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Marco Valsania per "Il Sole 24 Ore"
Le sanzioni sull'evasione fiscale sostenuta e facilitata da Credit Suisse non sono il capolinea delle sfide, per la banca svizzera e per altri grandi istituti globali finiti nel mirino della authority americane. L'inchiesta è quasi costata il posto all'amministratore delegato di Credit Suisse, Brady Dougan, noto come uno dei principali sopravvissuti della crisi del 2008 ai vertici dell'alta finanza.
Secondo rivelazioni del Wall Street Journal, il board ha considerato misure che avrebbero portato all'uscita di scena del chief executive. E polemiche in Svizzera sulla sua gestione del caso potrebbero tuttora costargli care, anche se lui ha promesso di restare.
L'assedio non è circoscritto. Altre banche, stando a indiscrezioni, potrebbero essere ancora coinvolte nello scandalo dell'evasione fiscale di cittadini americani. Le authority stanno inoltre trattando in queste settimane una sanzione multimiliardaria con la francese Bnp Paribas (forse 3,5 miliardi di dollari) per violazioni delle sanzioni contro l'Iran e altri paesi nella lista nera di Washington. E ancora indagano su istituti americani e internazionali per le pratiche nei derivati e nei mutui come per le manipolazioni dei mercati.
Nella saga di Credit Suisse, preoccupato per la gravità delle accuse il consiglio di amministrazione aveva discusso una procedura accelerata attraverso leggi di emergenza che consentisse di aggirare le norme sul segreto bancario del paese e di consegnare alle autorità statunitensi liste di nomi di possibili evasori americani aiutati a occultare i loro patrimoni.
Una scelta che sarebbe stata accompagnata dalle dimissioni di Dougan, 54enne originario dell'Illinois, come prezzo da pagare per accontentare il mondo politico locale - a cominciare dal Parlamento che avrebbe dovuto autorizzare il ricorso alla legislazione straordinaria - davanti alle concessioni fatte a Washington.
Fortunatamente per Dougan, durante un viaggio il mese scorso nella capitale americana del ministro delle Finanze svizzero Eveline Widmer-Schlumpf, la sua controparte, l'Attorney General Eric Holder, ha rinunciato alla richiesta di ottenere senza indugi l'elenco dei nominativi. Parte di uno sforzo per evitare che, assieme alla storica ammissione di colpa negoziata con la banca e a una sanzione da record pari 2,6 miliardi di dollari complessivi, si scatenassero contagi in grado di far scricchiolare il sistema finanziario.
Il board stesso della banca ha poi concluso che Dougan non era coinvolto nell'attività illegale e che un cambio al vertice avrebbe avuto conseguenze negative per l'istituto. «Sono impegnato nella guida di Credit Suisse», ha detto ieri Dougan durante una conference call con gli analisti.
Un impegno che ha da sette anni e durante il quale ha già dovuto affrontare e superare numerosi ostacoli: il più duro, fino a oggi, quando nel 2012 la Banca centrale svizzera mise in dubbio l'adeguata capitalizzazione dell'istituto, un sospetto seccamente respinto dall'amministratore delegato.
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