DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Christian Benna per www.pagina99.it, nel numero in edicola questa settimana
Affittare è sempre meglio che lavorare. Lo sanno bene i più ricchi, il 5% della popolazione, che con la locazione e la compravendita di immobili hanno creato una fortuna che oggi genera il 22% del reddito nazionale. Ma l’hanno capito anche i meno abbienti, l’ex classe media che negli anni buoni – posto fisso, 14esime e discrete liquidazioni – ha messo tutti i risparmi nel mattone e che oggi si ritrova a ospitare nella casa di proprietà quei nuovi poveri che sono i propri figli. Vivere di rendita è il nuovo spot della generazione millennial Made in Italy, orfana del lavoro sicuro e di qualità e troppo scaltra per credere alle promesse dei gratta e vinci.
E allora oggi non si produce più ma si guadagna condividendo ciò che resta del risparmio privato. Del mattone poi non si butta via niente: lo si affitta a giorni, a settimane, una scrivania diventa ufficio, la cucina un ristorante. E chissà, domani diventerà recapito-magazzino per i pacchi dell’ecommerce.
Miracoli della shared economy nell’Italia che in 15 anni si è divorata il 16% del monte redditi e il 25% della produzione industriale, e che oggi si aggrappa al patrimonio in versione 2.0. Pietro ha 42 anni e non lavora. E di cercare occupazione non ci pensa proprio. Almeno non più. A Firenze, dove vive, si improvvisa affittacamere della sua residenza, un accogliente trilocale Oltrarno, ospitando in cambio di 60-70 euro al giorno turisti di passaggio.
Il terrazzo è piccolo ma accogliente e romantico: l’ideale per cenette di coppia. Pietro si mette in testa il cappello dello chef e combina serate culinarie. A volte trasloca una settimana o anche più da genitori, amici e parenti per locare l’intera casa, gli capita durante l’estate o in occasione di Fiere e grandi eventi. Pietro si paga da vivere condividendo la casa di proprietà che gli hanno comprato i genitori con i soldi della liquidazione.
Altri, come Marco, 34enne architetto torinese, professionista on demand, cioè lavora a chiamata, quindi quando capita, e con la crisi delle costruzioni capita sempre meno, subaffitta l’appartamento e cede per locazioni brevi due postazioni del suo studio-ufficio, ripagandosi così le spese dell’appartamento di residenza e del luogo di lavoro.
Vivere di rendita condividendo non è solo un’esperienza difensiva. C’è anche chi gioca in attacco. Prendiamo il caso di Marta, Lucio e Francesca, milanesi carini ma nullatenenti, trentenni o giù di lì, freelance di lungo corso, tra grafica, teatro e uffici stampa, che si sono organizzati in una piccola società gestendo gli immobili sfitti dei più ricchi.
Diversamente da Pietro e Marco, loro non possiedono nemmeno un angolo di mattone, e il loro reddito da lavoro non gli permetterà certo di comprarsi una casa. Ma sfruttano con intelligenza il grande parco degli immobili sfitti, se ne calcolano quasi 7 milioni, mettendo online in condivisione le proprietà altrui.
Tutto grazie a piattaforme come Airbnb, Y-Tion (dedicata agli studenti cinesi), Italianway, o la cucina –ristorante condivisa con Gnammo e a quelle degli uffici in coworking. Sempre meglio che lavorare. Del resto le “cattive” abitudini, rendita contro reddito, gliele hanno insegnate i più ricchi, la classe dirigente che ha costruito con calce e mattoni la propria fortuna. Basta guardare i dati di Banca d’Italia sul reddito equivalente disponibile per rendersi conto che oggi due decimi della ricchezza generata nel nostro paese arriva dalla locazione di un immobile, di un capannone o di un terreno. Ma i conti non tornano più.
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