COME BILANCIARE IL FALSO IN BILANCIO - PER CONFINDUSTRIA UNA RIFORMA “TROPPO PUNITIVA”: IL BILANCIO NON È UNA SCIENZA ESATTA, SE UNO SBAGLIA UNA STIMA NON PUÒ FINIRE IN GALERA

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Enrico Marro per il “Corriere della Sera

 

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Le imprese sono preoccupate per la revisione delle norme sul falso in bilancio allo studio del governo. L’ipotesi di un emendamento in Senato che riporti l’intera materia nella fattispecie del reato penale configurerebbe «un regime eccessivamente punitivo» con la conseguenza di scoraggiare ulteriormente le imprese dall’investire in Italia, dice Marcella Panucci, direttore generale della Confindustria, che chiede anche un «tavolo di confronto col governo», perché «non siamo pregiudizialmente contrari a una revisione della normativa e vorremmo dare il nostro contributo».

 

Il governo vuole rivedere le norme sul falso in bilancio perché in Italia c’è un livello di corruzione anomalo che si fonda anche su questo reato. Dunque è necessario intervenire.

 

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«Certo. A tredici anni dalla riforma del 2002 troviamo corretto che ci sia una revisione della disciplina sulla base di ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato. Lo abbiamo detto in uno studio di Confindustria a dicembre. Ma la riforma deve essere equilibrata. Non possiamo oscillare da un regime molto garantista a uno estremamente punitivo».

 

Perché vede questo rischio?

«Ciò accadrebbe se non si tenesse conto, come invece va fatto, che il bilancio è un documento che ha contenuti valutativi. Non è composto solo di cifre e somme esatte, ma anche di stime, valutazioni. Penso per esempio al fondo rischi, al magazzino e così via. Su queste voci, se lei chiama tre revisori le faranno tre valutazioni diverse. Ecco perché non possiamo adottare un approccio per cui qualunque scostamento venga sanzionato penalmente, per giunta con sanzioni più pesanti rispetto a quanto accade oggi. Bisogna quindi tener fuori dal penale gli scostamenti che non superino un certo tetto percentuale e solo quando questo viene superato far scattare il reato, assicurando la certezza della pena».

 

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Ma il sistema dei limiti percentuali al di sotto del quale c’è solo la sanzione amministrativa è quello attuale (fino al 5% di variazione del risultato d’esercizio e fino al 10% per le stime errate), che il governo vuole cambiare.

 

«Dalle indiscrezioni che filtrano, il governo ci pare orientato a ritornare, sotto alcuni profili, al codice del 1942, ripristinando il falso in bilancio come reato di pericolo anziché di danno e quindi perseguibile sempre d’ufficio anziché su querela di parte ed escludendo solo i soggetti sotto 600 mila euro di ricavi. Beneficerebbero di questo meccanismo soltanto micro attività commerciali. Tutto ciò configura un sistema eccessivamente punitivo. Poi, su dove fissare le soglie di depenalizzazione rispetto ai livelli attuali si può anche discutere, ma è l’approccio che va cambiato».

 

Ma così non si indebolisce la lotta alla corruzione?

«Assolutamente no. Per questo non siamo pregiudizialmente contrari a definire il reato come di pericolo e non di danno, purché si distingua il falso finalizzato a creare fondi neri per attività corruttive da meri errori materiali o da interpretazioni diverse di poste di bilancio».

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E come si fa a distinguerlo?

«Un sistema è certamente quello delle soglie percentuali appunto. Su questo vorremmo confrontarci col governo, a partire dalle soglie attuali. E poi, ripeto, una volta fatta questa distinzione, è importante che quando scatti la pena, questa sia certa».

 

Le chiedo anche una valutazione sul Jobs act che vi preoccupa anch’esso.

«Apprezziamo la ricerca di un equilibrio sulla revisione dei contratti flessibili, ma siamo preoccupati sui licenziamenti collettivi. Se venissero tolti dalla riforma, questa ne risulterebbe molto indebolita. Il contrario di ciò che serve: estendere la nuova disciplina anche ai contratti precedenti la riforma».

 

 

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