BONO VOX FRANK SINATRA
Ed ecco entrare in scena uno dei più grandi showmen di tutti i tempi: Frank Sinatra. Ormai non domina più la classifica dei dischi e dello streaming, ma l'ultima sera del 2008 la passa con me nella calca di un pub a Dublino. Bicchieri che tintinnano, si scontrano e si infrangono nel pieno della baldoria gaelica. Porte a vento, innamorati che si fanno gli auguri di buon anno, faide familiari che ricominciano. Gioia al malto e disperazione allo zenzero pronte a essere servite, un quarto di millennio dopo che Arthur Guinness riempì per la prima volta una pinta di velluto nero liquido.
Dagli altoparlanti esce una voce che ci dà la sveglia: Frank Sinatra in My Way. La sua ode alla sfida sta per compiere quarant'anni, e hanno tutti una vita di ragioni per cantarla. È un'atmosfera interessante quella che stasera accoglie Frank nel fermento dublinese. Una crisi finanziaria. I nuovi capitali irlandesi scommessi e persi; la Tigre Celtica con la coda tra le gambe mentre costruttori e banchieri ridono a fatica ricordando l'anno passato e inghiottono a fatica pensando all'anno nuovo. Sopravvivranno, ma per poco il paese non andrà a fondo, e il prezzo più alto lo pagherà chi si è fatto prestare i soldi per comprare o affittare una casa. Stranamente, Frank è qui per tutti, accusatori e accusati.
BONO VOX FRANK SINATRA
C'è una caratteristica che manca alla sua voce: il sentimentalismo.
Nel pieno dell'incertezza nella vita professionale, nella vita privata, nella vita vissuta, perché la voce di Sinatra è come una sirena antinebbia? Tanta sicurezza in tempi irrequieti ci permette di innamorarci, ma se iniziamo a vedere tutto rosa ci riporta bruscamente alla realtà.
Un appello alla credibilità.
Una voce che dice: "Non raccontarmi balle".
Favolosa, non bugiarda. Sincera e affidabile.
Dopo la mezzanotte, l'umore della sala oscilla fra speranza e timore, attesa e trepidazione. Qualunque sia il tuo, la voce di Frank ti prende per mano.
Tornato a casa dal pub, stappo una bottiglia di vino, sapendo che rischia di diventare aceto quando amici e parenti alzano troppo il gomito. Cosa che sto per fare. Di fianco alla porta della cucina, ho una visione gialla di fronte a me: un quadro che Frank mi ha inviato quindici anni fa, dopo che ho cantato I've Got You Under My Skin insieme a lui per il suo album Duets. Un quadro fatto da lui. Una folle tela gialla piena di violenti cerchi concentrici intorno a una pianura deserta.
BONO VOX FRANK SINATRA
Francis Albert Sinatra, pittore, modernista. È l'anno nuovo, e io mi concedo una goccia di malinconia. Il proiezionista nella mia testa riavvolge la bobina, mostrandomi i ricordi di un uomo che fingo di conoscere grazie a qualche momento speciale condiviso. Un uomo che in realtà conosco grazie alle sue canzoni.
A tu per tu con Sinatra
Edge e io eravamo a casa sua a Palm Springs, sopra il deserto e le colline. Niente percalle, ma molto Miles Davis. E molte chiacchiere sul jazz.
In quell'occasione Frank mi mostrò il quadro. Il diametro dei cerchi mi ricordava la campana di una tromba, e glielo dissi. Gli dissi anche che avevo sentito che lui era stato una delle principali fonti d'ispirazione per Miles Davis.
BONO VOX FRANK SINATRA
"Il quadro si intitola Jazz, e puoi prendertelo."
(Ecco perché lo sto fissando ora, appeso in fondo alle scale a Temple Hill.)
"Sai, figliolo, sei l'unico uomo con l'orecchino che mi sia mai piaciuto."
La signora Sinatra scende le scale con uno splendido vestito rosso, l'eleganza fatta persona. "Barbara" osserva il marito con un ampio sorriso, "sembri un coagulo di sangue!"
"Miles Davis non ha mai sprecato una nota, figliolo, né una parola con uno stupido." E poi quest'altra.
"Il jazz si fonda sul qui e ora. La modernità non è il futuro, è il presente."
Il presente, eh? Ero con Frank Sinatra nel momento in cui si era dimenticato il presente, un momento in cui non era più presente. Era successo quello stesso giorno nel deserto della California, dove ci eravamo trovati per girare il video di I've Got You Under My Skin. Tallonata dal regista Kevin Godley con la sua troupe, una limousine ci aveva portati a un bar di Palm Springs gestito da un amico di Frank.
BONO VOX FRANK SINATRA
L'idea era che Kevin ci riprendesse mentre parlavamo del più e del meno. Nella scena iniziale, Frank era al bar ad aspettare che arrivasse un crooner irlandese, cosa che feci. Quando però gli chiesero di ripeterla, una delle telecamere ebbe un guasto, lasciandolo al bar per dieci minuti di troppo. Il "ciak, seconda!" del regista non lo fece uscire solo dal momento; lo fece uscire dal bar e dal video che stavamo girando. Frank era scomparso.
Sentendosi abbandonato, lo showman aveva alzato i tacchi, mollandomi al bar con la troupe e mezzo video da girare.
Più tardi telefonò Barbara. C'era stato un malinteso. Ci avrebbe fatto piacere andare a cena da loro quella sera, con qualche amico e un po' di whiskey? Edge era capace di regolarsi. Io no.
BONO VOX FRANK SINATRA
Ora, in questa versione dell'America di solito bevo Jack Daniel's liscio senza ghiaccio, un whiskey del Tennessee da centellinare. E allora perché decisi di rovinare tutto correggendolo con un ginger ale?
"Jack and ginger?" chiese Frank. "Un drink da donne."
Mentre mi studiava, avevo la sensazione che stesse guardando i miei orecchini e formulando il verdetto. La parola che stava cercando, e che non stava dicendo, era senz'altro "effeminato".
Vuotai il bicchiere in un attimo per compensare, e peggio ancora mischiai i drink. Durante la cena - messicana, non italiana - bevemmo tequila da enormi calici. "Mai bere cose più grandi della tua testa" pensai guardando Frank che premeva il naso contro il vetro.
BONO VOX
Mentre piegava con cura un tovagliolo turchese, Edge lo sentì mormorare fra sé: "Me lo ricordo quando avevo gli occhi così blu...".
Sul serio.
Più tardi ci spostammo nella sala proiezioni di Frank e Barbara per guardare alcuni film. Dopo essermi addormentato sul divano bianco come la neve, mi svegliai di soprassalto, terrorizzato. Avvertivo una sensazione di umido fra le gambe. Un attimo prima stavo sognando Dean Martin, adesso ero in preda al panico.
frank sinatra nel 1976
Primo pensiero: me la sono fatta addosso, ho urinato di fianco a Frank Sinatra. Secondo: non dirlo a nessuno. Terzo: non ti muovere, con tutto questo bianco vedranno subito la macchia gialla. Quarto: elabora un piano.
Rimasi seduto per venti minuti, vergognandomi come un cane. Muto. Aspettando la fine del film, mi chiesi come avrei spiegato alla star italoamericana quella débâcle irlandese. Quel segno che la mia incontinenza un tempo solo verbale si era trasformata nella prova schiacciante che ero un pesce fuor d'acqua. Ero un coglione. Un turista. Ero tornato piccolo nel mio lettino, un bambino di quattro anni che non ha ancora scoperto cos'è il fallimento.
bono vox
"Mami, mi asciughi? Ho fatto la pipì."
Be', in realtà non me l'ero fatta addosso. Avevo rovesciato il bicchiere. Dovevo essere ubriaco, strafatto di Frank, una patetica mezza sega all'ombra di un gigante.
frank sinatra
"What now, my love? Now that it's over?"
Tornammo in albergo. A sinistra in Frank Sinatra Drive. Ero sicuro che non avrei bevuto mai più in compagnia del grand'uomo. Non mi avrebbe mai più invitato. Avevo torto. Due volte. L'anno dopo, eccomi al bar della suite dirigenziale dello Shrine Auditorium di Los Angeles. Ci sono i Grammy, e Frank mi ha chiesto di presentare il suo Legend Award.
È un tantino angosciato. Anch'io sono un tantino angosciato. Al barista: "Stupiscimi".
Invece di richiamarci all'ordine l'un l'altro, stiamo subissando di ordini i baristi.
Io non bevo per ubriacarmi, vero? Bevo perché mi piace il sapore, vero?
bono vox
E allora perché mi ritrovo ancora una volta a fare l'imitazione di un ubriacone? Frank mi ha appena preparato un altro drink, ecco perché. Jack Daniel's senza ghiaccio, come piace a lui, servito in una pinta. Sto parlando con Susan Reynolds, addetta stampa e santa protettrice di Frank, e con Ali, mia moglie e santa protettrice. Paul McGuinness chiede a Frank della spilla che porta sul risvolto.
"È la Medal of Freedom, la più grande onorificenza civile, conferita dal presidente."
"Quale?"
frank sinatra
"Oh, non lo so, uno di quelli vecchi. Lincoln, forse."
Forte, penso, domandandomi se bisogna essere americani per riceverla. Domandandomi se le mie gambe stanno cominciando a muoversi. Domandandomi se avrei dovuto prepararmi qualcosa da dire casomai Zooropa venisse nominato Best Alternative Album.
Ma no, non è possibile. E invece sì. Le mie gambe mi portano al microfono, dove comunico a duecento milioni di persone che "gli U2 continueranno a fottere il mainstream". Non è la battuta più divertente e felice che si possa immaginare, ma quando torniamo nel bar Frank dichiara ai presenti: "Ero convinto di apprezzare questo ragazzo. Io lo amo, questo ragazzo".
Ho trentatré anni.
bono vox
Ci prepariamo al grande evento bevendo caffè. Quando entro in scena, sono diventato un insopportabile Giovanni Battista che apre la strada al nostro messia mezzo italiano. Sbruffone, con un sigaretto acceso fra le labbra, ho il sorriso compiaciuto di quando sono molto, molto nervoso. Fumo, quindi sono agitato. Tossisco. Sproloquio.
Quando esco dal palco, lo scenario si apre sul sindaco di qualunque città voglia: Frank nel suo classico smoking, accolto da una standing ovation nella città che ha contribuito a rendere famosa più di chiunque altro. O almeno è ciò che tutti pensano qui. Guarda il pubblico, impassibile, poi parla del barista dietro le quinte e fa qualche battuta. È sinceramente commosso, e all'improvviso perde il filo. I Grammy lo tagliano per mandare la pubblicità. Il presente aveva abbandonato Frank per una frazione di secondo; i produttori e il suo management, in preda al panico, avevano staccato la spina.
frank sinatra
La modernità non è il futuro, mi aveva spiegato Frank, è il presente. Essere presente era l'unica cosa che chiedeva a se stesso e alla sua arte: posso solo immaginare il terrore, quando gli era sfuggito di mano. Gli anni ti offrono la longevità, ma in cambio della gloria.