Camilla Povia per https://www.fondazioneleonardo-cdm.com/
luca coletto
"Se ci sarà un’altra ondata di contagi sapremo come muoverci. Il mostro c’è ancora, l’abbiamo solo ferito: non scordiamoci che può rivitalizzarsi in un attimo. E questo dipenderà solo dal nostro comportamento”. Luca Coletto, volto della sanità leghista sui territori, ragiona su quello che c’è da fare per fronteggiare un ipotetico ritorno del Coronavirus. Assessore alla Sanità delle giunte di Luca Zaia, poi sottosegretario del primo Governo Conte e ora assessore alla Sanità della regione Umbria, è convinto che la riapertura dovrà essere gestita “nel pieno rispetto delle regole”.
Secondo lei come si convive con la Fase 2?
“Ripeto, la gestione deve essere severa. Bisogna prima di tutto mettere in sicurezza chi ha più incontri nel corso della giornata: penso ai medici e a tutto l’ambito sanitario, gli operatori delle RSA, la polizia penitenziaria, chi lavora all’interno dei supermercati, i farmacisti e così via. Monitorando queste persone, dotandoli dei Dpi e regolando gli accessi agli esercizi aperti, siamo riusciti a controllare l’infezione. Da buon cacciatore so che se spari nel mucchio, di solito non prendi nulla. Dico sempre che bisogna sapere qual è l’obiettivo e poi agire di conseguenza”.
In Umbria sembra che ci siate riusciti. Dall’inizio dell’emergenza ci sono stati poco più di 1600 casi. E’ vero che la Regione non ha la stessa densità abitativa della Lombardia o del Veneto, però non può essere solo questo.
“Sicuramente è stata la gestione territoriale a salvare l’Umbria dall’intasamento ospedaliero. Da anni diciamo che il sistema sanitario vincente non è ospedalocentrico: non ha senso continuare a dare risposte come se fossimo indietro di quarant’anni. Un tempo la sanità non aveva mezzi di trasporto e di soccorso, non c’era una viabilità adeguata e dunque avevamo tantissimi piccoli ospedali che sì, ti davano la garanzia di un primo soccorso, ma poi diventava un terno al lotto.
Per fortuna dopo il decreto ministeriale 70/15 c’è stata una profonda razionalizzazione. I grandi ospedali rimangono il punto di riferimento nel comune capoluogo ma poi sul territorio è importantissimo avere strutture di rete e di base. Ma che senso ha avere ospedaletti in giro e magari un reparto di cardiochirgurgia che fa 10 interventi all’anno? Va definita attentamente la gerarchia degli ospedali e chi fa che cosa”.
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“Sicuramente è stata una delle prime Regioni dove questo sistema è stato messo in campo. Ci sono voluti anni e due piani socio sanitari ma ha funzionato. Potenziare la “fase territoriale” è la conditio sine qua non per non avere gli ospedali intasati. Anche perché negli ultimi anni l’aspettativa di vita è aumentata considerevolmente e di conseguenza serve una gestione delle patologie croniche degli anziani.
Non si può gestire la cronicità con l’ospedalizzazione, ci sono delle patologie che possono essere gestite con i ‘Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali’ (PDTA) attraverso le AFT (aggregazioni funzionali terapeutiche) o Case della Salute, seguite attraverso i medici di medicina generale. Luoghi in cui dalle 8 alle 20 è presente un presidio di medici a disposizione di tutti che attraverso il fascicolo sanitario online, con un solo click, può consultare facilmente il quadro diagnostico di quel particolare paziente, fare relative prescrizioni. Così facendo si tiene distante il paziente dall’ospedale perché esso deve curare solo le fasi acute: tutto il resto deve essere gestito sul territorio dalla medicina generale e dagli specialisti ambulatoriali”.
Allora se è tutto così facile come sembra, cosa non ha funzionato in questi ultimi tre mesi?
“Non darei colpe a chicchessia, tutti han fatto più di quello che potevano fare e siamo riusciti a limitare i danni nonostante tutto, poi la politica è un’altra cosa. Veneto e Lombardia sono una zona fortemente antropizzata, con grandi rapporti internazionali. Codogno ha rapporti diretti con Wuhan per la componentistica delle automobili, se poi aggiungiamo anche la partita Valencia-Atalanta con 50mila persone che si son trovate dentro uno stadio a strepitare, allora le abbiam fatte proprio tutte. E’ stata solo una congiuntura sfortunata”.
E se questa congiuntura sfortunata si fosse verificata al Sud, per esempio in Campania, dove abbiamo una densità abitativa superiore a quella della Lombardia.
“Guardi che anche noi in Umbria eravamo a rischio. Con 880mila abitanti avevamo solo 69 posti di terapia intensiva. La medicina territoriale va messa in condizioni di essere operativa, non mi stanco di ripeterlo. Da 69 posti letto siamo passati in poco tempo a 140, in Umbria abbiamo messo in campo 3 Covid Hospital con percorsi totalmente separati per evitare la diffusione del virus.
Abbiamo rastrellato i ventilatori da tutte le sale operatorie e abbiamo fronteggiato l'emergenza anche con l'aiuto delle donazioni delle Fondazioni ma anche con le forniture della Protezione Civile nazionale. Oltre al fatto che abbiamo gestito tremila pazienti a domicilio grazie alle USCA, task force gestite da medici di medicina generale (muniti di Dpi) che visitano a casa e che hanno strumenti diagnostici come l’elettrocardiografo o la possibilità di effettuare ecografie polmonari. Attivando i territori, questo virus si può combattere. Quanto meno non ci coglie impreparati”.
Sarebbe interessante capire quante regioni sono corse ai ripari in questi mesi, quante hanno avuto il tempo di organizzarsi per il futuro.
“Ah questo non lo so. Eppure si tratta solo di applicare una legge. Il famoso decreto ministeriale 70/15. L’abilità del politico è vedere dove sono le criticità e anticipare i tempi, si può fare incrociando i dati. Tra l’altro il nostro sistema sanitario è l il meno costoso a livello europeo ed eroga le prestazioni sanitarie a tutti senza distinzione di censo. Abbiamo un rapporto tra il Pil e fondo sanitario che è intorno al 6.4 - 6.6 e in Olanda o in Germania siamo intorno all’11%, il doppio, perché è un sistema basato sulle assicurazioni/mutue. In Germania, infatti, se non paghi l’assicurazione fai anche fatica a curarti. Bisognerebbe ricordarselo qui in Italia”.
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