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VAFFANGOOGLE! - IL NUOVO AFFONDO ARRIVA DIRETTAMENTE DA JUNCKER, COL SOSTEGNO DI BERLINO E PARIGI - I GRANDI EDITORI EUROPEI VOGLIONO CHE L’UE FACCIA SCUDO CONTRO LO STRAPOTERE DEI GIGANTI HI-TECH - GOOGLE RISCHIA UNA MULTA DA 7,4 MILIARDI

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Alberto D’Argenio per “la Repubblica”

 

MARGRETHE 
VESTAGER
MARGRETHE VESTAGER

Ormai tutti i capi di Stato e di governo europei - negli ultimi mesi è capitato più volte a anche a Matteo Renzi - quando incontrano uno degli amministratori delegati dell’high tech americano si aspettano le lamentele su Margrethe Vestager. Tanto che non ci fanno nemmeno più caso. Annuiscono e passano oltre. Così le lamentele sono diventate pubbliche, come dimostra una recente intervista al Financial Times nella quale il numero uno di Google in Europa, Matt Brittin, si è espresso così: «A Bruxelles ci sono molte persone che tendono a proteggere il passato dal futuro. C’è un grande lavoro educativo da fare con loro».

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Eppure il bersaglio delle lagnanze questa volta sembra essere sbagliato. Perché il vero ispiratore dell’inchiesta su Google sfociata ieri nella contestazione degli addebiti - il primo passo formale della procedura Ue - al colosso di Mountain View non è l’inflessibile commissaria alla Concorrenza, appunto la danese Vestager, ma il suo capo: il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker.

 

Ieri quando la Vestager ha informato il collegio dei commissari europei sulla decisione di aprire la seconda procedura consecutiva contro Google, nessuno ha fiatato. E a Bruxelles i bene informati raccontano che a spingere sia stato il gabinetto del presidente.

 

manifestazione a parigi   hollande e junckermanifestazione a parigi hollande e juncker

Nelle settimane precedenti alla sua nomina al vertice della Commissione, era il 2014, il nome di Juncker sembrava destinato ad uscire sconfitto nei negoziati tra leader. Il lussemburghese, infatti, era stato scelto come candidato ufficiale del Partito popolare europeo, il centrodestra del quale Angela Merkel è dominus incontrastato, ma il risultato delle elezioni europee non gli aveva dato una chiara maggioranza a Strasburgo e il suo nome traballava.

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E così, raccontano in bassa frequenza a Bruxelles, sono stati i grandi elettori tedeschi a convincere la Cancelliera, a quel punto titubante sulla sua nomina. Tra questi i big dell’editoria, Axel Springer e Bertelsmann impegnati nella battaglia digitale, o i grandi produttori dell’auto, che puntano a costruire la loro tecnologia anziché importarla dagli Stati Uniti.

 

Una particolare sensibilità sul contrasto agli abusi delle multinazionali Usa è così arrivata a Bruxelles, e certo non dispiace nemmeno ai grandi governi europei. La Francia, solo per citare un esempio, è impegnata nella battaglia per far pagare le tasse alle grandi multinazionali sul territorio dove operano anziché in Paesi dove magari godono di un trattamento privilegiato, come il Lussemburgo.

 

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Dunque l’affondo della Vestager gode del massimo endorsement politico, e non potrebbe essere altrimenti per un dossier che rischia di inquinare i rapporti politici con Washington. Che, raccontano in Commissione, ha esercitato forti pressioni per cercare di chiudere l’indagine Ue. La quale però, oltre ad avere una forte copertura politica, appare fondata su solide motivazioni giuridiche.

 

Android, nato dieci anni fa, è installato sull’80% dei tablet e smartphone in Europa e nel mondo, ma secondo alcuni precedenti legali non è in concorrenza diretta con iOS di Apple e quindi la sua quota di mercato sfonda il 90%. Inoltre punta a crescere ancora, è la chiave di volta per gli sviluppi futuri come i pagamenti con il cellulare, i dispositivi indossabili o la realtà aumentata e punta a 1,62 miliardi di consegne nel 2020.

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Oggi è “imposto” a diversi produttori di tablet e telefoni, viene preinstallato, spesso senza che possa essere rimosso. Le applicazioni di Google, circa due milioni, tolgono linfa vitale agli sviluppatori di prodotti concorrenti. Un business immenso, con gli utenti che passano il 94% del loro tempo usando le otto app più popolari, cinque delle quali sono proprio di Google.

 

Così l’economia delle app secondo diversi analisti genera il 40% dei profitti di Google. Su queste basi si fonda l’indagine di Bruxelles. Ora Google ha 12 settimane per rispondere, dopodiché l’Antitrust Ue deciderà se imporgli una multa che potrebbe arrivare fino al 10% del fatturato, 7,4 miliardi di dollari.

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Se nel 2004 Mario Monti era un pioniere con la multa da 497 milioni a Microsoft, oggi le grandi aziende Usa sono a tempo pieno nel mirino di Bruxelles. La stessa Google è sotto procedura per il suo motore di ricerca su Internet e rischia anche in questo caso una sanzione di 7,4 miliardi.

 

Apple, Starbucks e Amazon sono nella bufera per questioni fiscali, con il lussemburghese Juncker che dopo aver rischiato di essere travolto dallo scandalo LuxLeaks ora deve usare il pungo di ferro contro gli accordi fiscali tra le multinazionali e i Paesi - appunto come il Granducato, Irlanda e Olanda - che sottobanco garantiscono loro trattamenti privilegiati.

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Non a caso, proprio per evitare nuove scappatoie fiscali la scorsa settimana Bruxelles ha imposto alle grande aziende con un fatturato superiore ai 750 milioni di euro di rendere pubblici i bilanci Paese per Paese. Quella contro i big degli Stati Uniti, per anni protetti in Europa da governi e istituzioni, appare ormai un’onda che a Bruxelles e nelle capitali nessuno sembra voler fermare.