DAGOREPORT – IL MIRACOLO DEL GOVERNO MELONI: HA UNITO LA MAGISTRATURA – LE TOGHE SI SONO COMPATTATE…
Giovanna Lantini per "il Fatto quotidiano"
Non conosce la parola fine la saga Bpm. Dopo Bankitalia, Consob e le dure lotte intestine, ora spuntano anche le indagini delle magistratura. Massimo Ponzellini, "dimissionato" dalla banca una settimana fa, come anticipato da Sole 24 Ore e Repubblica, sarebbe indagato dalla Procura di Milano per l'ipotesi iniziale di ostacolo alle Autorità di vigilanza. Ad attirare l'attenzione degli inquirenti, sarebbe stato in particolare il finanziamento da 148 milioni concesso da Bpm ad Atlantis-BpPlus.
Cioè il colosso delle slot machines già primo partner dello Stato italiano nel ricco segmento dei giochi e controllato da società off-shore delle Antille olandesi nonché, secondo quanto ricostruito dal Fatto Quotidiano nel 2010, riconducibile a Francesco Corallo, figlio di Gaetano, condannato per reati di criminalità organizzata (ha già scontato la pena) e legato al clan di Nitto Santa Paola.
Un finanziamento che sarebbe stato erogato anche per la forte sponsorizzazione dello stesso Ponzellini e che ai pm appare "incomprensibile", quello concesso da Bpm alla società che in Italia ha avuto come suo rappresentante l'ex finiano Amedeo Laboccetta dopo la sconfitta elettorale del 2005 e prima dell'elezione nel 2008. Ora la Atlatis è in lizza per le nuove concessioni delle Vlt, le slot machine di ultima generazione.
Il finanziamento della Bpm sarebbe Incomprensibile "sia secondo i canoni di buona amministrazione sia, più gravemente, secondo le regole della disciplina in materia di riciclaggio". Non a caso l'attenzione è tornata anche su chi ha affidato la concessione delle slot machines ad Atlantis, i Monopoli di Stato diretti da Raffaele Ferrara, già presidente dell'Organismo di Vigilanza della Bpm, la cui sede romana nei giorni scorsi ha ricevuto la visita della Guardia di finanza.
E per un'avventura che rischia di chiudersi molto male, ce n'è un'altra che non inizia certo sotto i migliori auspici. Si tratta di quella di Davide Croff, l'ex numero uno della Biennale di Venezia fresco di nomina nel consiglio di gestione dell'istituto milanese che è inciampato in un rinvio a giudizio arrivato proprio all'indomani della conquista della poltrona in Bpm. Una vicenda quantomeno sgradevole che affonda le radici nel lontano passato del banchiere che nel 2008 era stato promotore di un tentativo di rinnovamento della banca milanese con la fondazione di una sua associazione, Bpm360, che avrebbe dovuto provocare una vera e propria rivoluzione poi non andata in porto, come dimostra la cronaca recente.
Benché bancaria, però, la materia della cronaca recente è tutt'altra: si tratta di un'inchiesta per usura relativamente a fatti che si sono svolti tra il 1994 e il 2000, più o meno gli stessi anni in cui Croff ha guidato la Banca Nazionale del Lavoro dove era approdato come vicedirettore generale nel 1989, una manciata di mesi prima dell'esplosione dello scandalo Atlanta e di cui è stato ad dal 1990 al 2003.
Nel dettaglio, le indagini sono scaturite dalle denunce presentate dall'imprenditore di Gioia Tauro Antonino De Masi per i tassi usurari che a suo avviso sarebbero stati applicati ai fidi concessi dalle banche al suo gruppo industriale. De Masi, che da tempo sta conducendo quella lui stesso definisce una battaglia di legalità per tutelare "gli interessi non solo miei, ma quelli di un intero territorio depredato dall'illegale comportamento del sistema bancario" ha già portato in giudizio Cesare Geronzi e Luigi Abete, assolti in primo e secondo grado e in attesa del verdetto della Cassazione.
Ora sul banco degli imputati, secondo la decisione del Gup di Palmi, dovranno sedere oltre a Croff anche gli ex direttori generali di Banca Antonveneta e Bnl e tre dirigenti. Il magistrato ha invece disposto l'incompetenza territoriale e ha trasmesso il fascicolo alla Procura di Reggio Calabria per altri cinque ex della Banca di Roma, tra i quali Matteo Arpe, anche lui fresco di battaglia per la conquista della Bpm, ma per il quale il pm in sede di conclusioni aveva chiesto il non luogo a procedere, anche il banchiere perché era approdato in Banca di Roma nel 2002, sul volgere del termine del periodo oggetto dell'inchiesta.
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