la linea del governo. Il loro peso è molto forte nelle favelas, oggi focolaio del virus. Lo conferma Barbara Olivi, un' emiliana che da 20 anni dirige alla Rocinha di Rio de Janeiro la Onlus italo-brasiliana «Il sorriso dei miei bimbi». «Molti stanno morendo in favela eppure molta gente va in giro senza mascherine perché il pastore gli ha detto che il Signore li proteggerà».

     

    Alla Rocinha, oltre centomila abitanti in due chilometri quadrati, il distanziamento sociale, lavarsi le mani è complicato quando per ore manca l' acqua corrente. L' asilo e la scuola della Onlus sono chiuse, ma ogni giorno vengono distribuite delle «ceste basiche» con il cibo necessario per una settimana; due pacchi di riso, fagioli, olio, zucchero, caffè, qualche biscotto. Il lunedì le mamme vengono a prendere i compiti per la settimana, un sacchettino con qualche foglio, le matite colorate, le indicazioni per i giochi o i disegni da fare.

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    Al presidio sanitario della Rocinha si registrano tre decessi al giorno, ma i morti sono molti di più se si conta chi va da solo negli altri ospedali o gli anziani che muoiono in casa. Ma l' emergenza è soprattutto economica. «All' inizio hanno perso il lavoro le impiegate domestiche. Oggi sono fermi i muratori, gli imbianchini, i commessi, chi lavora nelle baracche sulla spiaggia.

     

    La Rocinha è senza soldi e con il frigo vuoto». La fame pesa più del virus: all' apice della pandemia i governatori hanno deciso di riaprire le attività economiche e ora si teme una seconda ondata più forte. Secondo le proiezioni dell' Università di Washington senza misure di isolamento il Brasile potrà arrivare al triste record di oltre 200.000 decessi.

     

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