Estratto dell'articolo di Gabriele Guccione per il Corriere della Sera
BONACCINI MIRAFIORI
«Sono contento di rivedere il Pd nelle fabbriche», esordisce un operaio, Mario Alfiero, quando si trova faccia a faccia con Stefano Bonaccini. Alla porta 2 di Mirafiori, luogo simbolo, almeno un tempo, del rapporto tra la sinistra e il mondo del lavoro, il candidato segretario viene accolto da un gruppo di metalmeccanici. «Sono venuto qui per ascoltarvi», premette nella tappa torinese del suo tour per le primarie del Pd.
Sono passati dodici anni dall’ultima volta di un leader dem davanti ai cancelli della grande fabbrica. L’ultimo a farlo era stato Pier Luigi Bersani, un altro emiliano. Da allora sono cambiate molte cose, compreso il colore delle divise: non più blu, ma grigie e con il marchio Maserati. In mezzo c’è stato il referendum sull’accordo voluto da Marchionne, che ha spaccato metalmeccanici e sinistra. Ritornare qui, dove durante l’ultima campagna elettorale ha fatto capolino anche il leghista Matteo Salvini, non è per nulla facile. E Bonaccini lo sa.
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«Non è che arrivare davanti a una fabbrica risolva il problema del rapporto tra il Pd e i lavoratori — mette le mani avanti —. Il nostro partito è stato percepito come una forza politica distante, e forse ha pagato un prezzo troppo alto rispetto ai suoi demeriti». Come recuperare? «Anche a rischio di essere fischiati, bisogna stare al fianco dei lavoratori, che in questi anni hanno provato ad ascoltarli gli altri e poco noi. È un compito non solo del segretario, ma di tutto il gruppo dirigente».
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Un delegato della Fiom, Giacomo Zulianello, porge al presidente dell’Emilia-Romagna un volantino sullo sciopero e gli dice che non ha votato e non voterà il Pd: «Apprezzo però chi si fa vedere e ci mette la faccia». L’altro risponde con un sorriso: «C’è sempre tempo per cambiare idea, io credo molto nel confronto. In Emilia-Romagna la Fiom non ha votato per me la prima volta, ma poi lo ha fatto la seconda». Una lavoratrice, Maria Pagliaro, esorta il dem a fare di più: «Si pensa poco al benessere dei lavoratori, alla conciliazione tra vita e lavoro». Bonaccini annuisce. Sottolinea l’importanza degli investimenti industriali al tempo della transizione ecologica: «Lavoro e ambiente non possono essere contrapposti, va evitata la chiusura delle fabbriche». Si propone poi di lottare contro la precarietà: «Finché il lavoro precario costa meno di quello stabile, sarà così. Per questo bisogna tagliare il costo del lavoro». E fa un’affermazione che il portavoce della mozione della rivale Schlein, Marco Furfaro, legge come una abiura al renzismo: «Alcune riforme hanno funzionato, altre no. Intervenire sull’articolo 18 è stato un errore, industria 4.0 ha funzionato. Ora bisogna andare oltre il Jobs act».
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