donald trump xi jinping padrone del mondo

IL DRAGONE NON "BACIA IL CULO" A TRUMP: LA CINA ALZA I CONTRODAZI SULLE IMPORTAZIONI DEI BENI AMERICANI DALL’84 AL 125%. IL PRESIDENTE, XI JINPING: “NON ABBIAMO PAURA, NON CI SONO VINCITORI NELLE GUERRE COMMERCIALI” – PECHINO HA A DISPOSIZIONE MOLTE ARMI: DAI 760 MILIARDI DI DOLLARI IN TITOLI DI STATO A STELLE E STRISCE, ALLA SVALUTAZIONE DELLO YUAN (GIÀ PARTITA) FINO ALLO STOP ALLA VENDITA DI TERRE RARE, FONDAMENTALI PER L’INDUSTRIA TECH USA…

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

 

 

 

LA CINA RIALZA CONTRODAZI SUI BENI USA DALL'84% AL 125%

XI JINPING CON I SOLDATI CINESI

(ANSA) - PECHINO, 11 APR - La Cina ha rialzato i suoi controdazi sulle importazioni dei beni Usa dall'84% al 125%. Lo riferisce il ministero delle Finanze, precisando che le nuove misure entreranno in vigore il 12 aprile.

 

DAZI: XI, 'NON ABBIAMO PAURA, NO VINCITORI IN GUERRE COMMERCIALI'

(Adnkronos) - La Cina "non ha paura" della guerra dei dazi scatenata dagli Stati Uniti. Nelle prime dichiarazioni pubbliche, da quando è iniziata l'escalation con l'annuncio del 2 aprile scorso delle tariffe di Donald Trump, Xi Jinping ha scandito: "Non ci sono vincitori nelle guerre commerciali e andare contro il mondo porterà solo all'autoisolamento".

 

PEDRO SANCHEZ XI JINPING

Citato dall'emittente Cctv con al fianco il premier spagnolo Pedro Sanchez in visita a Pechino, il presidente cinese ha detto ancora: "Per oltre 70 anni lo sviluppo cinese si è basato sull'autosufficienza e sul duro lavoro,, mai sull'elemosina da parte di altri, e non ha paura di alcuna ingiusta repressione". ''Indipendentemente da come cambierà l'ambiente esterno, la Cina rimarrà fiduciosa, concentrata e si concentrerà sulla gestione dei propri affari'', ha assicurato infine Xi

 

USA-CINA, CORSA A CHI MOLLA PER ULTIMO L’OMBRA DELLA SVALUTAZIONE DELLO YUAN

Estratto dell’articolo di Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”

 

donald trump xi jimping

[…] Chi si fermerà per primo? The Donald o Xi? Ciascuno pensa di avere gli strumenti per reggere il confronto meglio dell’avversario. L’amministrazione Trump guarda le cifre dei rapporti commerciali. La Cina vende agli Usa beni per 500 miliardi di dollari, pari al 15% del suo export totale. Gli Stati Uniti inviano merci per 143 miliardi di dollari, il 7,1% delle loro esportazioni.

 

Conclusione, vista da Washington: i cinesi non possono fare a meno del mercato americano, soprattutto ora che la loro economia sta rallentando. L’impatto dei dazi sarà disastroso, prima o poi dovranno piegarsi e accettare le condizioni dettate da Trump, a cominciare dalla riduzione del deficit commerciale. Ma questi numeri si possono anche rovesciare: l’import americano dipende per il 13% proprio dalla Cina.

 

DONALD TRUMP BANDERUOLA AL VENTO

A Pechino fanno grande affidamento sulle abitudini dei consumatori d’Oltreoceano. Molte aziende si sono già organizzate per aggirare le barriere doganali americane con una fitta rete di triangolazioni. Le sponde ideali sono il Centro e il Sud America. Nel complesso i cinesi controllano circa 40 porti, con basi molto attive in Brasile, Cile, Ecuador. Tutti Paesi tra i meno colpiti dalla furia daziaria di Trump, con importi mediamente intorno al 10%. Non sarà difficile per i cargo cinesi scaricare le merci nei loro scali sudamericani, rivestirle con un’etichetta di origine diversa e spedirle negli Usa.

 

In questi giorni l’amministrazione Trump sta osservando con attenzione anche le mosse della Banca centrale di Pechino. Ancora fino al 2019, la Cina possedeva il 17,3% del debito americano.

TREASURY BOND

 

La percentuale è scesa drasticamente: 2,1%, cioè 768 miliardi su 36 mila miliardi. La leva per destabilizzare la finanza pubblica americana, per esempio con il mancato rinnovo della sottoscrizione dei titoli, è quindi molto più debole, anche se non del tutto azzerata.

Oggi, però, sembrano più allarmanti i movimenti dello yuan, che ieri ha raggiunto il cambio più basso rispetto al dollaro negli ultimi 17 anni.

 

DETENTORI ESTERI DEL DEBITO USA

La finanza di Wall Street teme che Xi Jinping possa sfoderare un’arma micidiale: una drastica svalutazione monetaria per dare sostegno all’export e ammortizzare l’impatto dei dazi Usa.

 

 Il pericolo è che lo scontro commerciale si allarghi a una guerra economica totale, con una corsa al ribasso anche di altre monete. A quel punto si potrebbe innescare una pericolosa spirale che andrebbe a comprimere il valore della produzione, con possibili conseguenze su investimenti e salari. In una parola sulla crescita mondiale.

 

La manovra è rischiosa anche per la Cina: la svalutazione potrebbe, tra l’altro, accendere l’inflazione interna, perché i beni importati risulterebbero più cari e, inoltre, provocare una fuga disordinata di capitali dal Paese. Per questo motivo finora gli investitori internazionali consideravano questa ipotesi improbabile. Adesso non più.

 

Non basta. Nei giorni scorsi il governo ha imposto restrizioni all’export di alcuni minerali fondamentali per l’industria americana. Attenzione: la lista delle terre rare lavorate in Cina e vendute agli Usa è molto lunga. […] 

XI JINPING

 

LA MURAGLIA CINESE

Estratto dell’articolo di Lorenzo Lamperti per “La Stampa”

 

«Non importa quanto durerà questa guerra, non cederemo mai». Erano gli inizi degli Anni 50, quando Mao Zedong faceva questa promessa contro la cosiddetta "aggressione degli Stati Uniti" alla Corea. Ieri, la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha diffuso sui social il video in cui il "Grande Timoniere" pronunciava quelle parole.

 

MEME SUL CROLLO DEL VALORE DEL DOLLARO BY TRUMP

Il messaggio è chiaro: la Cina non ha intenzione di cedere nella guerra commerciale lanciata dalla Casa Bianca. Anzi, è disposta a combatterla colpo su colpo, anche dopo che il totale dei dazi imposti dall'inizio del secondo mandato di Donald Trump è schizzato a un vertiginoso 145%. «Non staremo a guardare mentre altri privano il popolo cinese dei suoi diritti e interessi, né consentiremo a nessuno di sabotare le regole del commercio internazionale», ha garantito ieri il governo cinese, mentre si esalta la retorica della «prova di resistenza» contro il «bullismo» americano.

 

Nella visione di Pechino, negoziare in questa fase significa arrendersi. Sui social, è virale il commento con cui Trump ride della corsa a «baciargli il culo» intrapresa dai leader stranieri che vogliono evitare i dazi.

 

GUERRA DEI DAZI TRA USA E CINA

«Cedere a Trump significa esporsi a ulteriori minacce e prove di forza», sostengono i media statali. Ecco perché al "giorno della liberazione" di Trump, la Cina ha risposto con i "giorni della punizione". Da allora, i dazi sulle importazioni dagli Usa sono saliti in modo simmetrico dell'84%. Potrebbe non essere finita qui, mentre ieri è stata agevolata un'ulteriore svalutazione dello yuan, scivolato ai minimi dal 2007 sul dollaro.

 

Una strategia già usata durante il primo mandato di Trump e volta a ridurre l'impatto dei dazi sugli esportatori cinesi, aumentandolo semmai sui consumatori americani.

 

XI JINPING - ECONOMIA CINESE

[…] L'arsenale delle possibili ritorsioni include altre armi: nuove misure contro i prodotti agroalimentari (in testa alle categorie dell'export Usa in Cina), stretta sul settore dei servizi (dove Washington conserva un inusuale surplus), stop alla cooperazione sul fentanyl e sostanze correlate, restrizioni o divieti alle spedizioni di risorse minerarie o prodotti legati alle terre rare.

 

La tregua concessa dalla Casa Bianca viene vista, o raccontata, come un segnale di debolezza. C'è la convinzione che in questo modo le merci cinesi possano continuare a essere esportate in massa in Paesi terzi, per poi essere rivendute negli Stati Uniti. È successo così anche negli ultimi anni, soprattutto nel Sud Est asiatico. La prima guerra commerciale di Trump ha contribuito ad abbattere gli investimenti esteri in Cina, ma non il suo ruolo centrale nelle catene di approvvigionamento. Tanto che il surplus commerciale di Pechino ha raggiunto livelli record.

 

NAVE CARGO CINESE DANNEGGIA UN CAVO SOTTOMARINO A TAIWAN

Certo, l'economia cinese è destinata a soffrire. Goldman Sachs ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del Pil di Pechino, dal 4,5% al 4% per il 2025 e dal 4% al 3,5% per il 2026. Diverse navi piene di merci destinate al mercato statunitense restano attraccate nei porti cinesi. Diversi acquirenti potrebbero decidere di abbandonarle lì, per non pagare le salatissime tasse doganali. Secondo alcune stime, il costo degli ordini di trasporto soggetti ai nuovi dazi aumenterà da 60 mila dollari a un valore compreso tra 600 mila e un milione di dollari. Decisamente troppo.

 

XI JINPING - TAIWAN E CINA

Xi teme un'ulteriore erosione della già debole fiducia dei consumatori, che punta invece a stimolare per ridurre la dipendenza dall'export.  Funzionari e media statali citano la sua frase in cui definisce l'economia cinese «come un oceano, non uno stagno».

A sottolinearne resilienza e autosufficienza. Su un piano più concreto, il premier Li Qiang ha promesso alle imprese nuove misure di sostegno, mentre i fondi statali sono intervenuti per stabilizzare i mercati finanziari.

 

Tanto che le borse cinesi hanno chiuso ieri in positivo. Non si chiude la porta al negoziato, anche se Xi non ha alcuna intenzione di mostrare debolezza. [… ]