
DAGOREPORT – TUTTI A GUARDARE L’UCRAINA, MA IN ISRAELE È IN CORSO UN GOLPETTO DI NETANYAHU: “BIBI”…
Con solo quattro mosse nello spazio di quattro giorni la Fiat e Sergio Marpionne sono tornati ad occupare il centro della scena.
Non si può dire che si tratti di mosse felici, ma nell'insieme esprimono una volontà di mostrare i muscoli che fa passare in secondordine tutte le altre vicende dell'economia e della finanza. A guidare il gioco è il manager italo-canadese dal pullover sgualcito che da buon giocatore di poker si è impegnato durante la settimana a ritagliare intorno alla sua immagine quel profilo di duro che entra a piedi giunti utilizzando tutti gli argomenti.
Ha cominciato con l'inatteso endorsement in favore del "fornitore" Alberto Bombassei per mettere in difficoltà la corsa di Giorgio Squinzi, il candidato della Marcegaglia alla Confindustria.
Poi, senza particolari commenti, ha lasciato che la Fiat ritornasse alla ribalta dopo la sentenza che reintegra i tre operai di Melfi e quella ben più dura e risibile in cui il giornalista Corrado Formigli è stato condannato a pagare 7 milioni di euro per un danno di immagine all'azienda torinese.
Ma questi tre episodi sono bazzecole rispetto all'intervista-bomba che appare oggi su due intere pagine del "Corriere della Sera" e sulla quale si discuterà a lungo. Per chi ha la memoria corta vale la pena di ricordare che il giornale diretto da Flebuccio De Bortoli è lo stesso che il 31 dicembre 2010 dedicò un editoriale di Sergio Romano al manager "personaggio dell'anno" riconoscendogli la capacità di andare controcorrente e di riscrivere l'agenda sindacale in nome di una filosofia cosmopolita che rifiutava l'idea di "un'Italia bizantina, arcadica e conformista".
E tanto per rinfrescare la memoria non bisogna dimenticare che il giornale di via Solferino è lo stesso che nel maggio di quattro anni fa Marpionne, dopo aver citato perfino Nietzsche, disse con orgoglio che la Fiat era diventata una cosa diversa e che era giunto il momento di "togliersi il cappello dell'arroganza".
È doveroso peraltro aggiungere che in questi ultimi anni proprio dal "Corriere della Sera" gli sono arrivati i dispiaceri più grossi, e a darglieli è stato l'editorialista-principe dell'economia, Massimo Mucchetti, quello che con il passare del tempo sta imitando lo Scalfari dei tempi migliori quando il fondatore di "Repubblica" faceva le grandi battaglie contro la chimica e i boiardi senza risparmiare graffi sul volto di Gianni Agnelli.
Oggi l'intervista-bomba di Mucchetti si può classificare tra le interviste-verità che bisogna conservare in archivio, anche se sappiamo che esistono verità oggettive, soggettive, relative e doppie. Nelle risposte di Marpionne non c'è doppiezza perché il figlio del carabiniere Concezio si apre al suo interlocutore a 360 gradi senza reticenze, e se qualcosa manca in questo dialogo la colpa è più del giornalista-guru che evita di incalzarlo e sembra avere dei vuoti di memoria.
D'altra parte la materia è tanta perché il dialogo si svolge dentro un perimetro dai confini planetari che spaziano dagli Stati Uniti all'America Latina per arrivare con grande fragore dentro la piccola Italia. Nella parte iniziale il capo di Chrysler-Fiat annuncia che Chrysler ha ritirato la domanda di prestiti al governo americano per i troppi vincoli, ma auspica la continuità dell'Amministrazione Obama e si dimostra ottimista sul futuro di quel Paese dove dal giugno 2009 con la firma dell'accordo per Chrysler ha piantato solide radici.
E quando Mucchetti gli chiede un giudizio sul debito pubblico Usa, Marpionne se la cava con una delle poche battute ironiche dicendo: "in quel concorso di bellezza che è la vita spesso vince la meno brutta".
Questa analisi non ha un grande spessore culturale, ma serve per introdurre un giudizio entusiasta nei confronti della visita di Monti in America che a suo dire "ha riscosso una grandissima attenzione e un'accoglienza enorme da parte di un Paese che è un animale enorme dove si tendono a percepire tutti gli altri Paesi come animali piccoli".
Fatta questa premessa, il capo della Fiat precisa di non aver mai parlato male dell'Italia, ma di aver solo riconosciuto "quello che non va perché era serio farlo nell'interesse dell'azienda". E qui il buon Mucchetti ha il primo vuoto di memoria perché avrebbe dovuto ricordargli le parole pronunciate nell'ottobre 2010 dentro il salottino "Che Tempo Che Fa" quando lasciò di sasso il reverendo Fabio Fazio e milioni di spettatori dicendo: "la Fiat farebbe meglio se potesse tagliare l'Italia".
Questa dichiarazione clamorosa cadeva durante il conflitto sindacale di Pomigliano, ma era stata anticipata di pochi giorni in un'altra intervista al "Sole 24 Ore" in cui il duro Marpionne, che oggi ostenta una barba paterna, si era lasciato andare a frasi ancora più forti del tipo: "rivedo gli anni di piombo, si è perso il senso delle istituzioni e si sono aperti i cancelli dello zoo".
Oggi il suo ragionamento è meno tenebroso e appare decisamente più disinvolto perché sostiene di non vedere rischi analoghi a quelli di oltre 30 anni fa. Il sindacalismo radicale non sembra terrorizzarlo anche se giudica il leader della Fiom Maurizio Landini "più rigido, molto di più del suo predecessore Gianni Rinaldini con cui si poteva dialogare", e poi rivela (ecco una bombetta che scatenerà polemiche tra i duri del sindacato) che ci sono stati incontri riservati con esponenti della Fiom ("la sinistra più intelligente ha provato a ricucire ma è andata male, con Epifani si riusciva a ragionare di più, Camusso forse parla troppo della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi").
In mezzo a queste parole, che sembrano dettate dalla convinzione di aver messo ormai con il culo per terra l'ala dura del sindacato, Marpionne infila una perla meravigliosa perché dice testualmente: "abbiamo deciso di non parlare più di Fabbrica Italia".
A questo punto qualsiasi giornalista straniero avrebbe esclamato nella sua lingua: cazzo!, dopo anni in cui ci hai fracassato le palle con un fantomatico piano che prevedeva investimenti per 20 miliardi, adesso butti nel cestino le slides e i powerpoint del progetto che ha fatto godere soltanto la corte dei portaborse e dei giornalisti legati alla Fiat e alla Sacra Famiglia degli Agnelli!
Il primo a reagire di fronte alla liquidazione sic et simpliciter di "Fabbrica Italia" avrebbe dovuto essere proprio il guru Mucchetti che su questo tema ha scritto parole di fuoco. Nel luglio 2010 l'editorialista del "Corriere" scriveva testualmente: "Con Fabbrica Italia Marchionne gioca all'estero contro la madrepatria come i disoccupati di un tempo venivano usati dagli agrari contro le leghe bracciantili. Il conto per gli azionisti può tornare ma per gli altri?",
e aggiungeva: "oggi Marchionne è forte, sente di poter dettare le regole del gioco...gonfia i muscoli e non dimentica il pugno di ferro, emargina la Fiom come Vittorio Valletta nel '95, manda via gli indisciplinati come Romiti alla fine degli anni '70...e detta ai suoi aut aut a un Paese che non esprimendo da troppi anni una politica industria si balocca con la Fabbrica Italia senza capirne i conti...".
L'abbiamo già detto: c'è la verità oggettiva, soggettiva, relativa e doppia. Quella di Marpionne che liquida in due parole Fabbrica Italia appartiene alla categoria delle verità semplici che passano in cavalleria anche nel cervello di chi su quel tema ha cavalcato (come Mucchetti) battaglie durissime.
Ma andiamo avanti perché nell'intervista-bomba c'è dell'altro che merita di essere sottolineato. Lasciamo perdere la mezza colonna di domande e risposte dedicate ai conti e ai bilanci di Fiat e Chrysler. Su questo terreno c'è da rompersi il capo e il dialogo tra il manager dal pullover sgualcito e il giornalista-guru è da addetti ai lavori.
Casomai vale la pena di fermarsi sul punto che riguarda i risultati di gestione della Fiat che per il 2011 sono positivi per 5 miliardi grazie all'apporto di Chrysler (per il 52%) e dell'America Latina per il 37%. Se non ci fossero questi due polmoni produttivi e se mancasse l'apporto di Ferrari, Maserati e componentistica, dice Marpionne: "per il resto la Fiat perderebbe".
I debiti assommano a 26,8 miliardi, ma in cassa ce ne sono 20 di liquidità , una bella somma che eccita la curiosità del buon Mucchetti il quale si azzarda a dire: "vedere tanta liquidità ferma in un Paese che ha avuto la Parmalat...".
Non l'avesse mai detto! A questo punto Marpionne si concede l'unica bacchetta sulle mani all'esimio giornalista e replica duramente: "ma come si permette?! Si tratta di disponibilità liquidabili in tempi brevissimi e investite con controparti solide...la liquidità serve perché è finito il tempo dei convertendi!".
Ancora una volta bisogna richiamare in causa la memoria per ricordare che il convertendo fu il prestito di 3 miliardi che nel 2002 concessero le banche italiane per salvare la Fiat, ma oggi quell'operazione non è ripetibile perché, spiega il manager, "con gli accordi di Basilea le banche non potrebbero fare un prestito di quel tipo nemmeno se volessero", e poi aggiunge che la Fiat paga il denaro il 6% mentre Chrysler poco più dell'8%.
Il discorso sul denaro porta diritto a un altro tema caldo che Mucchetti ha sollevato in alcuni articoli, a cominciare da quello del 9 gennaio 2011 quando rivelò che in 79 mesi al vertice della Fiat il buon Marpionne che paga le tasse nel cantone svizzero di Zug, si era portato a casa 255,5 milioni, equivalenti a 1.037 volte lo stipendio di un suo dipendente.
Il ricordo di questi compensi sui quali si è favoleggiato nei momenti in cui gli operai e gli azionisti della Fiat si abbracciavano per la disperazione, non sembra scuotere il figlio del carabiniere Concezio che dice testualmente: "se oggi le stock options hanno un valore più alto ciò dipende dall'andamento del titolo di cui beneficiano tutti i soci", e quando il buon Mucchetti si permette di ricordare che un tempo non c'era una sproporzione così grande tra i compensi dei top manager e quelli dei dipendenti, il capo di Chrysler-Fiat se la cava con un'altra perla meravigliosa: "trenta anni fa non si era ancora creato un mercato delle competenze manageriali come quello attuale".
Sublime Marpionne! Stupendo esempio di una cultura del management che sa lavorare molto e guadagnare moltissimo anche nei momenti critici perché "il mercato delle competenze è cambiato". E sublime anche Mucchetti che dimentica di aver scritto nel famoso articolo del 9 gennaio 2011: "Cuccia e Romiti non vollero mai azioni delle loro società per non essere condizionati da interessi personali".
Dopo questi toni lirici che faranno impazzire di gioia gli ultimi operai del Lingotto e le madame torinesi erotizzate dalla barba di Marpionne, arriva inevitabile il discorso sui nuovi modelli che potrebbero rilanciare definitivamente il Gruppo. Qui la risposta di Marpionne è lapidaria, ma razionale perché dice: "la Fiat ha scelto di rallentare il lancio dei nuovi modelli per la scarsità della domanda in Europa", poi aggiunge: "gli stabilimenti Fiat italiani hanno l'opportunità di esportare negli Stati Uniti".
Per l'ennesima volta la verità si scontra con la memoria che scende in seconda classe perché il buon Mucchetti non infila una domandina piccola piccola sul flop della "500" in America, ma andiamo avanti fino al punto in cui Marpionne difendendo la capacità della Fiat di esportare negli Stati Uniti esclama: "questo penso di fare per l'Italia ed è per questo che trovo insopportabilmente razzista dipingermi come un uomo senza patria: svizzero, canadese, americano, italiano a seconda delle comodità polemiche".
Per la miseria!, finiamola una buona volta con queste cazzate da minorati psichici sulla personalità multietnica di quest'uomo che perfino il "Corriere" celebrandolo a fine 2010 "Personaggio dell'anno" definì "un corpo estraneo e cosmopolita".
La storia deve andare avanti in nome de progresso e sulle gambe della competitività . Lasciamo alle menti deboli e miserabili l'accusa a Marpionne di essere anti-italiano, contro-italiano, controcorrente come avrebbe detto Montanelli. E accettiamolo per quello che è, una volta per tutte. Per le sue qualità , per le sue verità , per le sue bugie, per quella voglia di America che lo fa cantare mentre coltiva i peli della barba "don't worry, be happy".
E non andiamo troppo per il sottile quando al termine della lunga intervista lancia un grande missile terra-aria tra i coglioni dei sindacati e dei partiti.
L'esplosione è racchiusa in poche parole, inequivocabili e forti: "tutti gli stabilimenti italiani staranno al loro posto. Abbiamo tutto per cogliere l'opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da due siti dei cinque in attività ".
Avete capito bene quello che dice Marpionne: "ritirarci da due siti dei cinque in attività ".
Se non avete capito bene, perché siete semplicemente sciocchi e anarchici, allora la spiegazione arriva dallo stesso Marpionne quando ricorda il film "Sophie's choice" del 1992 dove alla fermata del treno per Auschwitz un nazista chiede alla protagonista Meryl Streep, uno dei suoi due figli, in caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. "Sophie resiste - spiega Marpionne - ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione".
Davanti a un Mucchetti con gli occhi e le orecchie bassi e la penna squagliata, il manager dal pullover sgualcito aggiunge tra i singhiozzi: "per favore non me lo chieda, non mi chieda quali dei cinque stabilimenti dovrò chiudere".
A chiederglielo provvederanno nei prossimi giorni i sindacati, i partiti, e il governo di quell'Italia che il figlio del carabiniere Concezio due anni fa avrebbe voluto "tagliare" per far tornare i conti della Fiat.
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