Francesco Bonami per “la Repubblica”
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Alla notizia, improvvisa, della morte di Germano Celant a ottant' anni, vittima del coronavirus (era ricoverato al San Raffaele di Milano), mi è venuta in mente la poesia Il Cinque Maggio di Manzoni scritta per la morte di Napoleone. Il mondo dell' arte è infatti attonito. Germano Celant è stato e rimane una delle pietre angolari della storia dell' arte contemporanea mondiale. Un Napoleone, un po' rock e un po' punk, della cultura contemporanea capace di anticiparne la storia, qualità che solo pochi hanno avuto.
Chi mi conosce sa che non nutrivo simpatia professionale per Celant. Apparteneva ad una generazione culturale e politica che ritengo abbia prodotto a volte danni per il sistema dell' arte italiano.
Germano Celant
Ma la realtà spazza via ogni dubbio. I grandi personaggi, uscendo dal tempo, fanno scomparire difetti, imperfezioni e dettagli, obbligandoci a guardare esclusivamente alla loro genialità e capacità d' interpretare il mondo.
È geniale Celant nel 1967, qualche mese prima che arrivi lo tsunami del '68 ad intuire prima di ogni altro che i linguaggi dell' arte così come sono non resisteranno all' impatto dell' onda di una rivoluzione culturale che cambierà tutto. L' artista-individuo non ce la farà a galleggiare nel maremoto che sta per travolgerlo. Con una lucidità che non lo abbandonerà mai nel corso della sua carriera Celant inventa l' Arte Povera, che diventerà uno dei più importanti movimenti artistici della storia dell' arte di tutti i tempi.
Nel novembre del 1967 sul numero 5 della neonata rivista Flash Art il giovane curatore genovese pubblica il manifesto Arte Povera. Appunti per una Guerriglia .
Il testo inizia in questo modo: «Prima viene l' uomo poi il sistema, anticamente era così». Una frase che osservando il mondo in questo momento acquista un' attualità che son certo Celant stesso avrebbe preferito non avesse.
Miuccia Prada Germano Celant
Il manifesto diventerà un punto di riferimento assoluto per tutti coloro che abbiano poi intrapreso il mestiere di curatore o gli storici dell' arte del presente.
La genialità dell' intuizione di Celant consiste nel mettere dentro o sotto il cappello dell' Arte Povera un gruppo di artisti che da un punto di vista biografico e stilistico avevano poco in comune e che senza la capacità di sintesi di Celant difficilmente sarebbero riusciti ad affermare in quel particolare momento storico la propria identità individuale. Per questo forse nessuno, compreso il più anarchico fra loro, Alighiero Boetti, ha mai rinnegato l' appartenenza al gruppo. Pur avendo Celant nel 1972 sciolto le righe del movimento per poi ricompattarlo nel 1985 con una mostra a New York al P.S. 1, Jannis Kounellis, Luciano Fabro, Marisa e Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi, Pino Pascali, Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone, Emilio Prini, Pier Paolo Calzolari, hanno sempre viaggiato nelle loro rispettive carriere con l' ombra rassicurante dell' Arte Povera alle spalle.
Germano Celant
Lo stesso Celant, pur curando un numero di mostre strabiliante, non abbandonerà o forse non si libererà mai della sua eccezionale creatura. Ma oltre all' Arte Povera un trittico di mostre curate da Celant rimangono fondamentali per il racconto della eccezionalità italiana attraverso l' arte, Identité Italienne nel 1981 al Centro Pompidou di Parigi, The Italian Metamorphosis nel 1994 al Guggenheim Museum di New York e la più recente Post Zang Tumb Tuuum. Art, Life, Politics: Italia 1918-1943, nel 2018 alla Fondazione Prada di Milano.
Ma non si può dimenticare la Biennale di Firenze curata nel 1996 assieme ad Ingrid Sischy e Luigi Settembrini. Un' anticipazione sul rapporto fra moda e arte che in seguito si sarebbe sviluppato in modo quasi morboso. Come La settimana enigmistica questa Biennale vanterà numerosi tentativi d' imitazione ma nessuno riuscirà mai a rimettere assieme una mostra di quel genere. Lo stesso Celant vanta fra le generazioni di giovani curatori numerosi tentativi di imitazione senza che nessuno di loro sia mai riuscito nell' impresa di replicare il "metodo Celant", rigoroso e visionario al tempo stesso.
Germano Celant
Se un difetto Celant ha avuto, è stato quello di essere stato un padre padrone dell' Arte Povera e un po' del sistema dell' arte italiano in generale. Appassionato e possessivo è stato un dio che non è riuscito o non ha voluto fare quello che la Kabbalah dice abbia saputo fare il Dio ebraico, Tzimtzum, ovvero un passo indietro, lasciando alle sue intuizioni e creazioni la possibilità di esprimersi liberamente. Poco importa.
germano celant
Con Celant se ne va una delle ultime carismatiche figure di un mondo dell' arte che non esiste più, completando assieme ad Harald Szeemann e Jan Hoet quella "trinità" di curatori che hanno trasformato l' arte contemporanea, la sua percezione e i suoi linguaggi. Nel manifesto del '67 un passaggio riflette e lo celebra con definitiva e commovente precisione: «Un' imprevedibile coesistenza tra forza e precarietà esistenziale (...) pone in crisi ogni affermazione, per ricordarci che ogni cosa è precaria, basta infrangere il punto di rottura ed essa salterà. Perché non proviamo con il mondo?».
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