DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
1. IL BACO CHE HA FATTO SCATTARE IL «FLASH CRASH» DI WALL STREET
Morya Longo per ‘Il Sole 24 Ore’
WALL STREET BORSA NEW YORK STOCK EXCHANGE
Vedere giovedì e venerdì i mercati terrorizzati per l’aumento delle retribuzioni negli Stati Uniti e per le rivendicazioni salariali in Germania, fa comprendere ancora una volta quanto le Borse siano distanti dall’economia reale. La crescita dei salari (dunque dei redditi, dei consumi e in ultima analisi dei ricavi aziendali) è il grande anello mancante di questa ripresa economica globale che per ora ha prodotto più diseguaglianze che benessere. Se le retribuzioni aumentassero, come iniziano a fare in Usa e Germania, dovrebbe dunque essere una buona notizia per tutti.
Anche per la finanza. Ma i mercati, ormai assuefatti dalle flebo con cui le banche centrali hanno iniettato oltre 15mila miliardi di dollari di liquidità dal 2008, vedono solo il lato oscuro della ripresa dei salari: cioè il rischio che aumenti l’inflazione e che le banche centrali ritirino la flebo prima del previsto. Dunque una buona notizia diventa negativa ai loro occhi.
Questo dimostra che i mercati sono sempre più autoreferenziali. E proprio questo è il problema: è al loro interno, nella loro struttura, che si nascondono i meccanismi che hanno la capacità di amplificare i ribassi come hanno fatto con i rialzi. La bolla non sta tanto (o solo) nelle valutazioni di Borsa, quanto nel «baco» interno dei mercati. Per esempio negli algoritmi, che ormai producono il 66% degli scambi sulle Borse mondiali. O nel «carry trade». O nel «margin debt». È per colpa loro, soprattutto degli algoritmi, che ieri è scattato il «flash crash» che in pochi minuti ha depresso l’indice Dow Jones oltre il 6%.
Il pilota automatico
I primi moltiplicatori dei mercati proprio loro: gli algoritmi. Questi “piloti automatici” usano spesso la volatilità come parametro per misurare i rischi: se è bassa comprano azioni, se si alza vendono. Dato che negli ultimi tempi è stata bassissima, anche sotto il 10%, tanti fondi si sono sovra-esposti sul mercato azionario. Si calcola che nel mondo ci siano 2mila miliardi di attivi gestiti in questo modo: cioè con la volatilità a regolare l’allocazione dei capitali. Ma il numero in realtà è molto maggiore: nel calcolo andrebbero inclusi anche tutti i fondi che usano il Var (value at risk) come parametro per misurare i rischi.
È evidente che sono anche i loro acquisti (nei momenti buoni di mercato) a far scendere la volatilità e - viceversa - sono le loro vendite a farla salire (nelle fasi negative). La loro stessa strategia diventa insomma una profezia autoavverante: più sale la volatilità più loro vendono, più loro vendono più sale la volatilità. È esattamente quanto accaduto in questi giorni: dal 10% la volatilità è più che raddoppiata fino al 34% e molti fondi (soprattutto i «risk parity» che più usano questo parametro) hanno iniziato a vendere azioni. Stimavano venerdì gli esperti di Ubs che solo la caduta di Wall Street di oltre il 2% registrata quel giorno avrebbe potuto far salire la volatilità fino a far scattare vendite automatiche in Borsa pari a 40-70 miliardi di dollari.
L’iper-debito
Meccanismi altrettanto dirompenti, ma per ora latenti, sono il «margin debt» (investitori che si indebitano per comprare azioni mettendo in garanzia del finanziamento le stesse azioni) e il «carry trade» (investitori che si indebitano nel Paese dove i tassi sono più bassi per comprare titoli dove i rendimenti sono più elevati). Entrambi pompano i mercati al rialzo quando le cose vanno bene: il «margin debt» a Wall Street, per esempio, ha toccato il suo record storico a 580 miliardi. Ma se il mercato dovesse scendere davvero, le posizioni di «margin debt» e di «carry trade» verrebbero velocemente smontate, con effetti violenti sul mercato. Ancora questo non è accaduto, ma se i ribassi perdurassero la molla scatterebbe di certo.
La droga dei buy-back
C’è poi un altro meccanismo che in questi anni ha pompato le quotazioni a Wall Street: i «buy-back», cioè gli auto-acquisti di azioni da parte delle società. Dal 2009 le aziende di Wall Street hanno speso 3.800 miliardi di dollari solo fare per questo: per comprare le proprie azioni. A parte l’occasione persa per l’economia reale (figuriamoci come sarebbe il mondo oggi se quei 3.800 miliardi fossero stati investiti per creare occupazione), questo ha anche drogato la Borsa. Calcola Artemis Cm che solo i buy-back dal 2009 hanno fatto salire Wall Street del 30% e gli utili per azione (Eps) del 40%. Insomma: un moltiplicatore pazzesco. Che ora potrebbe diventare un boomerang.
2. BORSE, COSÌ «L’INDICE DELLA PAURA» È DIVENTATO UN MOSTRO IN POCHE ORE
Enrico Marro per www.ilsole24ore.com
La bella addormentata si è risvegliata improvvisamente, diventando nel giro di poche ore un mostro capace di divorare miliardi. Il VIX, l’indice della paura che sembrava da mesi addomesticato a livelli infimi (intorno ai 10 punti) ieri ha fatto un balzo del 115% facendo esplodere in mano a Wall Street uno dei trade più in voga degli ultimi anni: quello sulla volatilità. Un trade che di fatto, come da tempo hanno notato fior di analisti - a partire da Alberto Gallo di Algebris - si è tramutato nell’ennesima bolla, simile al Bitcoin: nel grande carrozzone del “shortare il VIX” sono ormai saliti tanti investitori, anche retail.
Ma come funziona questo trade? Gli strumenti per guadagnare sulla volatilità sono principalmente alcuni Etn (Exchanged trade notes) come lo XIV di Credit Suisse o lo SXVY. Come funzionano? Semplice: sono inversamente correlati al VIX. Ovvero quando la volatilità scende guadagnano, e negli ultimi anni hanno guadagnato tanto, ma quando invece questa ha un balzo storico come quello di ieri crollano a una velocità difficile persino da immaginare.
Prendiamo per esempio lo XIV, uno di questi Etn, creato da Credit Suisse: ieri da quota 115 è crollato a 32 nel dopo mercato. Credit Suisse pare ne abbia in portafoglio 550 milioni di dollari, anche se la banca svizzera ha dichiarato di essere completamente coperta dal rischio. Ma il rischio concreto ora è che lo XIV sia uno dei primi grandi Etn a dover essere liquidato.
Come spiega Larry McDonald, esperto di mercati finanziari, il balzo del VIX dell’agosto 2015 (pari al 45%, meno della metà di quello di ieri) costrinse gli Etn sulla volatilità ad acquistare 37 miliardi di dollari di future sul VIX per coprire le loro scommesse al ribasso. «Ma queste enormi cifre possono essere esacerbate in caso la liquidità scompaia». Se questa è stata la magnitudo nel 2015, con un balzo del Vix del 45% contro il 115% di ieri, cosa potrebbe essere accaduto nelle ultime ore? Mark Longo, ceo del centro studi di Chicago OptionsInsider.com, teme il peggio: «quando le cose vanno male questi “prodotti Frankestein” a leva rischiano di essere spazzati via». Bruciando miliardi.
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