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Paolo Mastrolilli per La Stampa
Questione di giorni, quasi di ore ormai, per evitare la tempesta economica perfetta che aspetta gli Usa a mezzanotte del 31 dicembre. A quell'ora, infatti, comincerà la discesa nel "fiscal cliff", mentre lo stato raggiungerà il tetto del debito massimo che può contrarre. In assenza di interventi dell'ultimo momento da parte del Congresso, improbabili secondo il leader democratico al Senato Reid, l'America rischierà la recessione.
Nell'estate del 2011, il presidente Obama e lo Speaker repubblicano della Camera Boehner non trovarono l'accordo sui tagli alla spesa e gli aumenti alle tasse da fare per affrontare il problema del debito, provocando il primo "downgrade" nella storia degli Usa da parte delle agenzie di rating. Quindi decisero che lo stato avrebbe potuto prendere i prestiti necessari ad evitare il default, ma dal gennaio 2013 sarebbero scadute una serie di agevolazioni fiscali, e scattati tagli automatici alla spesa per 1,2 trilioni in dieci anni.
Questo è il "fiscal cliff", che dal primo del prossimo mese toglierà soldi agli americani, aumentando le tasse e diminuendo gli investimenti del governo. A ciò si aggiunge il problema del tetto del debito, tornato alle condizioni dell'agosto 2011. Mercoledì sera il ministro del Tesoro Geithner ha annunciato che lo stato ha speso quasi tutti i 16,394 trilioni di dollari consentiti dall'intesa del 2011.
Lunedì la soglia verrà superata, e senza un nuovo accordo gli Usa rischiano la bancarotta. Geithner può fare giochi contabili per recuperare circa 200 miliardi e tirare avanti un paio di mesi, ma poi o c'è la soluzione vera, o il default. Obama è rientrato ieri mattina alla Casa Bianca dalle Hawaii, per fare l'ultimo negoziato. Nelle settimane scorse aveva offerto a Boehner un accordo che prevedeva tagli alla spesa per circa un trilione di dollari, e aumenti delle tasse per chi guadagna più di 400.000 dollari all'anno.
Boehner, pressato dalla corrente del Tea Party contraria a qualunque incremento fiscale, ha risposto proponendo di alzare le imposte solo a chi guadagna oltre un milione. La sua stessa base però ha rifiutato l'iniziativa, costringendolo a rinunciare. Boehener è condizionato perché il 3 gennaio la nuova Camera eletta a novembre sceglierà lo Speaker, e lui non può essere confermato senza i voti del Tea Party.
I deputati torneranno domenica, mentre il Senato, dove i democratici hanno la maggioranza, cerca un compromesso dell'ultimo minuto che eviti la catastrofe. L'ipotesi è una legge minima, che estenda le agevolazioni fiscali per chi guadagna meno di 250.000 dollari, sospenda i tagli automatici alla spesa, e conservi i sussidi a due milioni di disoccupati, in attesa di riprendere il negoziato sul grande accordo.
Non è certo però che da entrambe le parti ci sia la volontà di procedere, mentre Reid ha avvertito che «non so come possiamo fare in tempo». Obama vorrebbe una soluzione, ma forse gli conviene che non ci sia, perché dopo il fallimento di Boehner la colpa del "fisal cliff" ricadrebbe sul Gop, che la pagherebbe alle elezioni del 2014. Boehner non vuole accordi che compromettano le sue possibilità di essere confermato Speaker il 3 gennaio, figurando come il leader che ha dato via libera all'aumento delle tasse.
Una volta scivolati nel "fiscal cliff", invece, le tasse saliranno per tutti, e a quel punto l'intesa con Obama potrebbe essere presentata come una riduzione fiscale. E' la teoria del "bungee jumping", secondo cui gli Usa possono cadere nel cliff con un elastico legato alla caviglia, per risalire subito dopo e risolvere il problema una volta per tutte. Ieri però Wall Street ha chiuso in rosso, ricordando che i danni di questi giochi politici sono già reali.
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