
DAGOREPORT –LA CAMALEONTE MELONI NON SI SMENTISCE MAI E CONTINUA A METTERE IL PIEDINO IN DUE STAFFE:…
R.E. per “la Stampa”
Impianto accusatorio sostanzialmente confermato, ma pene da rivedere al ribasso per l’intervenuta prescrizione e la riqualificazione di alcuni reati. Questo il verdetto della Cassazione, giunto ieri in serata, sulla vicenda giudiziaria relativa alla vendita alla Parmalat delle acque minerali Ciappazzi.
Tra gli imputati l’ex presidente di Banca di Roma-Capitalia, Cesare Geronzi, l’allora direttore generale di Capitalia, Matteo Arpe, e altri sei manager della banca. Il 7 giugno 2013 la corte d’appello di Bologna aveva confermato le condanne di primo grado: a Geronzi erano stati inflitti cinque anni per bancarotta e usura, ad Arpe tre anni e sette mesi per la sola bancarotta. Condanne anche per gli altri imputati.
Al centro del processo c’è l’affare Ciappazzi, combinato, secondo l’accusa, tra il gruppo Ciarrapico e la Parmalat di Calisto Tanzi su pressione illecita di Cesare Geronzi che, all’epoca dei fatti (era il 2002), era il numero uno del gruppo bancario romano.
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