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Carlotta Scozzari per “La Stampa”
È la Russia a far da padrona tra le domande inviate dagli azionisti di Unicredit, in vista dell'assemblea di domani. Ed è rispondendo a uno dei quesiti che il gruppo guidato da Andrea Orcel ha la possibilità di spiegare perché abbia deciso di continuare a operare nel Paese di Vladimir Putin.
Da una parte, a metà marzo, l'ad aveva prospettato la possibilità di un'uscita. Dall'altro lato, però, a differenza di altri grandi gruppi bancari che hanno già lasciato Mosca, i 72 sportelli della controllata Ao Unicredit Bank hanno fino a oggi mantenuto le serrande alzate (come anche le 28 filiali locali di Intesa Sanpaolo), sfruttando tra l'altro la maggiore operatività rispetto ad alcune colleghe russe sotto sanzioni.
«Dire che stiamo uscendo dalla Russia - risponde Unicredit al socio Tommaso Marino - farebbe notizia ed è ciò che molte persone vorrebbero sentire. Ma dismettere una banca che impiega oltre 4.000 persone e serve più di 1.500 aziende, 1.250 delle quali sono aziende europee, e assorbire uno shock che potrebbe raggiungere i 7,5 miliardi di euro», ossia la perdita massima stimata in caso di "scenario estremo", «non può e non dovrebbe essere fatto dall'oggi al domani».
Unicredit si dice «scioccata dalle atrocità della guerra condotta dalla Russia», ma con «una responsabilità» verso tutti coloro che fanno affidamento su di lei, dai dipendenti ai clienti, «molti dei quali sono europei. Stiamo completando - assicura la banca - un'urgente valutazione di un'uscita. Non è possibile trarre conclusioni dall'oggi al domani, ma forniremo presto maggiori dettagli».
Marino domanda poi conto degli oltre 500 milioni di finanziamenti erogati la scorsa estate all'azienda dei trasporti Russian Railways, ma la banca non commenta sui singoli clienti. Mentre, rispondendo all'associazione ambientalista ReCommon sulla prosecuzione di prestiti a società russe legate ai combustibili fossili, Unicredit rimanda alla decisione di restare nel Paese e alle responsabilità verso i clienti.
Tocca a Marino anche l'unica domanda sulla mancata acquisizione di Mps: l'azionista vuole conoscerne «le vere ragioni», insieme a quelle per cui, almeno finora, non c'è stata alcuna operazione con Banco Bpm. Sul gruppo senese, Unicredit fa riferimento all'audizione di Orcel di novembre in Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. Sul gruppo milanese, nessun commento a «indiscrezioni e speculazioni».
Tra le curiosità, le 96 domande del socio Mario Bava, veterano delle assemblee societarie. Rispondendo a quella su possibili fusioni e acquisizioni, Unicredit fa sapere che «analizza costantemente il portafoglio di attività» e che in caso di nuove operazioni informerà tempestivamente il mercato. Bava chiede anche se il presidente, Pier Carlo Padoan, creda nel paradiso. Ma la domanda «non è pertinente».
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