Stefano Stefanini per la Stampa
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Sulla base delle proiezioni post-voto, le elezioni di ieri danno alla Spagna un Parlamento altrettanto diviso quanto il Paese che è andato alle urne. Premiano, ma non abbastanza, il buon governo del governo di minoranza del Psoe. Invertono così il rapporto di forze fra centro-destra (crollato) e centro-sinistra a favore del secondo. Confermano il campanello d' allarme squillato in Andalusia, portando alle Cortes un' estrema destra che fa poco mistero di un' ispirazione nazional-franchista.
pedro sanchez al mare
Mantengono al centro dell' agenda politica l' irrisolto secessionismo catalano che spacca l' arco partitico fra intransigenza a destra e potenziale disponibilità al dialogo con Barcellona della sinistra. L' indiscutibile successo del leader socialista Pedro Sanchez non conduce direttamente alla governabilità: gli mancano più di 50 seggi e non gli dovrebbero bastare quelli, a sinistra, dell' alleato in pectore, Podemos che si fermerebbe tra i 42 e i 45. A conteggi in corso sembra che ci sarà nuovamente bisogno di una coalizione comprendente partiti di diversa estrazione e natura. Potrebbero bastare i baschi se i loro pochi seggi portano l' alleanza Psoe-Podemos oltre la magica soglia dei 176 seggi.
sanchez
pedro sanchez al mare
La Spagna è andata alle urne per la terza volta in quattro anni. Dal 2015 a oggi ha avuto un governo interinale per dieci mesi e governi di minoranza. Lo scossone del referendum indipendentista catalano ha prodotto l' unica breve fase di unità nazionale. Nel frattempo, il bipolarismo centro-destra/centro-sinistra si è frazionato in un arco di cinque partiti due sempre più polarizzato sui due estremi. Il voto di ieri doveva decidere i nuovi equilibri. Ad urne appena chiuse sembrano quasi un ritorno al punto di partenza: analoga maggioranza di sinistra su cui poggiava il precedente governo Sanchez, ma con alla guida un Psoe rafforzato.
pedro sanchez pablo iglesias
Il Partito Popolare, ai minimi storici, si lecca le ferite e affronta lo stesso dilemma di tante forze di centro-destra: come fermare l' emorragia a favore dei nuovi arrivati populisti e nazionalisti. Fare muro o spostarsi a destra? In entrambi i casi è quasi inevitabile cooptarne alcune istanze. La più facile è quella immigratoria; nel caso della Spagna fa da collante anche la strenua difesa dell' unità nazionale contro concessioni al secessionismo.
Con le elezioni europee alle porte, Bruxelles e le altre capitali guardavano ansiosamente alla Spagna, con i suoi 46 milioni circa di abitanti, come prova generale dell' attesa sfida delle forze anti-sistema ai partiti tradizionali. Le peculiarità spagnole (leggi: Catalogna) più l' alta affluenza alle urne, che difficilmente si ripeterà alle europee, impediscono di farne un paradigma veramente indicativo degli umori dell' intero elettorato Ue.
pedro sanchez mariano rajoy
L' affermazione nazionale di Vox, da niente a circa il 10%, mostra un' ultra-destra nazionalista che guadagna terreno appena trova appigli che facciano breccia nell' elettorato. Come altrove il centro tradizionale è sotto attacco dai due estremi e arretra (la somma di Psoe e Pp perde circa 10 punti percentuali). Comprendendovi anche Ciudadanos, in crescita, il centro mantiene di misura la maggioranza. In controtendenza con il resto delle sinistre europee, il successo socialista è l' unico dato confortante per le forze europeiste; lezione da trarne: il potere non corrompe quando usato bene. Per il resto il panorama è tutt' altro che rassicurante, specie sotto il profilo della governabilità.
VOX
Francesco Olivo per la Stampa
abascal
L' anomalia spagnola è finita ieri sera: l' estrema destra entra in parlamento per la prima volta dal ritorno della democrazia. A far crollare il tabù, a 40 anni dalla Costituzione, è l' irruzione di Vox, il movimento nazionalista, entrato sulla scena con l' accentuarsi della crisi catalana e (fattore forse meno decisivo) con l' aumento degli sbarchi dei migranti sulle coste andaluse.
I dati sono impressionanti: nel 2016 Vox aveva preso 47.000 voti in tutta la Spagna e oggi sfiorano i 24 deputati. Pur senza riuscire a entrare nella stanza dei bottoni, il movimento verde (è il colore del logo, niente a che vedere con l' ambientalismo) provoca un terremoto mai visto nella destra spagnola, un tempo monopolio del Partito popolare e oggi terreno di scontro, nel quale va aggiunto anche Ciudadanos, il partito liberal-nazionalista guidato da Albert Rivera.
IL RE FELIPE E PEDRO SANCHEZ
Le punte di Madrid e Valencia Oggi un movimento praticamente sconosciuto vale la metà di un partito storico come il Pp, che fino a 10 mesi governava il Paese. I voti sono stati tanti e distribuiti per tutta la penisola, con qualche punta clamorosa, come Madrid, specie nei comuni intorno alla capitale, altro successo a Valencia, dove si sono celebrate anche le regionali. Consensi ovunque, che, in ogni caso, non sono bastati per formare un governo «all' andalusa».
L' esperimento di Siviglia è partito a gennaio, con una formula classica: Popolari e Ciudadanos al governo regionale, con l' appoggio esterno di Vox.
MERKEL MACRON SANCHEZ JUNCKER
Il leader Santiago Abascal è stato il protagonista assoluto della campagna elettorale, nessuno ha radunato così tanta gente ai comizi, a quasi tutte le latitudini della complicata geografia spagnola. A Madrid, a Siviglia, a Valencia ai suoi comizi la folla si accalcava, applaudiva, osannava e aspettava anche molte ore per la soddisfazione di un selfie con il capo. I suoi discorsi infiammano,sembrano fatti apposta per essere trasmessi a pezzi sui social: frasi brevi, non troppo complesse, con slogan forti. Ieri mattina, appena aperti i seggi, l' account Twitte r del partito dichiarava aperta la caccia: «Che cominci la battaglia!» e un guerriero con la spada pronto a colpire i nemici ben identificati: la sinistra, gli indipendentisti catalani, le femministe («femminazi» è l' appellativo), gli omosessuali e i mezzi di comunicazione più progressisti, la Cadena Ser, El Pais e la tv La Sexta.
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La distanza da Salvini Lo spirito con cui Vox si appresta a entrare nel congresso dei deputati è questo. Più facile, certo, farlo dall' opposizione, anche perché la parte programmatica è soltanto accennata. «Meglio non andare subito al governo», ragionava un dirigente del partito dopo il comizio di Valencia, «dobbiamo ancora crescere, se andiamo al potere ci bruciamo». E in effetti la squadra è stata composta in grande fretta, il partito ha imbarcato chi c' era già, più qualche altra figura simbolica: toreri, militari, alcuni con aperte simpatie franchiste, personaggi dei reality show e anche la zia di Abascal.
«La politica del buon senso» la chiama il leader dell' ultradestra, ispirandosi al linguaggio di Matteo Salvini, dal quale però lo separano alcuni punti chiave: vocazione atlantica e non filorussa, niente toni anti europei (almeno per ora) e fiera difesa dell' unità della patria, minacciata dagli indipendentisti catalani, con i quali la Lega ha tentato di flirtare a lungo. Discorsi che si riapriranno presto, Vox ha un bel pacchetto di voti da offrire ai sovranisti europei.
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