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DON’T CRAC FOR ME, ARGENTINA – LA CURA DELL’ULTRALIBERISTA JAVIER MILEI NON FUNZIONA: BUENOS AIRES È DI NUOVO SULL'ORLO DI UNA CRISI VALUTARIA. GLI INVESTITORI FUGGONO, IL PESO TRABALLA PERICOLOSAMENTE, E TRUMP VA IN AIUTO DI MILEI CON UN’OPERAZIONE DA 20 MILIARDI. MA N POTREBBE NON BASTARE – NEL SECONDO TRIMESTRE 2025 IL DEFICIT HA SUPERATO I TRE MILIARDI DI DOLLARI, TRAINATO DAL PESO DEGLI INTERESSI SUL DEBITO. SENZA FLUSSI COSTANTI DI VALUTA FORTE, OGNI STABILIZZAZIONE È DESTINATA A DURARE POCO…
Estratto dell’articolo di Fabrizio Goria per “la Stampa”
Buenos Aires trema. Ancora una volta. Il peso vacilla, le riserve si assottigliano, gli investitori fuggono. L'Argentina del presidente Javier Milei è di nuovo sull'orlo di una crisi valutaria e questa volta solo l'intervento diretto degli Stati Uniti ha permesso di guadagnare tempo.
Washington ha annunciato una linea swap da 20 miliardi di dollari con la Banca centrale e la disponibilità ad acquistare bond in valuta estera, una mossa che ha frenato la fuga dal peso e dato ossigeno a mercati in preda al panico.
È un sostegno senza precedenti, con cui la Casa Bianca punta a blindare l'esperimento economico del leader libertario, mentre a Buenos Aires la paura di una nuova svalutazione di massa torna a serpeggiare.
Per quasi venti mesi Milei aveva alimentato la speranza di un miracolo. Riducendo l'inflazione mensile dal 12,8% a meno del 2%, tagliando la spesa pubblica e licenziando migliaia di dipendenti statali, era riuscito a riportare in pareggio il bilancio dopo oltre un decennio di disavanzi.
La sua cura aveva convinto mercati e think tank americani che solo un presidente disposto a scelte radicali poteva scardinare decenni di clientelismo e indebitamento cronico. Ma la fragilità strutturale è rimasta intatta. […]
Nel secondo trimestre 2025 il deficit ha superato i tre miliardi di dollari, trainato dal peso degli interessi sul debito e da una bilancia dei servizi negativa. Secondo gli analisti finanziari, questo è il vero tallone d'Achille del Paese: senza flussi costanti di valuta forte, ogni stabilizzazione è destinata a restare temporanea.
Il current account argentino soffre di tre squilibri cronici. Primo, la dipendenza eccessiva dall'export agricolo. La soia e il mais rappresentano più della metà delle esportazioni complessive: ogni oscillazione dei prezzi internazionali si riflette immediatamente sul saldo esterno. [...]
Secondo, la bilancia dei servizi: viaggi, trasporti, assicurazioni e costi finanziari drenano sistematicamente valuta. Terzo, il reddito primario: gli interessi sul debito estero e i dividendi rimpatriati dagli investitori stranieri superano costantemente le entrate da investimenti argentini all'estero. È un saldo che da anni resta negativo e che, come ricorda il Fondo monetario internazionale (Fmi), rende impossibile costruire riserve se non attraverso surplus commerciali eccezionali o nuovi afflussi di capitale.
[...] La Banca centrale non è riuscita ad accumulare valuta netta, bruciata nella difesa del peso durante la fuga di settembre. Per l'istituzione di Washington, questo è il vero rischio: ogni volta che la moneta è sotto attacco, le scorte di dollari evaporano e il Paese si trova vulnerabile. È un meccanismo già visto in passato. Negli anni Duemila, quando la crescita era trainata dalle materie prime, l'Argentina era riuscita a costruire un cuscinetto di riserve. Ma senza un surplus commerciale robusto, ogni tentativo di stabilizzazione è fragile.
Il cortocircuito si è visto a settembre, quando gli investitori hanno liquidato peso e titoli argentini in pochi giorni. La Banca centrale ha bruciato riserve senza riuscire a fermare l'emorragia. Le immagini delle file davanti agli sportelli di cambio hanno rievocato la crisi del 2001.
Washington è corsa ai ripari: «Non permetteremo che un disequilibrio di mercato faccia deragliare le riforme economiche avviate dal presidente Milei», ha dichiarato il segretario al Tesoro Scott Bessent. Oltre alla linea swap e agli acquisti di bond, gli Stati Uniti hanno messo sul tavolo l'Exchange Stabilization Fund, già usato nel 1995 per salvare il Messico.
È una dimostrazione di forza ma anche una scelta geopolitica. Buenos Aires ha ancora una linea swap con la People's Bank of China da 18 miliardi, di cui solo 5 effettivamente attivi.
Fonti americane hanno lasciato intendere che l'eventuale chiusura di quell'accordo potrebbe diventare condizione per l'attivazione del sostegno statunitense. Una mossa che ridurrebbe lo spazio di Pechino in America Latina, proprio mentre Washington punta a garantirsi accesso privilegiato a litio e minerali critici argentini.
La Banca mondiale ha annunciato che accelererà un piano di sostegno da 4 miliardi di dollari nei settori energia, turismo e minerali critici. Ma il problema centrale rimane la bilancia dei pagamenti. Gli analisti di Wells Fargo stimano che nei prossimi tre anni l'Argentina dovrà onorare impegni esteri per oltre 45 miliardi di dollari, di cui 15 al Fmi.
È un peso insostenibile senza un surplus commerciale robusto o afflussi consistenti di investimenti diretti. Per gli esperti del Peterson Institute, l'Argentina rischia di finire intrappolata in un circolo vizioso: ogni crisi valutaria genera sostegno esterno, che però aumenta il debito e rende più difficile il riequilibrio.
Milei respinge le critiche, ringrazia per l'appoggio Donald Trump (che vedrà il 14 ottobre alla Casa Bianca) e insiste sulla necessità di andare avanti con il suo programma. «Insieme costruiremo un percorso verso stabilità, prosperità e libertà», ribadisce. Ma la combinazione di austerità, riserve scarse e debolezza politica lascia il Paese esposto. Per il momento, il sostegno americano ha comprato tempo.
Ma se non arriveranno riserve stabili e un riaggiustamento del conto corrente, l'Argentina rischia di trovarsi ancora una volta punto e a capo. Con il presente che resta appeso a un filo.
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