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Sandra Riccio per “la Stampa”
Birkenstock dichiara guerra ad Amazon. Dal prossimo 1° gennaio lascerà definitivamente la popolare piattaforma di vendite online. Il più grande marchio di scarpe della Germania, conosciuto soprattutto per i suoi colorati sandali estivi che ultimamente sono diventati di gran moda in tutto il mondo, ha deciso di ribellarsi ai falsi venduti su Amazon. Il passo definitivo, riferisce l' azienda tedesca, è stato deciso dopo aver segnalato il problema più e più volte alla società di Jeff Bezos. Già a gennaio 2017 Birkenstock aveva interrotto le consegne negli Stati Uniti e ora «la rottura della fiducia ha spinto a terminare i suoi rapporti commerciali con il rivenditore online anche in Europa».
Amazon, da parte sua, si difende dicendo che rimuove tutti gli articoli che violano le policy del portale appena viene a conoscenza della loro presenza. «Intraprendiamo azioni adeguate nei confronti dei venditori infedeli» dicono dal colosso di Seattle e ricordano le garanzie offerte agli utenti.
Di sicuro, la scelta di Birkenstock ha fatto scalpore e nella sua battaglia non è da sola. Presto altri nomi potrebbero seguire le sue orme.
L' azienda tedesca non è la prima a chiedere il divorzio a causa delle contraffazioni dei suoi prodotti. A ottobre anche Swatch aveva rifiutato all' ultimo minuto un accordo con Amazon perché non offriva garanzie sui falsi. In passato, per la stessa ragione, avevano detto «no» alle vendite sui grandi portali dell' e-commerce anche big del lusso come Gucci e Richemont.
La piaga delle contraffazioni in rete, vendute sui mega store online come Amazon ma anche su eBay e sulla cinese Alibaba, è da tempo sotto i fari. Per gli esperti, il fenomeno è cresciuto con il massiccio arrivo dei rivenditori cinesi. I problemi, nella maggior parte dei casi, si verificano con la formula marketplace, cioè con i prodotti venduti da altri inserzionisti che hanno la loro vetrina su Amazon, eBay o Alibaba. I brand più colpiti sono quelli del fashion e della moda.
Nike, forse il marchio più conosciuto nelle calzature sportive e quindi tra i più copiati al mondo, ha a lungo desistito dall' avvicinarsi ai mercati di vendita come Amazon. Solo da poco è arrivata la resa e l' apertura a questo canale. Anche l' elettronica è bersagliata: qualche tempo fa Apple ha lamentato il 90% di tarocchi tra i suoi accessori venduti ogni giorno in rete. Stessa cosa per Samsung.
Da qualche tempo, il fronte anti-tarocchi si sta però compattando. E' di qualche settimana fa, infatti, l' appello promosso da un centinaio di grandi nomi internazionali della moda, dell' elettronica e del design (tra cui Prada, Lvmh, Lego, Adidas, Dior, Chanel, Cassina, Apple) che hanno scritto al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, per sensibilizzare l' esecutivo comunitario al grave problema della contraffazione dei prodotti di largo consumo, provenienti in particolare dall' Asia, e venduti su siti come Amazon, eBay e Alibaba.
I danni non sono da poco. In un rapporto del 2016, l' Ocse ha calcolato che i reati di violazione della proprietà intellettuale provocano un buco a livello mondiale per oltre 450 miliardi di dollari. I controlli sfuggono anche alle maglie più strette visto che anche un colosso super-efficiente come Amazon non riesce a tenere a bada i moderni falsari.
2. "AFFITTI TURISTICI ILLEGALI, FAREMO CAUSA"
Leonardo Martinelli per “la Stampa”
Affitti turistici selvaggi e illegali nel mirino dell' amministrazione della capitale francese. Ieri Ian Brossat, assessore comunale responsabile per la casa, non c' è andato tanto per il sottile. «Intimiamo Airbnb e altri quattro portali di affitti privati a ritirare immediatamente i loro annunci che non rispettano la legge, di quei proprietari che non si sono registrati presso il comune - ha detto -. Altrimenti procederemo a breve per vie giudiziarie ».
In bilico è un business enorme.
Solo per Airbnb la Francia rappresenta il secondo mercato al mondo dopo gli Usa, con oltre 400mila annunci sulla bacheca virtuale del sito. E, per una sola città, Parigi, con 50mila, è la prima in assoluto. Ma dallo scorso primo dicembre, i proprietari che affittano mediante questo tipo di piattaforme devono registrarsi presso il comune e impegnarsi a non affittare più di 120 notti (altrimenti bisogna diventare affittuari professionisti). In questo modo si ottiene un numero di matricola, che va inserito d' obbligo nell' annuncio.
Ma secondo Brossat, politico del Partito comunista (che è alleato ai socialisti e ai verdi nell' amministrazione di Parigi), adesso solo 11mila annunci sarebbero in regola, poco più di un quinto del totale. Ecco, se Airbnb e altre piattaforme (Homeaway, Paris Attitude, Sejourning e Windu) non elimineranno a breve gli annunci illegali, saranno perseguiti dal comune per vie giudiziarie.
A Barcellona, per una situzione simile, Airbnb è già stata condannata a 600mila euro di multa. E procedimenti sono in corso anche a Berlino e a New York. Ma a Parigi la vicenda potrebbe assumere dimensioni molto grosse in termini assoluti. Il comune ha già messo in piedi un team di ispettori dedicati a tempo pieno a scovare annunci illegali su questi siti.
In questo contesto ne hanno già una lista di circa 1400 (un migliaio solo per Airbnb) che sarebbero chiaramente affittati non un massimo di 120 notti ma durante tutto l' anno. E sarebbero in generale i più cari (in certi casi a Parigi Airbnb supera i 2mila euro a notte).
Brossat chiede che proprio questi annunci vengano eliminati in priorità.
Ieri sera si è tenuto un primo incontro fra i responsabili francesi del sito e quelli del ministero delle Finanze su un altro delicato argomento. Secondo un' inchiesta di Radio France di qualche giorno fa, Airbnb propone ai suoi clienti francesi di essere retribuiti mediante una carta prepagata con sede a Gibilterra, per evitare di pagare le tasse. « Già sappiamo che Airbnb ricorre all' ottimizzazione fiscale, dichiarando parte dei redditi francesi in Irlanda - ha sottolineato Brossat -.
Ma l' evasione almeno va evitata e subito ». La battaglia del comune contro questi siti è dovuta anche al fatto che il loro successo sottrae beni immobiliari alla locazione destinata agli abitanti, determinando una crescita generalizzata degli affitti. Nei primi quattro arrondissement di Parigi, il suo nucleo centrale, il 26% degli appartamenti ormai non è più destinato ad alloggiare i residenti. Ma solo turisti, disposti a pagare molto di più.
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