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F.Fub. per il “Corriere della Sera”
Nel suo fondo sul New York Times del 29 giugno Paul Krugman era andato lontano come forse mai prima nell’offrire sostegno ad Atene e soprattutto esprimere tutta la sua indignazione verso i suoi creditori: «La Grecia dovrebbe votare “No” (al referendum europeo, ndr ) e il governo ellenico dovrebbe tenersi pronto, se necessario, a lasciare l’euro». Per il premio Nobel per l’economia, «molto e forse la gran parte del caos temuto per la Grexit — l’uscita della Grecia dall’euro — ha già avuto luogo», dunque a suo avviso l’impatto negativo non sarebbe troppo grande.
Per la verità Krugman non è il solo premio Nobel newyorkese e liberal, nel senso del progressismo cosmopolita americano, a offrire il suo sostegno incondizionato a questo governo greco. In aprile scorso anche Joseph Stiglitz aveva onorato Yanis Varoufakis di un’intervista pubblica alla conferenza dell’Institute of Economic Thinking a Parigi: Stiglitz intervistava il ministro delle Finanze greco, con palese ammirazione per qualunque risposta.
Non tutti in Europa, neanche a sinistra, capiscono l’infatuazione dei liberal americani per il radicalismo di Atene. Ieri l’ex ministro delle Finanze greco George Papaconstantinou ha preso carta e penna e ha scritto al New York Times : «Non è esagerato dire che la Grecia oggi sta scivolando verso un nuovo totalitarismo e un “No” al referendum sarebbe un passo in quella direzione. I progressisti non dovrebbero dargli sostegno», ha scritto.
E lo spagnolo Angel Ubide, consigliere speciale del candidato premier socialista Pedro Sanchez, ha notato qualcosa di simile in un articolo per il Peterson Institute di Washington, criticando l’infatuazione dei liberal americani per Varoufakis e il premier Alexis Tsipras: per Ubide, il loro appoggio fa parte di una «proxy war», combattuta sulla pelle dei più poveri fra i greci, per l’affermare una certa idea molto americana sull’insostenibilità di fondo dell’euro.
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