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Alessandro Barbera per “La Stampa”
All’ora dell’ultimatum di Renzi, i responsabili sindacali di Alitalia sono in pausa cena nei pressi di Porta Pia, sparsi nei ristoranti di fronte al ministero dei Trasporti. Alle nove e mezza deve iniziare l’ennesima nottata di trattative per tentare di salvare il posto ad almeno un migliaio dei 2251 dipendenti che i nuovi soci arabi chiedono di far uscire dall’azienda.
La situazione è di stallo: una parte dei sindacati insiste per parlare prima del nuovo contratto (i più forti fra i dipendenti di terra, quelli che conteranno più licenziamenti), altri (le sigle forti fra il personale di volo) sono preoccupati di uno stallo dell’intera trattativa.
Alcuni, a microfoni spenti, ammettono il problema, di sigle «spaccate in tre o quattro posizioni». Renzi, che finora si è tenuto informato attraverso il ministro Lupi è preoccupato e decide di forzare la mano: «Non si può avere paura di dire le cose come stanno: oggi il rischio non è sugli esuberi, ma il fallimento».
I soci arabi hanno fatto capire ai vertici di Alitalia che la trattativa non può andare avanti a lungo. La piccola compagnia emiratina non è abituata ai tempi italiani, né ci si vuole abituare. Per il 15 è atteso l’arrivo a Roma del numero uno, l’australiano James Hogan: se per allora non ci sarà l’accordo la minaccia è di far saltare il tavolo. Insomma, i sindacati hanno tempo fino a lunedì: quello sarà il giorno in cui attorno al tavolo si riuniranno i tre segretari generali Camusso, Bonanni e Angeletti.
L’obiettivo del premier è quello di spingere i frenatori - in particolare la Cgil - a evitare i distinguo e firmare: «In un situazione come questa ci vuole responsabilità. Il rischio che chiuda l’azienda con tutto il pacchetto di debiti e migliaia di persone che rimangono a casa. Invito tutti alla saggezza», dice in conferenza stampa a Palazzo Chigi. «L’alternativa è tra un numero x o y di esuberi e la chiusura. In tutto il mondo i sindacati si preoccupano di fare battaglie perché si conservi il numero maggiore di posti di lavoro».
Insomma, questo è il «momento di stringere i denti» e di avere «saggezza», perché «nel giro di qualche anno i livelli occupazionali torneranno quelli che erano prima». Fra le sigle c’è chi scommette che la Cgil non riuscirà in così poco tempo ad accettare un prezzo così alto e non firmerà. L’accordo è complicato dalla richiesta di Etihad di non attivare la cassa integrazione, perché significherebbe lasciare quei dipendenti con un piede dentro l’azienda.
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