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    LARDO AI GIOVANI! - LA GRASSOFOBIA ALIMENTARE E QUELLA ROTTURA DI PALLE DELLA MODA "LIGHT" VEGANA STANNO GENERANDO DISPREZZO PER IL LARDO DA CUI POI DERIVANO STRUTTO E SUGNA: CIBI DELLA TRADIZIONE CHE HANNO NUTRITO GENERAZIONI DI PERSONE - NON VANNO DEMONIZZATI, MA REINTEGRATI (A PICCOLE DOSI) SENZA ECCEDERE CON LE CALORIE. ANCHE PERCHÉ NON È CHE I GRASSI VEGETALI INVECE...


     
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    Gemma Gaetani per "La Verità"

     

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    La china della grassofobia alimentare, cioè della condanna del grasso animale all'interno dell'alimentazione, è cominciata negli anni Ottanta, quando l'industria dei grassi vegetali idrogenati (le margarine) ha diffuso il messaggio che i grassi animali facessero male e quelli vegetali no. Passati molti decenni da allora, si è potuto appurare che non è esattamente così, ma le cose non sono migliorate.

     

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    Perché nel frattempo alla persistente grassofobia alimentare si è aggiunta la cosiddetta etica vegana che vede in qualsiasi forma di allevamento e uso delle risorse animali uno sfruttamento, a prescindere dalla salubrità dei prodotti ricavati.

     

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    La demonizzazione dei grassi e, in generale, di tutti i prodotti animali è così proseguita con «nuovi argomenti» e sempre più al burro si preferiscono grassi idrogenati vegetali, quelle margarine che spopolarono negli anni Ottanta e che oggi tentano di acquisire anche l'appeal filoanimalista chiamandosi burri vegani o strutti vegetali.

     

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    L'industria del già pronto propone addirittura ricette della tradizione private dei grassi tradizionalmente usati come «pasta sfoglia senza burro» e «piadina senza strutto». Ma è davvero insalubre il grasso suino? Si tratta di un tris di grassi che accompagnano l'uomo da molto tempo: lardo, strutto e sugna. Il lardo è un salume di suino, facendo una battuta potremmo dire che è il più bianco dei suoi salumi.

     

    E forse anche per questo motivo, perché si tratta di grasso puro, perciò è di colore bianco candido, raramente al supermercato troviamo il lardo in fettine confezionato: hanno occupato anche il suo posto pancetta e guanciale, un po' meno assolutistici nella quota grassi e quindi più vendibili a mangiatori sempre più condizionati, consapevolmente o no, da grassofobia alimentare.

     

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    Il lardo si trova, se si è fortunati, al banco dei salumi freschi. Del Sus scrofa domesticus, ovvero del maiale, il lardo è lo strato adiposo posizionato sotto la cute (cotenna) del maiale dalla zona retro-occipitale (dietro la testa) fino alla fine della groppa (regione lombare e natiche) compresa la parte alta dei fianchi.

     

    La prima parte si chiama lardo (particolarmente pregiato è il lardo tra gola e scapola, che si chiama lardo della vena), mentre il lardello e il duro di schiena costituiscono il cosiddetto lardo della schiena (con il grasso di guancia e pancia si fanno invece il guanciale e la pancetta).

     

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    Quel tessuto grasso sottocutaneo viene tagliato, eventualmente scotennato, salato, aromatizzato e stagionato. Si stagiona perché presenta molti grassi saturi, buoni per cuocere perché più stabili nel caso di riscaldamento, ma non molto capaci di conservare e conservarsi, caratteristica che espone il blocco di lardo alla possibilità dell'irrancidimento.

     

    Una volta stagionato, è infatti venduto sottovuoto o, se al taglio, i blocchetti (che sono di almeno 3 centimetri di spessore e vanno dai 250 grammi ai 5 chili, eventualmente con cotenna in alto e sale speziato sul lato opposto), dalla parte esposta a luce e calore, sono opportunamente protetti con veline alimentari.

     

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    Va specificato che la parola «lardo» si dovrebbe usare soltanto per il grasso ormai stagionato, cioè per il salume, mentre il taglio di carne prima della lavorazione si dovrebbe chiamare «grasso fresco».

     

    Le due Dop italiane

    Che cosa ci racconta l'etimologia? La parola lardo deriva dal latino lar(i)dum, che potrebbe avere qualcosa a che fare con il greco larinós cioè «ingrassato». In Italia abbiamo due lardi Vip, cioè il lard d'Arnad, prodotto Dop della Valle d'Aosta, e il lardo di Colonnata, prodotto Igp della Toscana, entrambi considerati leccornie.

     

    Il lardo di Colonnata ha reso celebre in tutto il mondo il borgo montano a 25 chilometri da Forte dei Marmi, decisamente poco noto prima del riconoscimento Igp. Il gustoso salume viene stagionato in conche, cioè vasche, di marmo, strofinate con aglio, disposto in strati alternati con una salata aromatica di sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco e aglio (sono facoltativi cannella, chiodi di garofano, anice stellato, coriandolo, noce moscata, cardamomo, salvia, rosmarino e qualsiasi altra erba commestibile che cresca spontanea sulle Alpi Apuane) per almeno 6 mesi.

     

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    Il suo utilizzo ideale è al naturale, tagliato a fette sottili adagiate su pane caldo. Anche il lardo di Arnad, lardo di spalla ottenuto da maiali di almeno 160 chili e 9 mesi di età, subisce un procedimento di stagionatura solitamente annuale in una salamoia di sale marino, pepe, rosmarino, alloro, salvia, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata e achillea, eventuale vino bianco se si supera l'anno di stagionatura, in passato nei «doil», tipiche vasche di legno di castagno, oggi in contenitori di vetro.

     

    Il lardo è stato anche riconosciuto dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali come prodotto agroalimentare tipico della Basilicata e del Piemonte e, in generale, ogni regione italiana produce lardo. In passato era considerato un semplice companatico dei poveri, dato il grande apporto calorico.

     

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    Oggi, come molti cibi modesti di un tempo, il lardo si è sdoppiato: da una parte continua a essere mangiato da chi lo ha sempre mangiato, mantenendosi fuori dalla concezione esistenziale grassofobica e vegana e attenendosi casomai alla consuetudine; dall'altra è stato rivalutato dalla cucina gourmet e da tanti foodies come occasionale concessione al rusticume e alla tradizione.

     

    Integrato in un'alimentazione più ricca di quella contadina come è quella contemporanea, il lardo è comunque uscito dall'ambito delle sole preparazioni tradizionali, come l'erbazzone reggiano (abbiamo dato la ricetta nella Verità del 2 novembre scorso scrivendo della bieta).

     

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    Alimentazione completa

    Questo salume bianco adesso si degusta come prelibato, e non obbligato dalla povertà, piatto a sé o si abbina a ingredienti considerati ancora più elitari per rinforzarne un po' calorie e grassi, per esempio i crostacei. Le proprietà nutrizionali del lardo, infatti, sono quelle: su 100 grammi noi abbiamo solo 4 grammi di acqua, ancor meno proteine (1,76 grammi) e ben 94,16 di grassi, per un totale di 857 calorie. Perciò, seppure sia delizioso tagliato a fettine sottilissime e adagiato su fette di pane appena abbrustolito o arrotolato intorno ai gamberoni, non si può considerare il lardo un companatico abituale, né, meno che mai, un secondo da mangiare due etti alla volta alla stregua di una bistecchina magra di maiale.

     

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    Il lardo è un salume talmente ricco di grassi che, tagliato a tocchetti e soffritto, rilascia esso stesso i suoi grassi in forma liquida sostituendo perfettamente altri grassi come olio e burro nelle più disparate preparazioni. Questo suo aspetto di metà salume e metà grasso non va dimenticato e perciò non bisogna abusarne: un tempo era davvero l'unico e raro companatico di contadini che mangiavano poco e bruciavano tantissime calorie.

     

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    Oggi succede il contrario, mangiamo troppo e bruciamo poco. Allo stesso tempo, il lardo non va demonizzato ed escluso dall'alimentazione: abbiamo bisogno di una piccola quota di grassi. La funzione del lardo nell'alimentazione non è mai stata solo quella del salume: dal lardo, infatti, si estraggono anche lo strutto e la sugna.

     

    Strutto è il participio passato di struggere che vuol dire sciogliere: lo strutto è, in soldoni, lardo sciolto. Invece il grasso viscerale (cioè interno e non attaccato alla cotenna) perirenale, non adatto a ricavare il lardo perché povero di tessuto fibroso e con scarsa consistenza, è detto sugna.

     

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    Per colatura a caldo in umido, se ne estrae l'omonimo grasso. Talvolta, la sugna viene anche mescolata allo strutto ottenuto, con il medesimo procedimento di estrazione a caldo in umido, dal lardo, oppure si macina e si usa per la sugnatura, processo di copertura della parte magra del prosciutto esposta all'aria per proteggerlo dall'irrancidimento e da un'eccessiva secchezza.

     

    La differenza tra sugna e strutto è sottile: il primo è il grasso viscerale della zona surrenale, molto delicato, e da ogni maiale se ne ricavano circa 2 o 3 chili, mentre lo strutto è il prodotto finito dopo il processo di fusione del restante grasso sottocutaneo. La confusione tra i due termini si deve non solo al fatto che a volte la sugna contribuisce a fare lo strutto, ma anche ad alcuni dialetti meridionali nei quali, per complicare ancora di più la questione già di suo un po' complessa, con la parola «'nzogna» si intende... lo strutto!

     

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    La produzione dello strutto dimostra che davvero del maiale non si butta via niente. Il grasso del maiale, scotennato ma anche no, si taglia a tocchetti e si cuoce a fuoco lento perché l'acqua evapori, man mano si mette via il grasso che a causa della temperatura si è fuso diventando liquido e quello è lo strutto, ma i tocchetti di carne rimasti ancora interi, e dorati, si pressano: sono i ciccioli e l'olio ottenuto con la pressatura è altro strutto.

     

    Strutto e sugna

    Un manifesto pubblicitario del 1916 della John P. Squire & co. di Boston, Massachussets, recitava che lo strutto rende la pasticceria più appetitosa. Naturalmente si riferiva allo strutto Squire, ma questo solo apparente slogan conteneva un'affermazione veritiera e che a cent'anni di distanza di allora, in piena grassofobia alimentare, dobbiamo ricordare. Lo strutto è sempre stato usato per preparare dolci, sia nell'impasto (seadas e pardulas sarde, brioches, cannoli siciliani), sia come grasso nel quale friggere quelli che andavano fritti, in virtù del suo alto punto di fumo, circa 250 gradi.

     

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    Si usa anche nella panificazione: coppia ferrarese, piadina romagnola, schiacciatina mantovana, erbazzone reggiano, crescentine modenesi, casatiello, taralli 'nzogna e pepe napoletani. Lo strutto rende più friabile la massa glutinica, protegge meglio l'impasto dalla perdita di umidità trattenendo più anidride carbonica e quindi permette di ottenere pani più voluminosi, perché, come spiegano le sorelle Simili nel bel libro Pane e roba dolce, «fermenti e lieviti sono microrganismi che hanno un ciclo vitale completo: respirano, si moltiplicano e si cibano degli zuccheri contenuti nelle farine generando anidride carbonica, che è il responsabile del gonfiarsi e del dilatarsi della pasta».

     

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    Conservante naturale

    Lo strutto protegge anche il pane dal raffermamento perché i grassi avvolgono le eliche dell'amido. Per queste ragioni, spesso nei pani di produzione anche industriale è presente lo strutto e sempre per questo motivo può essere presente anche nelle margarine che contengono farine di cereali. Raffrontato con il burro, lo strutto mostra interessanti caratteristiche che ci spiegano il senso dell'uso alternato dei due grassi nel passato, un uso che dovremmo recuperare: su 100 grammi di burro abbiamo 81 grammi di grassi, di cui 51 saturi, mentre lo strutto ne ha soltanto 32 grammi. In linea di massima, dovremmo evitare un eccesso di grassi saturi.

     

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    Lo strutto conferisce una texture finale più croccante e asciutta, rispetto al burro, nel caso dei fritti, e nel caso dei dolci una minore umidità dell'impasto e, insieme, una maggiore morbidezza. Nell'epoca in cui c'era poco, l'economia era veramente circolare, tutto era veramente naturale e davvero non si sprecava nulla, strutto e sugna si usavano anche al di fuori dell'alimentazione: con lo strutto e la cenere (trasformata in lisciva previa bollitura) si faceva il sapone, con la sugna si ingrassavano gli scarponi, i meccanismi delle ruote dei carri per evitarne l'arrugginimento e, pensate, la sugna si usava anche come crema anticontusioni.

     

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    Molte margarine contengono grassi idrogenati, che fanno ancor più male di un eccesso di grassi saturi, e talvolta contengono anche grassi di origine animale, non solo lo strutto o la sugna di suino, ma anche il sego di bovino, cioè lo strutto di bovino. La Società italiana di nutrizione umana consiglia di assumere il minor apporto possibile di acidi grassi trans, mentre per gli acidi grassi saturi consiglia un apporto inferiore al 10% dell'energia giornaliera introdotta.

     

    Si potrebbe pensare che la questione sia risolta dalle margarine senza grassi idrogenati, ma considerato che vengono prodotte con oli che presentano un'alta quantità di grassi saturi, la realizzazione di un grasso creato in laboratorio che sia migliore di burro e strutto ancora non è compiuta e, a nostro avviso, non lo sarà mai. Per tutte queste ragioni, strutto e sugna e lardo non vanno demonizzati, ma reintegrati - a piccole dosi - nell'alimentazione.

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