Sergio Rizzo per “la Repubblica”
burocrazia
Si potrebbe cominciare da un atto elementare: obbligare lo Stato a osservare la legge. Per esempio una del 1990, ribadita poi nel 2000, che vieta agli uffici pubblici di richiedere ai cittadini e alle imprese documenti già in suo possesso. Sarebbe sufficiente applicarla alla lettera per scatenare una rivoluzione virtuosa nella burocrazia.
Perché le amministrazioni sarebbero costrette a far dialogare fra loro le rispettive banche dati, che invece causa gelosie restano recinti sigillati. Ecco la prima vera semplificazione, invece dei pomposi disegni di legge con cui ogni governo regolarmente inonda il Parlamento, e altrettanto regolarmente senza alcun risultato.
jean claude trichet e mario draghi 1
Perché non si può che partire da qualche iniezione di buonsenso nella pubblica amministrazione, se si vuole "tornare alla crescita". Sono le tre parole con le quali Mario Draghi debuttò alla Banca d'Italia nel 2006 e concluse nel 2011 le sue ultima Considerazioni finali da governatore. Un paio di mesi dopo avrebbe firmato insieme a Jean-Claude Trichet, il capo della Bce allora in carica, la famosa lettera nella quale si chiedevano al governo italiano di Silvio Berlusconi riforme urgenti.
MARIO DRAGHI LOTTA CONTRO LA BUROCRAZIA
Finiva così: «Incoraggiamo il governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese».
Basta questo per intuire la direzione che potrà prendere l'eventuale governo Draghi se vorrà essere coerente con il proposito di "tornare alla crescita". La stessa, del resto, indicata al momento di arrivare alla Banca d'Italia.
Senza troppi peli sulla lingua: «Il sistema giuridico e amministrativo influenza significativamente i costi e la competitività delle imprese. In Italia esso è stato a lungo indifferente alle ragioni del mercato. In una graduatoria della Banca mondiale relativa alle procedure burocratiche e amministrative connesse con l'attività d'impresa, l'Italia occupa la settantesima posizione, penultima fra i Paesi dell'Ocse».
draghi berlusconi
A quindici anni di distanza, nella classifica Doing business della Banca Mondiale l'Italia non occupa più il posto numero 70, come denunciò Draghi nelle sue prime Considerazioni finali, bensì il 58. Su 190 economie. Lontanissima comunque dagli altri Paesi europei, perfino dietro Kenya e Kosovo. E lo scenario continua a essere avvilente. Nel capo delle pratiche edilizie siamo alla casella 97. Non va meglio per l'avvio di un'attività imprenditoriale: 98.
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Né per ottenere crediti bancari: 119. Per non parlare delle difficoltà di una controversia legale in materia contrattuale: 122. Ma il massimo si raggiunge con la burocrazia fiscale.
Per onorare i propri obblighi con il fisco un'impresa impiega mediamente 238 ore l'anno: 10 giorni senza mangiare né dormire oppure un mese intero calcolando 8 ore al giorno. Numeri che valgono nel 2020 la posizione numero 128, contro la 118 del 2019 e la 112 del 2018.
Senza poi considerare che il prelievo supera il 59 per cento dei profitti.
Ma è ancora niente rispetto al costo della burocrazia, che è stato calcolato in 30 miliardi l'anno per tutto il sistema delle imprese italiane. Va da sé che alcuni settori sono più colpiti di altri. Quello delle costruzioni è in una situazione delirante. Basta dire che per bandire una gara d'appalto un Comune deve completare una quarantina di procedure e l'impresa che vuole partecipare è costretta a produrre il triplo dei documenti richiesti in qualsiasi altro Paese europeo.
POLIGRAFICO 1
Ogni Comune continua ad avere regole diverse dal comune accanto e la quantità di leggi regionali che impattano sull'attività edilizia si misura in diverse migliaia. Per frenare la deriva burocratica nulla hanno potuto i 41 ministri che dal 1950 si sono alternati alla guida di un ministero capace di cambiare soltanto il proprio nome una dozzina di volte in 71 anni.
Senza che sia stato riformato o semplificato alcunché. La produzione legislativa è asfissiante: la banca dati del Poligrafico dello Stato censisce oltre 200 mila provvedimenti attualmente vigenti, a cui bisogna sommare circa 50 mila leggi regionali. Una paurosa mole di norme spesso contraddittorie, che nessuno è mai riuscito a sfoltire, e crea spaventosi ingorghi interpretativi a scapito della certezza del diritto.
imprenditore e burocrazia
Le ragioni sono infinite, e immense sono le responsabilità della politica. Cambiare marcia certo si poteva, e senza impelagarsi nelle ipotesi di grandi riforme solo per strappare inutili applausi.
Si poteva investire nelle tecnologie e nella formazione, sottoporre i servizi pubblici al giudizio vincolante dei cittadini, favorire il turnover, premiare più il merito che l'anzianità. Tutte cose che però sarebbero costate non poco in termini di consenso. Fortuna adesso vuole che di quel genere di consenso uno come Draghi non ne abbia davvero bisogno.