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    TRUMP NELLA BUFERA – IL RUSSIAGATE SI AGGRAVA: IL SENATO CONVOCA L’EX CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA FLYNN - IL PRESIDENTE PENSA DI SILURARE ANCHE IL PORTAVOCE DELLA CASA BIANCA SPICER – ZUCCONI: TRUMP E L'OMBRA DEI VELENI DI NIXON. "IL LICENZIAMENTO DI COMEY FORSE NASCONDE QUALCOSA"


     
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    Alberto Flores d’Arcais per repubblica.it

     

    La lettera di addio inviata da Comey agli agenti Fbi. Il subpoena (un mandato di comparizione) inviato dal Senato al generale Flynn, l'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale costretto alle dimissioni per il Russiagate. Una nuova testa in procinto di cadere, quella del portavoce della Casa Bianca Sean Spicer.  Sono passate meno di 24 ore da quando il direttore del Fbi è stato licenziato da Donald Trump e ogni 'ultima notizia' scaccia dai titoli quella precedente, in una valanga (mediatica e di immagine) che si ritorce come un boomerang sulle decisioni del presidente meno popolare della recente storia d'America.

     

    Se The Donald con il suo 'fired!' (licenziato) pensava di risolvere in poche ore il caso, quasi fosse il reality tv di cui è stato a lungo protagonista, si è sbagliato, se credeva di chiudere le indagini sulle interferenze della Russia di Putin non ha tenuto conto della complessità dei rapporti Casa Bianca-Congresso e ha sottovalutato i distingui di esponenti repubblicani di primo piano come il senatore McCain, se (come sembra) farà presto rotolare anche la testa del suo fidato portavoce rischia di crearsi nuovi nemici.

     

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    Ha ancora un grande vantaggio, la maggioranza del Grand Old Party schierata con lui e l'appoggio del potente speaker della Camera Paul Ryan ("licenziare Comey è stato giusto, ora occorre trovare al più presto il suo sostituto), ma con il mandato di comparizione a Flynn le indagini sul Russiagate difficilmente a questo punto potranno essere insabbiate. L'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale si era sempre rifiutato di collaborare alle indagini del Fbi, adesso dovrà rispondere alle domande di una commissione del Senato guidata da un presidente democratico e nella quale anche un paio di esponenti repubblicani vogliono chiarimenti effettivi e non mera propaganda (o peggio ancora bugie).

     

     

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      Mentre a Washington, Chicago ed in altre città degli Stati Uniti la piazza prende le difese di Comey (ci sono già state piccole manifestazioni di protesta, altre ne seguiranno) l'ormai ex direttore del Fbi ha scritto una lettera di saluto-commiato agli agenti federali (in maggioranza attraverso le proprie organizzazioni schierati con lui): "Ho sempre pensato che un presidente può licenziare il direttore del Fbi per qualsiasi ragione o anche per nessuna ragione. Non voglio domandarmi il perché e il come sia avvenuto, è stato fatto e va bene così, anche se mi mancherete profondamente, sia voi che la missione a cui ero stato chiamato. Vi avevo detto che in tempi di turbolenza il popolo americano aveva bisogno di un Fbi competente, onesto e indipendente. La mia speranza è che voi continuiate a fare la cosa giusta, a vivere secondo i valori americani e difendere la Costituzione".

     

      La serata di Washington si chiude con la notizia della Cnn. Citando fonti interne alla Casa Bianca la tv all-news racconta che

    il presidente americano, insoddisfatto di come Spicer lo sta difendendo di fronte alla stampa, avrebbe preso in seria considerazione l'idea di sostituirlo con la vice, Sarah Huckabee Sanders (figlia dell'ex Governatore dell'Arkansas e candidato del Gop alla Casa Bianca Mike Huckabee).

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    TRUMP E L’OMBRA DEI VELENI DI NIXON

    Vittorio Zucconi per repubblica.it

     

     

    È quell'odore acre di paura, quel sentore di "noi contro il resto del mondo" sprigionato oggi dalla Casa Bianca di Trump che riporta l'America ai giorni cupi di Nixon e del Watergate. Alle sei della sera di martedì, quando la guardia del corpo del presidente ha consegnato di persona la lettera di licenziamento del direttore Jim Comey alla reception dell'Fbi come un Pony express, i campanelli d'allarme della memoria hanno cominciato a suonare e gli altoparlanti dei televisori a gridare il nome che a quasi 45 anni dopo ancora rimbomba nella memoria storica della nazione, fra terrore e speranza: "Impeachment".

     

    Tanti sono gli anni che dividono la presidenza Trump dai giorni dell'autunno 1973 quando un Richard Nixon ormai lambito sempre più da vicino dalle inchieste sullo scasso del quartier generale Democratico nel palazzo del Watergate e sui tentativi di insabbiare le inchieste, cercò di fermare tutto licenziando l'Inquisitore Speciale e portando a dimissioni in massa al ministero della Giustizia.

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    Fu la "Notte del Massacro del Sabato Sera" e se il licenziamento del direttore dello Fbi non raggiunge il livello della "strage" nixoniana, c'è un parallelo che anche un senatore repubblicano, Richard Burr, ha subito individuato. La cacciata del direttore di quella superpolizia federale che sta conducendo le indagini segrete sui possibili rapporti illeciti fra Mosca e il Team Trump "crea l'impressione che abbiano qualche cosa da nascondere". Non si capisce perché questa cacciata proprio ora e perché con il ridicolo pretesto di avere condotto male le indagini su Hillary Clinton, quelle indagini che tanto aiutarono Trump a vincere.

     

    Vivemmo allora, noi imbarcati nella nave delle battaglie politiche a Washington, ore e giorni febbrili, tra sospetti, accuse, interventi del governo e dei suoi "plumbers", degli stagnini voluti da Nixon per bloccare quelle fughe di notizie che lo stavano distruggendo e che venivano - lo riveleranno anni dopo i cronisti del Washington Post - da quello stesso Fbi che oggi Trump ha decapitato. Ma l'America del 2017 è molto diversa dall'America del 1973. La convalescenza dai terribili anni Sessanta, dagli omicidi politici, dalla lunga, sanguinosa malattia della guerra in Vietnam finita con la resa americana non era neppure cominciata e la voglia di un capro espiatorio per purificare la nazione dalle proprie colpe era acuta. Nixon, ben oltre gli errori, i crimini, la paranoia che lo portarono alle dimissioni per evitare la destituzione ormai certa nel 1974, era il perfetto simbolo politico da sacrificare.

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    Ma il sentimento di inevitabilità, che impregnava Washington in quel biennio '73 e '74, che ogni giorno segnava con nuove rivelazioni e nuovi tentativi di bloccarle l'agonia di un presidente, oggi manca. Il Congresso è saldamente nelle mani di un partito Repubblicano che privatamente aborre Donald Trump, ma pubblicamente non osa tradirlo, non avendo alternativa. I Democratici, che si agitano per creare una nuova figura di Inquisitore Speciale sul "Russiagate" non hanno i numeri, in Parlamento, per spingere il governo a nominarlo, né per formare una Commissione d'inchiesta con poteri giudiziari.

    La tensione cresce, alimentata da comportamenti che sembrano tradire la paura di un'inchiesta che già ha individuato almeno cinque degli ex collaboratori di Trump nella campagna elettorale, compreso il suo futuro consigliere per la Sicurezza Nazionale, tra coloro che segretamente intrattenevano rapporti con il governo Putin e ricevevano da Mosca pagamenti. Come 44 anni fa, quando il Watergate partì dagli assistenti e dai cortigiani di Nixon, l'impressione è che questo licenziamento, per errori che Comey avrebbe commesso la scorsa estate, voglia servire da barriera tagliafuoco fra Trump e i suoi più compromessi.

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    Naturalmente, licenziare un direttore dello Fbi è perfettamente legittimo e anche Bill Clinton, nel primo caso dalla creazione del "Bureau of Investigation" nel 1908, licenziò un direttore, William Sessions, quando emerse che lui aveva usato fondi pubblici per interessi personali e 10 mila dollari del "Bureau" per rifarsi la staccionata attorno alla propria casa. E la febbre del Watergate, che sta agitando la capitale, i media tradizionali, i nuovi veicoli in Rete fra grida di indignazione e accuse di montatura da "fake news" non avvicina la temperatura rovente degli anni '70.

     

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    La nazione oltre la "Beltway", la cintura d'asfalto che circonda Washington, sembra ancora indifferente e divisa nelle due metà che detestano o adorano Trump. La paranoia anticomunista che tormentava Nixon e con lui la maggioranza dell'elettorato è diventata l'ossessione neo nazionalista e xenofoba che lega Trump al proprio elettorato e su quella potrà continuare a contare. Ma la memoria dispettosa rammenta che, l'America "silenziosa" là fuori si ribellò dopo lo sfacciato tentativo di insabbiare l'inchiesta e il numero di coloro che volevano l'incriminazione, l'Impeachment, superò di pochissimo i contrari. Spiritosamente, i curatori della Biblioteca Nixon, dove si conservano i documenti relativi alla sua presidenza hanno anche voluto twittare che "almeno Nixon non aveva mai licenziato il direttore dello Fbi".

     

    Solo Trump sa quello che ha fatto o non fatto e il licenziamento di Comey toglie i denti all'unica inchiesta giudiziaria che poteva insidiarlo. Il successore del licenziato non avrà zanne molto lunghe. Ma il passato, questa volta correttamente, avverte che gli uomini e le donne dello Fbi, da chiunque siano scelti o promossi non giurano fedeltà al presidente, ma alla Costituzione. Promettendo di difenderla da tutti i nemici esterni e interni.

    MICHAEL FLYNN MICHAEL FLYNN

     

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