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Marina Verna per "La Stampa"
Ha cominciato il suo lavoro di amministratore delegato di Burberry con una dissacrazione - uso minimo della celebre quadrettatura perché sovraesposta, contraffatta e «veneranda» - ma i risultati le hanno dato ragione: in cinque anni il valore delle azioni è aumentato del 186% e lei, con 16,9 milioni di sterline (quasi 20 milioni di euro) guadagnati nell'anno finanziario 2011-2012, è diventata la manager più ricca della city.
I conti in tasca ad Angela Ahrendts sono presto fatti: 990 mila sterline di stipendio, 2 milioni di bonus, benefit vari, ma soprattutto 11,9 milioni ricavati dalla vendita delle azioni guadagnato come bonus negli anni precedenti. E così è stata catapultata in cima alla lista dei redditi dei boss delle 350 società più importanti del Regno. E in quella delle 100 società più capitalizzate alla Borsa di Londra, dove le donne sono solo tre: lei, Alison Cooper dell'Imperial Tobacco e Carolyn McCall di easy.Jet
Angela Ahrendts, 53 anni e tre figli, è americana - è nata a New Palestine, nell'Indiana, ultima di sei fratelli di una famiglia modesta - e ha la moda nel sangue: da piccola si cuciva i vestiti da sé, e raccogliendo consensi e invidie. Burberry l'ha chiamata al vertice nel 2006, fidandosi della sua visione: il marchio che dal 1856 incarna l'immutabile stile inglese andava svecchiato, perché troppo ubiquo, troppo contraffatto, fuori moda. Così sono comparsi nuovi disegni, modelli aderenti, capi in pelle, perfino una linea di cosmetici.
E Ahrendts ha vinto la sua scommessa: Burberry oggi è un marchio della moda globale che, interpretando l'aria del tempo e non più la vecchia Inghilterra, ha fatto il record di incassi e di profitti, ha distribuito ottimi dividendi agli azionisti e oggi vale 6,3 miliardi di sterline.
Ahrendts è arrivata in vetta senza bisogno di quote rosa, e non crede che sia quella la strada giusta per sedersi con autorevolezza nei consigli d'amministrazione. Ha detto al «Guardian»: «Su quelle poltrone occorre mettere la persona più brava. Non è una questione di genere, si tratta di esperienza, di visione, di leadership». E ha concluso con malizia: «Anche un uomo è in grado di fare questo lavoro».
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