Luigi Ippolito per www.corriere.it
boris johnson
Se uno sceneggiatore avesse proposto un film di questo tenore, gli avrebbero stracciato il copione in faccia: un primo ministro che nei primi dodici mesi di governo sospende il Parlamento, si fa bocciare dalla Corte suprema, poi stravince le elezioni, porta il suo Paese fuori dall’Unione Europea, divorzia, fa il sesto figlio, finisce in terapia intensiva e quasi ci resta stecchito? Ma dai, siamo seri... E invece è tutto vero: un anno vissuto pericolosamente, quello che Boris Johnson compie oggi a Downing Street, dove è successo tutto e il contrario di tutto. E siamo solo agli inizi di questa corsa sull’ottovolante.
Era il 24 luglio del 2019 quando Boris, incassata la nomina a leader del partito conservatore, si presenta a Buckingham Palace dalla regina per l’investitura ufficiale a capo del governo. Con lui finisce l’inglorioso regno di Theresa May, minato dalle incertezze e dai tentennamenti: adesso arriva uno che sa dove vuole andare — non per nulla da bambino aveva proclamato che voleva diventare il re del mondo.
boris johnson nel pollaio
«Nessuno negli ultimi secoli ha vinto la scommessa contro questo Paese», scandisce davanti al portone nero del numero 10. «Non ci riusciranno adesso». Parla della Brexit, ed è nel tipico stile Boris: smargiasso fino alla tracotanza. Il «Trump inglese», commentano gli improvvidi: ma lui è molto altro e molto di più, un internazionalista liberale diventato euroscettico per convenienza, un inguaribile ottimista che sa come galvanizzare l’elettorato.
Il compito che si assegna è uno solo: dare corso al referendum del 2016 e condurre la Gran Bretagna fuori dalla Ue. Boris lo fa a testa bassa, come un ariete: quando il Parlamento gli mette i bastoni fra le ruote, lui si avvale delle prerogative reali e lo sospende. «Golpe», gridano gli avversari: e la Corte suprema, con una sentenza senza precedenti, dà torto al primo ministro.
boris johnson 2
Ma Boris non si dà per vinto. Con un colpo da maestro, raggiunge con Bruxelles quell’accordo che sfuggiva da anni: e dà prova di grande pragmatismo, perché di fatto accetta di sacrificare l’Irlanda del Nord, lasciata nell’orbita della Ue. Forte di questo risultato, si presenta alle urne con un solo slogan: «Get Brexit done», portiamo a termine la Brexit. La gente non ne può più di quella saga infinita che si trascina da tre anni e gli dà ragione: Boris conquista una maggioranza schiacciante, che i conservatori non vedevano dai tempi di Margaret Thatcher. Un risultato che, proclama lui, dimostra «l’irrefutabile, irresistibile, indiscutibile decisione del popolo britannico»: e dunque il 31 gennaio Londra esce dalla Ue.
Ma quello che doveva essere un anno di gloriosi trionfi, fuori dai ceppi dell’Europa, il destino cinico e baro lo trasforma in un dramma. La pandemia incombe: e coglie Boris impreparato. Lui passa febbraio in semi vacanza assieme alla compagna Carrie Symonds, incinta del suo ennesimo figlio (ne ha già cinque ufficiali e chissà quanti non dichiarati): e salta tutte le riunioni del comitato di emergenza.
boris johnson carrie symonds
Quando torna al posto di combattimento, la catastrofe dilaga. Ma lui ancora tentenna: e decide il «lockdown» con settimane di ritardo. Il bilancio delle vittime è così il più alto in Europa: e ci finisce quasi dentro pure lui, strappato per un soffio alla morte, ad aprile, solo dalla dedizione dei medici.Ora Boris si è ripreso, ma in questi mesi il suo governo è passato di gaffe in errore: e così anche la sua popolarità è precipitata. Lui è un leader per tempi di ottimismo, non attrezzato a dare cattive notizie: peggio — sospettano in molti — non è davvero capace di gestire una crisi. E così il suo stesso partito ora lo aspetta al varco: perché in politica nessuno è davvero insostituibile. Nemmeno Boris.
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