DAGOREPORT - A RACCONTARLO NON CI SI CREDE. RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI…
1 – APPLE SFONDA QUOTA MILLE MILIARDI
Valeria Robecco per “il Giornale”
Una Mela da un «trilione» di dollari. Apple entra nella storia diventando la prima società americana quotata in Borsa (e la seconda al mondo) a raggiungere quota mille miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato.
Il colosso di Cupertino ha superato il traguardo per alcuni istanti, per poi veleggiare poco sotto la soglia trilionaria. Si tratta di uno straordinario primato per la Corporate America, preceduto sul piano internazionale solo dal gigante petrolifero cinese PetroChina, che toccò brevemente la stessa soglia il 5 novembre 2007 nel suo primo giorno di contrattazioni, dopo lo sbarco allo Shangai Stock Exchange.
A spingere la corsa di Apple in Borsa delle ultime sedute è stata la trimestrale sopra le attese, con l' iPhone che continua a macinare ricavi. E ieri, dopo una partenza fiacca col titolo rimasto ancorato poco sopra la parità per circa un' ora, è arrivato il guizzo al Nasdaq, che ha lanciato la Mela a 207,05 dollari, il valore di riferimento per toccare i mille miliardi.
Salvo poi scendere poco dopo sotto i 207 dollari. Il rialzo di quasi il 3% ha portato il guadagno a circa il 9% da martedì, quando sono stati pubblicati i risultati del terzo trimestre, con utili per azioni pari a 2,34 dollari per un totale di 11,52 miliardi di dollari, con un +40% rispetto allo stesso trimestre dell' anno scorso.
Bene anche i ricavi, saliti del 17% a 53,3 miliardi di dollari, rispetto ai 52,33 delle attese. Le vendite internazionali hanno inciso per circa il 60% sui ricavi trimestrali.
«Siamo entusiasti nell' annunciare il miglior terzo trimestre di sempre e il quarto consecutivo di crescita a doppia cifra nei ricavi», affermava martedì il Ceo Tim Cook. I risultati «sono stati trainati dalle vendite di iPhone, servizi e dispositivi indossabili», aggiunge. «La crescita è stata forte in tutto il mondo», precisa Luca Maestri, Cfo di Cupertino.
steve jobs presenta il primo iphone 2
L' azienda nata nel garage del co-fondatore Steve Jobs nel 1976 (che valeva 350 miliardi di dollari nel 2011, quando è morto), è diventata l' icona della Silicon Valley, e dell' America. Ma il traguardo di ieri sembrava inimmaginabile nel 1997, quando Apple vacillava sul' orlo della bancarotta, decimata dal dominio di Microsoft nel mercato dei personal computer, ed era stata costretta a tagliare un terzo della sua forza lavoro.
A guidare la marcia «trilionaria» è stata la visione di una rapida innovazione, una serie di prodotti dal successo planetario creati dal genio di Steve Jobs, come l' iPod e l' iPhone. E la creazione di una catena di fornitura sofisticata e globale che riesce a mantenere bassi i costi.
Mossa, questa, che ha scatenato anche polemiche, ad esempio per il caso dei componenti dell' iPhone assemblati in Cina con turni di lavoro massacranti, e che oltretutto tolgono posti di lavoro nel manifatturiero ai cittadini Usa.
donald trump jean claude juncker 1
Il primato di Cupertino consacra la leadership di Silicon Valley quale comparto produttivo di riferimento per l' economia americana e non solo, sebbene le altre tecnologiche di riferimento dell' indice Faang (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) abbiano registrato trimestrali un po' deludenti indebolendo il Nasdaq, le cui sorti sono ora risollevate da Apple. E dopo la Mela la sfida, secondo gli analisti, è tra Amazon, che ha già superato i 900 miliardi di valore di mercato a luglio, e Google, controllata di Alphabet, che ora vale oltre 800 miliardi.
Nuovi primati in arrivo che rafforzano l' immagine dell' America tutta, compreso Donald Trump, sebbene la Silicon Valley non abbia proprio una passione per il presidente americano.
2 – APPLE E GLI ALTRI «FAANG». È L’ORA DI DISTINGUERE TRA I COLOSSI HI-TECH
Biagio Simonetta per www.ilsole24ore.com
Alla fine ci ha pensato Apple a riportare il sereno. In quella che sembrava una settimana difficile per la galassia dei cosiddetti Faang (acronimo col quale viene individuato il gruppo composto da Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), il colosso di Cupertino ha piazzato una trimestrale convincente, con conseguente boom azionario che l’ha portato oltre la storica soglia dei mille miliardi di dollari.
I Faang stanno bene, ma non benissimo
Eppure rimangono giorni di interrogativi, per i big della tecnologia. I Faang stanno bene, ma non benissimio. Non che i numeri siano disastrosi. Tutt’altro. Da soli rappresentano il 14% del valore totale dell'indice S&P 500. La loro capitalizzazione di mercato gravita attorno a quota 3.500 miliardi di dollari.
Ma nelle aziende a grande crescita (e i Faang sono aziende a grande crescita) le oscillazioni di mercato sono spesso punite pesantemente. E basta una stima disattesa per bruciare bruscamente centoventi miliardi in poche ore, come è accaduto a Facebook nei giorni scorsi.
La chiave della differenziazione
Le questioni aperte, soprattutto dopo queste settimane così convulse, rimangono tante. A partire da quella probabilmente più urgente: la differenziazione. Per i Faang, che in alcuni casi nascono come startup ma devono fare i conti con capitalizzazioni di mercato stratosferiche, è arrivata l’età della maturità.
E le recenti fasi contrastanti in borsa ci dicono che è il momento di differenziarli. Nonostante sia abitudine ormai consolidata giudicare il comparto dei big tecnologici nella sua interezza, i fatti ci stanno raccontando una storia diversa. I modelli di business sono diversi, e alcuni sembrano più fragili degli altri.
Società come Apple e Amazon, ad esempio, sembrano aver tracciato un solco netto rispetto agli altri in fatto di stabilità. Il loro modello di business è chiaro e consolidato. Come sembra consolidato quello di Google, che anche grazie ai servizi sul cloud continua a convincere il mercato.
Per alcuni, tuttavia, i ricavi di Apple sono troppo dipendenti dall’iPhone (per il 56% in questo trimestre) e quelli di Google dall’advertising online (il 70%). Un’indissolubilità dalle attività principali che lascia qualche dubbio fra gli analisti, anche alla luce di un mercato – quello tecnologico – dove il tasso di competitività può cambiare le carte in tavolo in un tempo relativamente limitato.
Il pericolo normativo
Fra i nuvoloni addensati sul cielo dei Faang, inoltre, c’è tutto il fronte del trattamento dei dati personali che negli ultimi mesi è diventato un problema reale per le aziende tecnologiche che posano il loro business proprio sui dati. I casi della multa miliardaria a Google e dello scandalo Cambridge Analytica per Facebook, sono prove eclatanti di un sistema poggiato su fondamenta forse troppo fragili. Per anni la privacy è stata argomento da retrobottega. Ma oggi ha presentato il suo conto, anche grazie al nuovo regolamento europeo (il Gdpr, ndr).
E i modelli di business incentrati sui dati ne hanno risentito vistosamente. Sicurezza dei dati e notizie false si sono rivelati una mannaia per alcuni colossi californiani come Facebook. Mentre aziende come Apple e Amazon sono risultate praticamente immuni. Un altro segnale lampante di quanto la differenziazione dei Faang sia reale. E di come, forse, le strade di questi colossi abbiano preso direzioni diverse.
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