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    “SONO VITTIMA DEL PIU’ GRANDE ERRORE GIUDIZIARIO DEL SECOLO” - L’URLO DI BOSSETTI IN AULA PRIMA DELLA SENTENZA: “YARA POTEVA ESSERE MIA FIGLIA, NEPPURE UN ANIMALE MERITAVA TANTA CRUDELTÀ” – “QUEL DNA NON MI APPARTIENE, NON SONO L’ASSASSINO”


     
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    Da la Stampa

    BOSSETTI BOSSETTI

     

    Massimo Bossetti si gioca tutto. «Una ragazzina che aveva diritto di vivere, poteva essere mia figlia, la figlia di tutti voi» dice aprendo le dichiarazioni spontanee prima che la corte d’assise d’appello di Brescia si ritiri in camera di consiglio per emettere il verdetto. «Neppure un animale meriterebbe così tanta crudeltà».

     

    Oggi sarà il presidente della corte Enrico Fischetti (che non ha dato indicazioni di tempo) a leggere la decisione: conferma della sentenza di ergastolo, riforma parziale del primo grado (l’accusa chiede l’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi), assoluzione oppure perizia sul Dna, la traccia mista trovata su slip e leggings della 13enne attribuita a Ignoto 1 poi identificato in Bossetti.

     

    «Quel dna non mi appartiene. Non sono l’assassino»: già condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha voluto spiegare ai giudici perché non è lui l’assassino della 13enne di Brembate, scomparsa il 26 novembre 2010 dal piccolo comune di Bergamo.

     

    Davanti alla sua famiglia - sempre presente la moglie Marita, la madre e la sorella gemella - ha chiesto ai giudici di assolverlo, di poter dimostrare con una perizia che hanno preso la persona sbagliata. Si è definito «vittima del più grande errore giudiziario del secolo». 

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    “Non posso marcire in carcere da innocente”  

    L’imputato ha chiesto scusa per «il comportamento scorretto» tenuto nella prima udienza quando era sbottato alle affermazioni del sostituto pg. ««Pensate però come può sentirsi una persona attaccata con ipotesi fantasiose e irreali», ha detto, leggendo dei fogli estratti da una cartella rossa.

     

    «Non posso marcire in carcere per un delitto che non ho commesso» ha aggiunto Bossetti che, nel ribadire la sua innocenza, ha voluto sottolineare che «se fossi io l’assassino sarei un pazzo a chiedervi la perizia, io non ho mai fatto male a nessuno, non ho mai alzato un dito né su mia moglie né sui miei figli. Anche in carcere sono ben voluto da tutti».  

     

    Lo scontro sul Dna  

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    Un appello analogo l’1 luglio 2016 cadde nel vuoto: poche ore dopo le sue dichiarazioni la corte di Bergamo sentenziò il “fine pena mai” per il muratore di Mapello. Quella traccia biologica - prova granitica per i giudici di primo grado - è l’elemento intorno a cui ruota l’intero caso. L’assenza del suo Dna mitocondriale «non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense» per il rappresentante dell’accusa Marco Martani. «Quel Dna non è suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità - 261 - che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori», per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini.

     

    «Concedetemi la superperizia» sul Dna così «posso dimostrare con assoluta certezza la mia estraneità ai fatti. Cosa dovete temere se tutto è stato svolto secondo le norme? Perché non consentite che io e la difesa possiamo visionare i reperti? Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato, dubbioso» ha detto Bossetti ai giudici della corte d’assise d’Appello di Brescia. 

     

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    Gli altri indizi  

    La prova scientifica «assolutamente affidabile» per l’accusa va letta insieme agli altri indizi di un’indagine. Contro l’imputato ci sono altri elementi: dal passaggio del furgone davanti alla palestra alle fibre sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; dalle sferette metalliche sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell’edilizia all’assenza di alibi.

     

    Indizi che la difesa respinge. Il furgone immortalato vicino al centro sportivo di Brembate non è di Bossetti; le sfere e le fibre non riconducono con «nessuna certezza» all’imputato che non ha mai cambiato abitudini e che anche quella sera era a casa. La 13enne è stata trovata senza vita in un campo incolto a Chignolo d’Isola, una zona che il muratore di Mapello conosceva per lavoro.  

    MASSIMO BOSSETTI MASSIMO BOSSETTI

     

    La foto satellitare  

    Di diverso avviso la difesa che sostiene che la 13enne è stata portata lì solo successivamente, come dimostrerebbe una foto satellitare del 24 gennaio 2011, poco più di un mese prima del suo ritrovamento. Su un tema le parti concordano: vittima e presunto carnefice non si conoscevano, ma Yara potrebbe aver accettato un passaggio sul furgone di Bossetti, il quale «affascinato» da questa «giovanissima donna» potrebbe aver tentato un approccio sessuale finito nel sangue, a dire dall’accusa.

     

    Un delitto compiuto da «un perverso sessuale sadico, l’opposto esatto di Bossetti», secondo i suoi legali: le ricerche pornografiche sul computer risalgono a tre anni dopo la morte di Yara e non indicano nessuna perversione dell’imputato. Oggi a stabilire la verità saranno i giudici. 

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