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Carlotta Scozzari per Dagospia
In finanza (e non solo), si sa, le dichiarazioni dei protagonisti più che ascoltate vanno interpretate, decifrate, perché spesso significano quel che lì per lì può non sembrare. Questa volta però Andrea Bonomi si è davvero superato. Il nipote di Anna Bonomi Bolchini (con la sua Bi-Invest di fatto l'unica signora della finanza che la storia italiana ricordi) ieri sera, a Borsa chiusa, ha annunciato di avere completamente azzerato la partecipazione in Bpm, che soltanto fino a poco tempo fa deteneva indirettamente con il suo fondo di private equity Investindustrial e che era pari all'8,6 per cento. Nel dettaglio, il 20 gennaio la partecipazione è stata portata sotto il 5% e il 23 sotto il 2 per cento.
Nulla di male: la Borsa è fatta apposta per comprare e vendere azioni. Se non fosse che Bonomi, non più tardi di due giorni fa, vale a dire il giorno stesso in cui stava scendendo sotto il 2% del capitale, ha rilasciato dichiarazioni che, per quanto lasciassero percepire una volontà di vendere, non avrebbero certo fatto immaginare un'uscita completa dal capitale della banca in tempi così rapidi.
"Non so cosa farà Investindustrial. Decideremo nei prossimi giorni. Nei prossimi giorni si saprà ", ha dichiarato giovedì Bonomi a chi gli domandava se il private equity avrebbe mantenuto l'investimento nella banca. Quel "decideremo nei prossimi giorni" ha il sapore di un'affermazione che va in direzione del tutto contraria rispetto ai fatti, dal momento che le vendite - lo si è saputo ieri sera - erano già abbondantemente scattate.
Insomma, il mercato sembra essere stato privato di una fetta importante, se non decisiva, di informazioni, motivo per cui sembra esserci già abbastanza materiale perché la Consob accenda il suo proverbiale faro.
E pensare che soltanto in una intervista concessa ieri al "Sole 24 ore" il neo consigliere delegato di Bpm, Giuseppe Castagna, evidentemente completamente all'oscuro delle mosse di Bonomi, si augurava non soltanto che Investindustrial restasse nella compagine azionaria, ma anche che partecipasse all'aumento di capitale da 500 milioni, che a questo punto, con un investitore all'8,6% fuori dai giochi, si prospetta sempre più complesso.
Del resto, che qualcuno stesse vendendo a man bassa azioni Bpm negli ultimi giorni era diventato abbastanza evidente: basti pensare che venerdì 17 gennaio il titolo viaggiava poco sopra i 53 centesimi, mentre il 23, giorno in cui Bonomi è sceso sotto il 2%, era precipitato a ridosso dei 47.
Prezzo, quest'ultimo, che in ogni caso implica una plusvalenza per il patron Investindustrial. Bonomi, infatti, nell'autunno del 2011, dopo essersi assicurato il sostegno di una parte dei sindacati della banca e avere sconfitto l'avversario Matteo Arpe, era entrato in Bpm investendo circa 35 centesimi per azione.
Ma la "liaison" con i sindacati, da sempre potentissimi in Piazza Meda, è durata poco e i rapporti si sono definitivamente incrinati sulla trasformazione in società per azioni della Popolare che il patron di Investindustrial aveva progettato. Già lo scorso novembre, il consiglio di gestione della banca presieduto da Bonomi si era dimesso proprio per le tensioni che stavano emergendo in maniera sempre più evidente.
Il cdg è poi stato rinnovato venerdì scorso, il 17 gennaio, e conta almeno un componente, Davide Croff, molto vicino a Bonomi (sebbene il finanziere nei giorni scorsi abbia smentito che si tratti di un suo rappresentante). Si potrebbe, insomma, affermare che il patron di Investindustrial ha aspettato di piazzare un consigliere in cdg per poi uscire di scena intascando una lauta plusvalenza. Un colpo da vero private equity, alla faccia delle ragioni "industriali" e "strategiche" dell'investimento in Bpm da sempre sbandierate.
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