DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Giorgio Lonardi per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Quando nel 1989 l' Ikea è sbarcata a Cinisello Balsamo (Milano) con il suo primo negozio i consumatori italiani hanno capito subito che tutto era cambiato. Sembrava un sogno, l'Ikea: prezzi bassi e mobili di buon gusto dal sobrio design scandinavo. Tutta roba che potevi guardare e toccare in un ambiente luminoso con musica di sottofondo sempre discreta, per concludere la visita in caffetteria addentando polpettine svedesi e salmone del Mare del Nord. Fu una rivoluzione: di colpo i capannoni grigi dei marchi nostrani del mobile low-cost diventarono insopportabilmente vecchi.
Ma i loro padroni tardarono ad accorgersene. L'Ikea si è rivelata una severa maestra per i commercianti italiani di mobili. E il suo modello di business ha costretto la concorrenza a rivedere i programmi. Chi non l'ha fatto o chi non si è accorto in tempo che bisognava cambiare registro ha pagato caro i suoi errori.
Oggi l'azienda fondata dall' imprenditore svedese Ingvar Kamprad è di gran lunga il numero uno del settore sia a livello mondiale (35,1 miliardi di euro di ricavi) sia nel nostro Paese con un giro d' affari di 1.709 milioni di euro e 21 negozi disseminati nei centri urbani più interessanti dello stivale.
"Da sempre Ikea ha avuto una sua originalità - spiega Carlo Guglielmi, ex presidente del Salone del Mobile, per dieci anni al vertici di Assoluce, l'associazione dei produttori di lampade di design - Mentre gli altri hanno solo cercato di vendere prodotti-copia mancando così di identità. Non si può pensare, come hanno fatto molti venditori italiani di mobili low-cost, di avere successo puntando solo sul prezzo: devi anche offrire un servizio, una capacità di progettazione.
Così come è difficile attirare i clienti all' interno di spazi enormi e tristi dove i mobili sono presentati senza criterio". Un'attenzione che spiega il successo delle francesi Conforama (ma la proprietà è di un gruppo sudafricano) e Maison du Monde, quest' ultimo in una fascia di mercato medio alta. L'unico italiano di grandi dimensioni (un miliardo di fatturato) rimasto in pista e con i conti in ordine è Mondo Convenienza.
IN CERCA DI ACQUIRENTI
Per capire quello che sta accadendo nel business dell' arredamento martedì scorso abbiamo fatto un salto allo studio legale Simmons & Simmons a pochi passi dalla Galleria, proprio nel cuore di Milano. Ad attenderci c'erano i commissari straordinari di Mercatone Uno: Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari. Il loro compito è quello di trovare un acquirente per il gruppo schiacciato da 400 milioni di debiti e finito in amministrazione controllata dal 2015.
Ci hanno provato una prima volta chiedendo un prezzo di 280 milioni senza riuscirci. Martedì hanno annunciato un nuovo bando di vendita con una bella sforbiciata di 60 milioni: l'importo, non vincolante, scende a 220 milioni. E soprattutto sarà possibile presentare anche offerte per singole parti di questo gruppo composto da 78 negozi per una superficie di 500 mila metri quadrati. "In ogni caso", precisa il commissario Stefano Coen, "non vogliamo svendere".
Come spiega Gaetano Gasperini, direttore generale di Mercatone Uno, l'azienda ha chiuso il 2016 "con 344 milioni di euro di fatturato, il 12,3% in più del 2015. Si tratta di un risultato ottenuto grazie a una nuova strategia commerciale e al riposizionamento dell'offerta".
Poi aggiunge: "Quando siamo arrivati qui c'era in vendita di tutto: dagli inginocchiatoi ai giocattoli, una specie di bazar. Ora ci siamo focalizzati su quattro famiglie di prodotti: arredamento e complementi di arredo, elettrodomestici, tessile per la casa e casalinghi". E pensare che nel periodo d'oro Mercatone Uno fatturava 800 milioni di euro ed era il fiore all' occhiello del suo fondatore, Romano Cenni, singolare figura d' imprenditore innamorato del ciclismo. Un uomo che avrebbe legato il suo nome a quello di Marco Pantani che correva con la maglia gialla venata d' azzurro della ditta.
Lo stesso Cenni che è stato indagato per bancarotta fraudolenta assieme al suo socio storico Luigi Venturini e ad altre otto persone. Secondo le accuse formulate dalla Procura della Repubblica il fondatore e i suoi complici avrebbero distratto soldi della società per circa 300 milioni di euro. Un elemento che, almeno in parte, avrebbe contribuito a spiegare il dissesto della società.
Di certo il mondo del mobile low cost è ricco di imprenditori creativi e in alcuni casi bizzarri che a volte non si fanno troppi problemi ad infrangere la legge. Geniale, ad esempio fu Giorgio Aiazzone, scomparso a causa di un incidente aereo nel 1986, tre anni prima dell' arrivo di Ikea in Italia.
Fu lui, Aiazzone, a usare per primo le Tv locali per invitare i clienti a visitare il suo show room non lontano da Biella. "Gli architetti ti ospiteranno dal lunedì al venerdì a pranzo e a cena", recitava Guido Angeli, il re delle televendite degli anni '80. "E al sabato la grande festa Aiazzone". Poi immancabilmente alzava i pollici verso l' alto e sorrideva: "Provare per credere".
STRASCICHI DI UN CRAC
Dopo la morte di Aiazzone l'azienda si spegne lentamente fino a quando nel 2008 venne rilevata da Renato Semeraro (niente a che vedere con il quasi omonimo Giovanni Semeraro alla guida del gruppo Semeraro con base a Erbusco in Franciacorta) e da Gian Mauro Borsano, sino al 1993 presidente del Torino, due personaggi molto discussi. Nel 2011 infatti Borsano e Semeraro vengono arrestati sotto l'accusa di bancarotta fraudolenta e documentale, riciclaggio di denaro e evasione fiscale per 50 milioni di euro.
Per il marchio Aiazzone è il colpo finale: la società chiude non senza una serie strascichi con tanti clienti imbufaliti per aver pagato la merce senza averla mai ricevuta. Il 2 giugno del 2011 200 persone si danno appuntamento con auto e furgoni davanti al magazzino Aiazzone di Pognano (Bergamo) saccheggiandolo e caricando a bordo fino all' ultimo spillo.
GIORGIO AIAZZONE COPERTINA LIBRO
Il crac di Aiazzone porta con se anche quello di Emmelunga, società fondata negli anni '60 in Toscana da Alessandro Mocali. Un gruppo che aveva avuto un discreto successo per poi finire nell' orbita di Semeraro e Borsano. Nel 2014, tre anni dopo il fallimento il marchio se lo compra Bernardino Caprotti, il patron di Esselunga, a cui quell'assonanza con la sua azienda non era mai piaciuta. Diversa la storia di Grappeggia Arredatutto, nata in Brianza per opera di Benito Grappeggia.
Un'impresa che si sarebbe radicata in gran parte del Nord con una dozzina di grandi store anche grazie ai forti investimenti pubblicitari nelle tv locali e al suo tormentone: "Meno male che c' è, meno male che c' è Grappeggia". Nel 1997 Benito molla tutto e vende a Mercatone Uno. Eppure il mobiliere più sorprendente fu Ugo Rossetti, conosciuto come "Nonno Ugo", il sindaco della "Città del mobile Rossetti", situata al chilometro 19 della Salaria, come dire a un passo da Roma.
Negli anni '80 fu Nonno Ugo a lanciare sulle tv locali gli spot di una Moana Pozzi seminuda e ammiccante "la donna più bella del mondo" schiudendole così le porte della celebrità. Ma fra i testimonial di Ugo Rossetti ci furono anche Pamela Prati e Alvaro Vitali, il Pierino dei film scollacciati dell' epoca che aveva il compito di intrattenere i bambini.
L' ultimo samurai La carrellata non sarebbe completa senza la figura di Giovan Battista Carosi, il patron di Mondo Convenienza, con un miliardo di fatturato nel 2015 il secondo gruppo sul mercato italiano. Lui, Carosi è il samurai del low-cost; lo conferma il suo slogan "La nostra forza è il prezzo" e lo certifica la figura dell' imprenditore a cui s' ispira: Sam Walton, il fondatore di Wal Mart, la più grande catena di supermercati al mondo. Di fatto il modello di Carosi costituisce l' unica alternativa a Ikea come conferma una crescita a doppia cifra. Il suo mantra è semplice: «La nostra parola di riferimento è convenienza, convenienza e ancora convenienza".
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